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Pescara, 24/07/2024
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Data: 24/12/2018
Testata giornalistica: Corriere della Sera
Pensioni, assunzioni, reddito di cittadinanza: ecco il testo definitivo della manovra. Con la Quota 100 non ci saranno penalizzazioni ma l’assegno arriverà tre mesi dopo, che diventano sei per i dipendenti pubblici. Diminuisce il fondo per gli investimenti statali

Pensioni e quota 100, primo assegno dopo tre mesi

La riforma delle pensioni con l’introduzione di «quota 100» è uno dei capisaldi della manovra. Fortemente voluto dalla Lega è il provvedimento che, abbinato al reddito di cittadinanza, ha condizionato l’impianto della legge di Bilancio, poiché richiede 3,9 miliardi di euro per il 2019, una dote destinata ad essere aumentata di ulteriori 1,3 miliardi nel 2020 e di 1,7 miliardi l’anno successivo, per un totale di 5,6 miliardi nel 2021.

Il meccanismo ormai noto è quello che consente di anticipare la pensione a chi combina il doppio requisito di 62 anni di età con 38 anni di contributi. Consentendo così un’uscita anticipata dal mondo del lavoro, che sarà al massimo di 5 anni rispetto alla pensione di vecchiaia, fissata a 67 anni di età. Il provvedimento tuttora non è pronto ed è destinato ad essere definito con un decreto legge nelle prime settimane di gennaio. La legge di bilancio riporta infatti solo i saldi delle risorse necessarie a finanziare l’operazione. Per chi deciderà di utilizzare quota 100 non ci saranno penalizzazioni, salvo il fatto che l’assegno pensionistico sarà inferiore in virtù del minore numero di anni di contribuzione. La norma conterrà però una serie di paletti. A cominciare dalle cosidette finestre. In pratica, una volta raggiunta quota 100 il primo assegno con la pensione verrà percepito dopo tre mesi, una dilazione che potrebbe salire fino a sei mesi se il numero di domande per anticipare l’uscita dal lavoro dovesse essere superiore alle stime. Nel caso dei dipendenti pubblici la finestra è comunque di sei mesi, per effetto del preavviso di tre mesi. Un ulteriore vincolo consiste nel divieto di cumulo, ossia l’impossibilità di sommare alla pensione altri redditi da lavoro che superino il valore di 5 mila euro lordi all’anno. Il divieto di cumulo avrà una durata pari agli anni di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia a 67 anni. In caso, per esempio, di uscita a 63 anni (4 anni in anticipo) non sarà possibile cumulare per 4 anni. Secondo le previsioni del sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, nel 2019 dovrebbero essere 315 mila i lavoratori che andranno anticipatamente in pensione, ossia l’85% degli aventi diritto.

Reddito di cittadinanza per chi guadagna poco

Il reddito di cittadinanza ha richiesto una lunga e travagliata gestazione. Anche in questo caso, così come per la riforma delle pensioni, sarà un decreto legge, atteso per gennaio, a dettagliare il provvedimento che connota il progetto politico del M5S. Per finanziare l’operazione ci saranno meno risorse rispetto a quanto indicato inizialmente.

Il fondo per il reddito di cittadinanza e le pensioni di cittadinanza nel 2019 disporrà di circa 6 miliardi a cui andrà ad aggiungersi un ulteriore miliardo per potenziare i centri per l’impiego. La dotazione è scesa, insomma, di 2 miliardi rispetto ai 9 miliardi previsti all’esordio della legge di Bilancio, e ritenuti il minimo indispensabile da parte del Movimento per fronteggiare povertà e disoccupazione. La platea destinataria del sussidio è stimata pari a 5 milioni di persone, tanti sono secondo l’Istat gli italiani che vivono una condizione di povertà «assoluta» distribuiti su un nucleo di 1,8 milioni di famiglie. L’erogazione del reddito avverrà, secondo il vicepremier Di Maio, a partire dal mese di marzo e muove da un punto fermo: erogare un assegno fino a 780 euro al mese per un single (l’importo è destinato ad aumentare in base al numero dei componenti di una famiglia). Ma la revisione dei saldi di bilancio, che ha ricondotto il rapporto tra deficit e Pil al 2,04%, ha avuto un effetto pratico sull’entità del sussidio. Il fondo da 6 miliardi non basta a garantire l’ assegno di 780 euro a tutti i potenziali destinatari. Ragione che ha spinto il governo a individuare alcune condizioni che escludono il diritto al beneficio. Il primo paletto è l’Isee, l’indicatore che tiene conto di reddito e patrimonio. Il reddito è destinato a chi ha un Isee inferiore a 9 mila euro all’anno. Sarà escluso anche chi è proprietario di una seconda casa, mentre la titolarità di una prima casa incide sul sussidio, facendolo scendere da 780 a circa 500 euro. Altro motivo di esclusione è un conto corrente con più di 5 mila euro in contanti, va detto che per evitare «furbate» e prelievi dell’ultimo minuto verrà fatta una fotografia della posizione bancaria che risalga indietro nel tempo. Infine, ogni altra prestazione assistenziale, statale o comunale verrà detratta dal sussidio.

Pensioni, si blocca la rivalutazione

Chi riceve una pensione fino a 1.522 euro, pari quindi a tre volte il trattamento minimo, potrà continuare a contare sulla rivalutazione legata all’inflazione. Il nuovo meccanismo, invece, prevede una stretta a danno di chi percepisce assegni superiori. In particolare, sono sei le fasce di indicizzazione: per chi ha l’assegno compreso tra tre e quattro volte la minima, la rivalutazione non sarà al cento per cento bensì al 97%.

La percentuale scende al 77% per le pensioni comprese tra quattro e cinque volte la minima, mentre al 52% se l’assegno è tra cinque e sei volte il livello minimo.Avanti di questo passo, la percentuale scende al 47% per le pensioni tra sei e otto volte il minimo e al 45% per chi riceve una pensione tra otto e nove volte il minimo. La stretta termina con una gelata al 40% se la pensione è sopra le nove volte il minimo. Questa misura, che porterà a risparmi fino a 2,29 miliardi nel triennio 2019-2021, è stata però criticata, tra gli altri, dalle Acli perché «rischia di penalizzare un ceto medio che sta andando verso la soglia di povertà».

Un taglio agli assegni «d’oro»

Il taglio delle cosiddette «pensioni d’oro» — cioè degli assegni previdenziali al di sopra della soglia simbolica dei 100 mila euro lordi all’anno — è stato un altro dei provvedimenti bandiera dei pentastellati, mentre sul fronte della Lega ha suscitato perplessità.

Alla fine del lungo percorso, secondo l’emendamento arrivato al Senato e che dovrà passare alla Camera, la misura sarà valida per cinque anni a partire dal 2019. Il taglio sarà scadenzato in relazione a quanto percepito. Sarà pari al 15% per coloro che hanno reddito compresi tra i 100 mila e i 130 mila euro l’anno lordi e arriverà fino a un massimo del 40% per quelle superiori ai 500 mila euro. Nel dettaglio è prevista una trattenuta pari al 25% per gli assegni compresi tra 130.001 e 200 mila euro l’anno lordi. Del 30% per tutti quelli compresi invece tra 200.001 e 350 mila euro e del 35% tra i 350.001 e i 500 mila euro. La misura, secondo le valutazioni degli uffici tecnici dell’Inps e dei ministeri dovrebbe portare nelle casse dello Stato un gettito di 239 milioni nel triennio compreso tra il 2019 e il 2021.


Seggiolini per le auto, c’è lo sconto

Riappare uno dei provvedimenti che anche negli anni passati aveva causato diverse contestazioni: l’intervento sul mondo sommerso delle ripetizioni private extra scolastiche. Per fermare la tentazione dell’evasione e rimettere in regola chi offre questo servizio di cui si avvalgono parecchie famiglie viene introdotta una «tassa fissa» del 15%, un’imposta sostituiva a carico dei professori che danno ripetizioni fuori dall’orario scolastico o di quelli che sono andati in pensione. L’attività dovrà essere comunicata alle amministrazioni scolastiche di appartenenza.

Sempre per quanto riguarda le esigenze delle famiglie, saranno estesi anche al 2020 (oltre che confermati per il prossimo anno) gli sconti destinati a favorire l’acquisto dei seggiolini per le automobili dotati di dispositivo antiabbandono dei neonati o bimbi piccoli. Lo stanziamento che è stato previsto dal maxiemendamento del governo arrivato all’aula del Senato è di un milione di euro per il 2019 e di un altro milione di euro per l’anno successivo.


Partite Iva e grandi aziende

Nutrivano grandi aspettative, ma per le imprese la prima manovra del governo Lega-M5S si traduce in una grande delusione. C’era la prospettiva di una flat tax molto più ampia, della chiusura di tutte o quasi le pendenze arretrate con il fisco, ma a conti fatti la manovra porta, per il complesso delle imprese, maggiori tasse per quasi 7 miliardi di euro nel 2019. Con qualcuno che ci guadagna, soprattutto i piccoli, e altri che ci perdono, e tanto, come banche e assicurazioni.

I maggiori benefici vanno ai piccoli imprenditori, i lavoratori autonomi e i professionisti, grazie alla flat tax sulle partite Iva, che estende l’attuale regime forfettario riservato ai minimi. Sui ricavi fino a 65 mila euro questi contribuenti pagheranno una tassa piatta del 15%, che assorbe anche l’Iva e i contributi, mentre sulla quota di reddito che va tra 65 e 100 mila euro, l’aliquota sale al 20% (e non è più onnicomprensiva). Dal nuovo regime vengono esclusi coloro che svolgono attività di consulenza nei confronti dei datori di lavoro dipendente ed i titolari di quote societarie. Ma salta il tetto dei 30 mila euro di reddito da lavoro dipendente che finora impediva l’apertura di una partita Iva. Per tutte le imprese che li reinvestono in beni strumentali o nuova occupazione stabile c’è lo sgravio dell’Ires sugli utili dal 24 al 15%, e raddoppia la deducibilità Ires dell’Imu pagata sui capannoni. Poi arriva la cedolare secca sugli affitti degli immobili commerciali, un aumento delle risorse per la promozione del Made in Italy, la conferma dell’ecobonus sulle ristrutturazioni edilizie. Sull’altro piatto della bilancia ci sono i tagli, e non sono pochi. Per finanziare l’Ires ridotta e la flat tax sulle partite Iva vengono infatti aboliti l’Aiuto alla capitalizzazione, l’Ace, e l’Iri, l’imposta sul reddito dell’imprenditore. E secondo Confindustria solo questo comporta un saldo negativo per le imprese di 2,2 miliardi nel 2019 e di 1,7 nel 2020. L’iper-ammortamento viene confermato, ma con uno stanziamento notevolmente ridotto, di 1,1 miliardi contro 2,6. C’è una sforbiciata al credito di imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo. E la spazzolata su banche e assicurazioni. Per gli istituti di credito la modifica del trattamento contabile di perdite e svalutazioni sui crediti comporta un aggravio fiscale di 3,5 miliardi di euro. Sommando quella messa a carico delle assicurazioni, con l’aumento degli acconti, la bolletta per il sistema finanziario sale a 4,3 miliardi.


Salgono gli sgravi Inail

Nelle pieghe della legge di Bilancio ci sono gli incentivi contributivi Inail a carico delle imprese.

È previsto uno sgravio sui contributi Inail per un ammontare complessivo di circa 410 milioni di euro per l’anno 2019 che salirà a 525 milioni per il 2020 e a 600 milioni per il 2021. Si tratta di una misura promessa più volte dal ministro dello Sviluppo economico (e del Lavoro) Luigi Di Maio. Nella prima bozza della manovra, poi cancellata dal negoziato con l’Unione europea, gli sgravi contributivi dovevano essere molto più alti: circa 1,7 miliardi all’anno.


Terzo settore critico per Ires al no-profit

C’è anche il raddoppio dell’Ires per gli enti del no profit nelle misure confermate dal governo nel maxiemendamento alla manovra.

La cancellazione dell’agevolazione (che prevedeva un dimezzamento dell’aliquota al 12%) fa tornare l’Ires al 24% per enti e istituti di assistenza sociale, società di mutuo soccorso, enti ospedalieri, enti di assistenza e beneficenza; istituti di istruzione e istituti di studio e sperimentazione senza fini di lucro, corpi scientifici, accademie, fondazioni e associazioni storiche, letterarie, scientifiche. Rientrano nello stop all’agevolazione anche gli istituti autonomi per le case popolari.


Giochi, in aumento i prelievi sugli apparecchi

Sale all’1,40% (dall’1,25%) l’aumento del Preu, il prelievo erariale unico, sugli apparecchi per il gioco.

La percentuale destinata alle vincite (pay-out) passa invece dal 69 al 68% e dall’84,5 all’84%. Confermato l’aumento dell’imposta unica dovuta sui giochi a distanza (che dal 20% passa al 25% del margine), sulle scommesse a quota fissa su rete fisica (che dal 18% passa al 20% del margine) e a distanza (dal 22% al 24%) e sulle scommesse simulate (dal 20% al 22%). Nel complesso l’intento del governo è tassare il comparto giochi per incrementare il gettito per l’erario.


Ministeri e atenei, blocco alle assunzioni

Scatta il blocco delle assunzioni nella Pubblica amministrazione, ma anche nelle università. Niente nuovi ingressi in servizio a tempo indeterminato per enti quali la Presidenza del Consiglio, i ministeri, gli enti pubblici non economici e le agenzie fiscali.

La data ultima in questo caso è il 15 novembre 2019. Peggio va per gli atenei che non potranno far prendere servizio ai nuovi docenti fino all’1 dicembre del prossimo anno. L’unica eccezione, in questo caso, riguarda i ricercatori che hanno un contratto in scadenza prima di quella data: potranno essere assunti come professori associati. La manovra prevede anche l’assunzione straordinaria per mille ricercatori. Ma le novità non finiscono qui: dal maxiemendamento arrivato in Parlamento spariscono i commi che prorogano al 31 dicembre 2019 le graduatorie dei concorsi per le assunzioni, sempre a tempo indeterminato in settori come sicurezza, difesa, scuola. Secondo il governo «non sono compatibili» con altri provvedimento del testo che prorogano le vecchie graduatorie fino al 2013.


Dismissioni degli immobili: ecco il piano
Diciotto miliardi di euro dalla dismissione delle partecipazioni pubbliche e un altro miliardo dalla vendita degli immobili di Stato. Con una norma che facilita il cambio di destinazione d’uso di questi cespiti per favorire la loro cessione e trasformazione. E’ un impegno da far tremare le vene ai polsi quello preso dal governo nei confronti dell’Unione Europea per garantire la discesa del rapporto tra il debito pubblico e il pil.

Raccogliere 18 miliardi dalla cessione delle società pubbliche nel giro di un solo anno è un’operazione che sembra possibile solo con il trasferimento delle residue quote mantenute dal Tesoro nell’Eni, Enel, Leonardo, Rai, Poste (e quanto altro c’è rimasto), a Cassa Depositi e Prestiti che già ne controlla buona parte. Un istituto pubblico, ma fuori dal perimetro della pubblica amministrazione, finora utile per fare cassa senza perdere il controllo delle imprese. Stesso meccanismo, un fondo che acquisti dallo Stato e poi rivenda, è immaginabile per la cessione degli immobili, molto difficile nelle attuali condizioni di mercato.


Investimenti pubblici, si scende a 3,6 miliardi

Il maxi fondo per gli investimenti da 9 miliardi in tre anni previsto dalla manovra diventa un mini fondo da 3,6 miliardi nel triennio. E per il 2019 c’è addirittura un taglio di un miliardo alla spesa in conto capitale, invece dell’incremento di 1,4 miliardi previsto nella versione originaria della manovra.

Gli investimenti pubblici dovevano essere uno dei piatti forti della Legge di Bilancio, ma escono malconci dall’accordo tra il Governo e la Ue che ha ridefinito i saldi della manovra. Così, nel maxiemendamento presentato in Senato c’è una cospicua riduzione degli stanziamenti. Nel 2019 il fondo ammonta ora a 740 milioni di euro (contro i 2.750 della versione originaria), nel 2020 a 1.260 milioni (da 3.000 milioni) e nel 2021 a 1.600 (da 3.300). In totale il taglio è di 5,4 miliardi. Colpa anche di 2 miliardi di spesa che Bruxelles ha preteso di congelare a ulteriore garanzia di tenuta dei conti. Alla fine sopravvivono gli investimenti contro il dissesto idrogeologico e la sicurezza delle infrastrutture, considerati spesa eccezionale e non conteggiati nel deficit.


Pace tributaria, sanatoria per omessi versamenti

Della pace fiscale immaginata a settembre c’è rimasto ben poco, anche se la Legge di Bilancio rafforza il pacchetto di misure tributarie della manovra per il 2019 già varate con il decreto fiscale qualche settimana fa. Aggiungendo il perdono fiscale per i contribuenti che hanno dichiarato al fisco i propri redditi, ma che non ce l’hanno fatta a pagare il dovuto perché si sono trovati in difficoltà economica, la correzione degli errori formali delle dichiarazioni, ma anche un bel po’ di nuove tasse. Da quelle sui giochi, a carico dei concessionari, a quelle sulle vincite dei concorsi, dalla webtax alla tassazione ecologica delle automobili, passando per la tassazione al 15% delle ripetizioni agli studenti.

Il saldo e stralcio per gli omessi versamenti era saltato all’ultimo minuto dal decreto fiscale, e adesso rientra con la Legge di Bilancio. I contribuenti con un indice di reddito equivalente Isee non superiore a 20 mila euro potranno regolarizzare il mancato pagamento delle imposte con un’aliquota super scontata e senza sanzioni e interessi. Lo sconto sulle imposte arretrate da pagare varia in funzione del reddito. Con un’Isee tra zero e 8.500 euro si può chiudere tutto pagando il 16% del dovuto, aliquota che sale al 25% se l’Isee è compreso tra 8,.500 e 15 mila euro, e al 30% per chi sta tra 15 e 20 mila euro. Sarà possibile, con questo meccanismo, regolarizzare le imposte non versate tra il 200o ed il 2017. Sempre nella legge di Bilancio si prevede la possibilità di sanare gli errori formali. Misure dalle quali si attende un discreto gettito, prudenzialmente non quantificato, e che si aggiungono alla rottamazione “ter” delle cartelle Equitalia, alla cancellazione dei piccoli debiti fiscali (mille euro) relativi agli anni fino al 2010, alla definizione agevolata degli atti di accertamento, dei verbali di contestazione, e delle cause fiscali pendenti. Tra le novità dell’ultima ora l’ecotassa sulle automobili, con un sistema di bonus/malus sulle emissioni inquinanti: c’è un incentivo fino a 6 mila euro per chi acquista un’auto elettrica, e una tassa che può arrivare a 2.500 euro per chi compra un’automobile di grande cilindrata. Gli sconti raddoppiano con la rottamazione di un’auto vecchia e sono previsti anche per l’acquisto di moto e scooter elettrici. Sale anche il prelievo sulle vincite dei giochi e concorsi pubblici, e arriva anche la webtax. Dovrebbe colpire i giganti del web, ma qualcuno teme che si scarichi sugli utenti finali.


Web tax al 3% per le società dell’online

Chi si rivede, la web tax. Già introdotta nella normativa italiana con la legge di bilancio dello scorso anno e mai messa in atto (mancavano i provvedimenti attuativi), ritorna la web tax, una misura su cui anche l’Europa è divisa, con la Francia favorevole, tiepida la Germania.

In Italia prenderà la forma di un prelievo del 3% a colpire imprese con un fatturato non inferiore a 750 milioni e ricavi realizzati in Italia che non siano inferiori a 5,5 milioni. In ogni caso, non si tratta solo dei colossi tech: il provvedimento riguarda vendite online, la pubblicità e la trasmissione di dati.


Auto, pronte ecotassa ed ecoincentivi

L’ecotassa non si pagherà sulle utilitarie ma solo sulle auto di grossa cilindrata. L’imposta sarà di 1.100 euro per l’acquisto di una nuova auto con emissioni comprese tra 161 e 175 di grammi di anidride carbonica per chilometro. Si passa a 1.600 euro per la fascia 176-200, a 2mila euro tra 201 e 250. Sale da 45mila a 50mila euro il limite al di sotto del quale scatteranno gli ecoincentivi per l’acquisto di automobili poco inquinanti. In via sperimentale, a chi acquista un veicolo, anche in locazione finanziaria, e immatricola in Italia, dal 1 marzo 2019 è riconosciuto un bonus. Per l’elettrico il contributo è di 6 mila euro.


Tasse al 7% per i pensionati che vanno a Sud

L’intento è copiare il modello adottato in Portogallo. Un regime fiscale vantaggioso per i pensionati, richiamando dall’estero chi vive in paesi dove la tassazione non incide più di tanto sull’assegno pensionistico.

Nel maxi emendamento è prevista una flat tax al 7% per i pensionati residenti all’estero, da almeno 5 anni, che scelgano di trasferire la residenza in un comune con meno di 20 mila abitanti in una regione del sud Italia, scegliendo tra Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia. Il beneficio di un’aliquota fissa al 7% varrà però per soli 5 anni.


Un ticket d’ingresso per Venezia

Nel maxi-emendamento spunta la possibilità di introdurre un «ticket d’ingresso» a Venezia. Il comma 653-quaterdecies estende anche al Comune lagunare la «tassa di sbarco» prevista da sei anni per le piccole isole come Capri o l’Elba.

Il ticket, da 2,50 euro a 5 in alcuni periodi, colpirà solo i turisti «pendolari», mentre chi pernotta paga già la tassa di soggiorno, anche se è prevista un piccola stangata proprio dallo stesso comma: il tetto massimo viene infatti raddoppiato a 10 euro, come già era stato previsto alcuni anni fa per Roma. Il contributo verrà pagato all’interno del biglietto del mezzo di trasporto con cui si arriva in città in giornata – sia le navi da crociera, che quando sono di passaggio scaricano i turisti per rapidi tour, che i treni – e le aziende private dovranno riscuoterlo e versarlo. Il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro lo aveva chiesto un paio d’anni fa al governo Gentiloni ed è tornato alla carica con quello giallo-verde: «Chi passa qui la giornata pagherà una tassa per contribuire alle spese di pulizia della città».


Spiagge, prorogate per 15 anni le concessioni

Nel maxi emendamento bollinato dalla Ragioneria dello Stato è inserita la proroga per i prossimi 15 anni delle concessioni demaniali marittime in atto e in scadenza il 31 dicembre 2020.

Una misura che scongiura ancora una volta, in questa occasione per un periodo di lungo termine, la messa al bando nel 2020 degli stabilimenti balneari così come stabilito dalla direttiva Bolkestein. In Italia il recepimento della direttiva, entrata in vigore nel 2006, è stato oggetto di contese e promesse politiche. La proroga, voluta dalla Lega, apre la strada a una possibile procedura di infrazione da parte della Commissione europea. Da Bruxelles, del resto, non sono arrivati commenti sulla scelta del governo italiano, ma nei giorni scorsi è stato ribadito che la direttiva Bolkestein sui servizi riguarda anche le concessioni balneari (con l’obbligo quindi di assegnare le concessioni attraverso gare), così come stabilito dalla Corte di giustizia Ue nel luglio 2016. La proroga di 15 anni riguarda anche le concessioni «per finalità residenziali e abitative».


Le buche di Roma coperte con 60 milioni

E’ autorizzata «l’assegnazione a Roma Capitale di una dotazione finanziaria pari a 40 milioni di euro per l’anno 2019 e a 20 milioni di euro per l’anno 2020 per interventi di ripristino straordinario della piattaforma stradale della grande viabilità da eseguirsi con il concorso del ministero della Difesa, attraverso l’Arma del Genio dell’Esercito Italiano».

È questa l’ultima formulazione della norma che consente alla sindaca Virginia Raggi di usufruire dei militari anche se viene specificato che si tratterà di intervenire «per le emergenze». E sarà proprio questo il nodo da sciogliere perché la ministra della Difesa Elisabetta Trenta aveva già evidenziato la necessità di prevedere solo interventi straordinari. La norma era stata presentata dal M5s, dichiarata inammissibile dalla commissione Bilancio di Palazzo Madama nella precedente formulazione e ora ripresentata. Tra l’altro autorizza «la spesa di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 20121, per l’acquisto di mezzi strumentali al ripristino delle piattaforme stradali».









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