CHIETI La gente spinge e gli uomini con l'auricolare fanno cordone. Ma Matteo Salvini, appena sceso dall'auto blu di fronte al teatro Marrucino, dà l'ordine alla sua scorta: «Qua non voglio nessuno, sto in mezzo a loro». Loro sono le centinaia di persone che si accalcano in piazza Valignani e lungo il Corso. Comincia così, sotto la neve, la caccia al selfie con il ministro dell'Interno che arriva a Chieti per lanciare la campagna elettorale in vista delle regionali. Lui, dopo un saluto che più veloce non si può ai rappresentanti delle istituzioni e delle forze dell'ordine, si consegna mani e piedi ai fan. Ecco le foto, i baci, le pacche, le strette di mano. La scorta ha gli occhi sbarrati: e se ci fosse qualche malintenzionato camuffato tra la gente? Ma "il capitano" così ha deciso. «Matteooo, difendimi, fatti toccare, facciamoci un selfie», grida una giovane donna con in braccio il suo bimbo. Poi se ne va contenta, impugnando il telefono su cui conserva il trofeo. È una scena che si ripete all'infinito. Professionisti, operai, studenti: tutti vogliono uno scatto con il vice premier. Che rassicura la folla e dà la precedenza ai bimbi: «Arrivo, non mi muovo», ripete rompendo definitivamente quel poco di protocollo rimasto. «Marito, dammi il telefono», scherza con un uomo che manda avanti la moglie e le due figlie per immortalare il momento. «Ma che bel cappellino», sorride a una madre di famiglia che indossa un berretto bianco. Salvini alza la voce solo quando i giornalisti chiedono un'intervista: «Prima vengono i cittadini, poi voi... È 4 volte che ve lo dico». Tempo qualche minuto e il ministro cede alle telecamere: parla di immigrati, decreto sicurezza, attacca i sindaci che lo contestano.«Datemi una mano», risponde a chi lo definisce «il salvatore». Intanto i fiocchi bianchi scendono giù sempre più insistenti. «Ragazzi, Madonna se nevica», dice il ministro, «qua andiamo a sciare, prendiamo il bob. Come clima siamo quasi a Moena». Dopo una sosta sotto i portici, Salvini risale in macchina. Destinazione il vicino auditorium Cianfarani, dove è atteso da un altro bagno di folla. In 400 riescono a entrare, ma a decine restano fuori. E pensare che, temendo un flop a un causa del maltempo, i dirigenti locali della Lega si erano affannati sulle chat per chiamare a raccolta i militanti. Prima che inizi il dibattito, si fa avanti un anziano. «Mi chiamo Benito, sono di Torrevecchia, da trent'anni il mio vicino mi riempie di denunce». «Se vuole, le do il numero del ministro dell'Interno», scherza Salvini. Poi, comincia il monologo. «Poco fa sono sceso dalla macchina», racconta il vice premier, «e sono riuscito a percorrere solo 40 metri in mezz'ora. È stato bellissimo, sono orgoglioso di un'accoglienza del genere: tanto freddo veniva dall'alto, tanto caldo arrivava dalla gente. Io non mollo». A questo punto Salvini ribadisce i temi già espressi in piazza Valignani. In primis, la questione immigrati: «Le porte dell'Italia», insiste, «sono aperte a quei pochi che scappano dalla guerra. Ma per tutti gli altri c'è un biglietto di sola andata per tornare nei loro Paesi». E qui la folla ruggisce. «Qualcuno vuole una foto?», domanda prima di lasciare l'auditorium. E giù un'altra vagonata di selfie. L'ultimo appuntamento è l'aperitivo al Cafè Racer di via Tirino, dove Salvini trova pure il tempo per mangiare qualche arrosticino prima di spostarsi a Pescara.