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Data: 27/12/2018
Testata giornalistica: Il Centro
Beve e si assenta dal lavoro ma non si può licenziare. Condannate Poste Italiane: il giudice dà ragione a un dipendente alcolista «Si ubriacava a causa della patologia: era incapace di intendere e di volere»

CHIETI Poste Italiane non poteva licenziare un dipendente bipolare e alcolista che si assentava dal posto di lavoro senza comunicarlo. A dirlo è una sentenza del tribunale di Chieti: all'epoca dei fatti l'uomo, un 40enne teatino addetto ai servizi di consulenza finanziaria, non era capace di intendere e di volere. Ecco perché le Poste, che lo hanno cacciato senza «una giusta causa», ora dovranno risarcirlo pagando 20 mesi di stipendio per un totale di oltre 42mila euro. Si può riassumere così la decisione del giudice Laura Ciarcia, che ha accolto il ricorso del dipendente, difeso dagli avvocati Enrico Raimondi e Marco Savini. È novembre dello scorso anno quando l'azienda licenzia il 40enne per «assenza arbitraria dal servizio superiore a 10 giorni lavorativi consecutivi, ampiamente decorsi dall'11 settembre al 2 ottobre del 2017». Poste Italiane sostiene: «I certificati medici successivamente prodotti dal ricorrente riguardavano ulteriori giorni di assenza e non coprivano, invece, i periodi oggetto di contestazione». Ma il dipendente impugna il provvedimento, ribattendo attraverso i suoi legali: «Il licenziamento è illegittimo perché deciso in violazione dei principi di correttezza e buona fede: la società era perfettamente a conoscenza delle sue condizioni psico-fisiche, del fatto che egli seguisse terapie sanitarie per curare la sindrome bipolare, che tale patologia lo aveva indotto ad abusare di bevande alcoliche e che dai certificati medici inviati era perfettamente desumibile che si trovava in una situazione che gli impediva di lavorare». Decisivo è un accertamento medico legale che conferma: «In quel periodo, per ragioni familiari e ambientali (separazione coniugale e cambio di abitazione), l'uomo si era trovato in un momento di depressione grave con attuazione di binge drinking (abbuffate alcoliche; ndc) a scopo ansiolitico verosimilmente in grado di favorire comportamenti altamente disadeguati come il non presentarsi sul posto di lavoro. La riacquisizione di lucidità compariva in maniera intermittente. L'uomo certamente non era in grado di valutare la gravità dei comportamenti verso il datore di lavoro e la sua stessa famiglia, tanto che non rispondeva al telefono neanche alla madre». Tra luglio e novembre del 2017, dunque, «era verosimilmente incapace di comprendere la gravità delle sue azioni e non era in grado di autodeterminarsi». Lo stesso dipendente ammette: «Dormivo per giorni e giorni, avevo abbandonato i farmaci e bevevo tutto quello che c'era in casa. In quei giorni non uscivo mai, non mi rendevo conto del tempo che passava. Ogni tanto andavo dal medico di base e mi facevo fare dei certificati quando ero più lucido». Il giudice dà ragione al 40enne per due motivi. Il primo: «In ragione del suo stato patologico, non è imputabile al ricorrente l'oggettivo inadempimento all'obbligo di giustificare tutte le sue assenze». La seconda ragione: «Sarebbe stato senz'altro esigibile, da parte della società ex datrice di lavoro, un comportamento volto ad approfondire le ragioni che avevano determinato le assenze del ricorrente». Poste Italiane è stata dunque condannata a risarcire l'uomo con 20 mensilità da 2.104,44 euro ciascuna e a pagare 5.534 euro di spese di lite.

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