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Pescara, 24/07/2024
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Data: 24/12/2018
Testata giornalistica: Corriere della Sera
La manovra di bilancio - Pensioni, le novità su Quota 100: fondi tagliati a 4 miliardi. Il meccanismo prevede la possibilità di andare in pensione a chi dispone del doppio requisito 62 anni di età e 38 di contribuzione (la somma è appunto 100). Il decreto legge con «quota 100» sarà definito nei «primi giorni di gennaio»

Ancora qualche giorno e tutto sarà pronto. Il vicepremier Matteo Salvini professa sicurezza e indica il che il decreto legge con «quota 100» sarà definito nei «primi giorni di gennaio». Con il via libera del Senato al maxi emendamento il governo incassa l’intervento sulle pensioni e riforma la legge Fornero.

Il leader della Lega annuncia il provvedimento e ribadisce «siamo pronti», ma nei fatti la norma che consente di anticipare l’uscita dal lavoro con 62 anni di età e 38 anni di contributi è il frutto di uno sfibrante negoziato. Sia sul fronte interno con gli alleati del M5S, per superarne la diffidenza e i dubbi, sia sul versante esterno con Bruxelles, dove la commissione ha faticato ad accettare un intervento sulla legge dell’ex ministro Fornero. La trattativa ha partorito un compromesso, a dimostrarlo è il saldo delle risorse necessarie a finanziare l’operazione nel 2019. Il taglio al fondo per quota 100 è di 2,7 miliardi, per l’anno prossimo resta una dotazione di 3,9 miliardi, mentre nel 2020 ci saranno ulteriori 1,3 miliardi e l’anno successivo altri 1,7 miliardi.

I paletti di quota 100: divieto di cumulare entrate da lavoro

Il meccanismo previsto è ormai noto con la possibilità di andare in pensione a chi dispone del doppio requisito 62 anni di età e 38 di contribuzione (la somma è appunto 100). Anticipando così il termine dei 67 anni di età fissati dalla pensione di vecchiaia. L’uscita in anticipo non comporta penalizzazioni sull’assegno pensionistico, ma va tenuto conto che verrà percepita una pensione inferiore poiché si terrà conto del minore numero di anni di contribuzione. I primi pensionati con quota 100 incasseranno l’assegno a partire dal prossimo mese di aprile, in virtù delle cosidette finestre. In pratica, una volta maturato il requisito 100 la pensione verrà erogata dopo tre mesi, una dilazione che potrebbe salire fino a sei mesi se le domande per il pensionamento dovessero risultare superiori alle previsioni. Per di dipendenti pubblici la finestra è fissata in ogni caso a sei mesi, il primo assegno arriverà dunque un semestre (nella pubblica amministrazione c’è anche il pre avviso di tre mesi) dopo il raggiungimento di quota 100.

Per contenere i costi dell’operazione voluta dalla Lega è stato previsto qualche paletto per limitare il «tiraggio» dal fondo per quota 100. L’ostacolo principale per chi si troverà ad optare tra un’uscita anticipata e proseguire l’attività lavorativa consiste nel divieto di cumulo. L’impossibilità cioé di sommare alla pensione qualsiasi altro reddito da lavoro che superi 5 mila euro lordi all’anno. La durata del divieto sarà pari al numero degli anni di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia a 67 anni, così facendo, per esempio, un’ uscita a 64 anni comporterà per 3 anni l’impedimento a svolgere attività remunerate sopra i 5 mila euro.

Il decreto legge delle prossime settimane fornirà i dettagli della riforma. Il quadro però risulta chiaro. Per il 2019 il governo stima che saranno circa 315 mila i lavoratori pronti ad anticipare la pensione, se le previsioni fossero confermate si tratterebbe dell’85% degli aventi diritto. Quello che invece non è stato misurato è l’effetto di una norma così congegnata. La facoltà di lasciare il lavoro prima del previsto sarà utilizzato dai lavoratori più forti, quelli con un impiego e una carriera nella pubblica amministrazione o nell’industria, per lo più uomini. Ossia le caratteristiche di chi dispone di 38 anni di versamenti contributivi. Tra i beneficiati non figureranno le categorie di lavoratori meno forti, che si troveranno piuttosto nella condizione di subire senza alternative l’arrivo di quota 100. Nelle aziende in crisi e nelle imprese di servizi saranno infatti gli stessi datori di lavoro a spingerli fuori dal sistema produttivo, impedendo la possibilità di una scelta.

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