Non farà bene al Pd e alla candidatura di Giovanni Legnini l’adesione dei due parlamentari Camillo D’Alessandro e Luciano D’Alfonso (il primo ex consigliere regionale e il secondo ex presidente della Regione Abruzzo) alla corrente di Maurizio Martina. La fiera dei veleni è cominciata e andrà avanti senza sosta fino al 3 marzo, facendo così arrivare il partito di Renzi logorato all’appuntamento con le Europee ma anche prima, alle Regionali abruzzesi.
“Con Martina si è schierata la vecchia classe dirigente che ha perso”
ha commentato Zingaretti. E così è, almeno a guardare le adesioni abruzzesi.
Per ora sono 85 i parlamentari orfani di Renzi che hanno sottoscritto la candidatura di Martina, che si aggiungono ai 25 parlamentari che fanno riferimento allo stesso Martina, Graziano Delrio e a Matteo Orfini che avevano già aderito alla mozione. Tra loro ci sono appunto D’Alessandro e D’Alfonso, tra i quali negli ultimi tempi non corre buonissimo sangue.
A quanto pare è scoppiata tra loro una sottile e sotterranea rivalità per le frequenti esibizioni nei programmi tv nazionali del fedele consigliere: visibilità che D’Alfonso, in evidente crisi di astinenza da popolarità, soffre moltissimo. Il fedelissimo, che si è i spirato a Dalfy nei timbri di voce, negli atteggiamenti, nelle parole opere e omissioni, ha fatto uno scatto in avanti: in effetti ha un’immagine più spendibile, è giovane e grillineggia un sacco.
D’Alessandro e D’Alfonso
Così, dal giorno in cui ha portato alla Camera una forchetta per ribattere a una senatrice grillina che aveva ammonito i suoi con la frase “se andremo avanti con queste politiche scellerate i nostri elettori prima o poi ci rincorreranno con i forconi”, lui si è conquistato l’attenzione delle tv.
ps: e Dalfy incassa. I suoi discorsi al Senato finiscono tutti col rimasticamento delle sue vicende giudiziarie e nel farlo, giorni fa è addirittura incorso in una scivolata, fatta rimbalzare dai grillini su tutti i social. Nella discussione sulla legge Anticorruzione, ha detto:
“Io ho simpatia culturale per la corruzione tra privati”…
intendendo però, ha spiegato poi, “esigenza conoscitiva per trovare una soluzione normativa proporzionata”. Colpa dei grillini? Forse, ma anche del suo linguaggio barocco. Ed ecco perché alla fine vince D’Alessandro.