PESCARA Un bando per stabilizzare i precari dei Centri per l'Impiego, che abbiano maturato i requisiti previsti, e per assumere nuovo personale. In caso contrario sarà il caos, soprattutto con l'entrata in vigore del reddito di cittadinanza. A gestire il nuovo strumento di contrasto alla povertà dovrebbero essere proprio i Centri per l'impiego, che sono già alle prese con i problemi derivanti dalla loro"regionalizzazione", e con il personale ridotto al lumicino. A lanciare l'allarme, sono la Cgil e la Fp Abruzzo, che attraverso i rispettivi segretari, Carmine Ranieri e Paola Puglielli, esprimono «forte preoccupazione per la situazione dei Centri per l'impiego abruzzesi ormai allo stremo, per i disoccupati della regione, per le politiche attive e per la sorte di tutti i lavoratori precari all'epoca rispediti a casa con notevole aggravio, oltre delle situazioni individuali, della tenuta dell'intero sistema delle politiche per il lavoro regionale». I sindacati chiedono l'immediata attivazione di un tavolo tecnico regionale che si occupi della questione, anche alla luce delle previsioni normative in base alle quali le Regioni e l'Anpal (Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro), potranno disporre di risorse per implementare i servizi dei Centri per l'impiego, attraverso l'adeguamento della pianta organica, sopratutto in vista delle nuove competenze che saranno chiamati a rivestire. «In Abruzzo», a tutt'oggi», dicono Ranieri e Puglielli, «solo i lavoratori precari dei Centro per l'impiego dell'Aquila sono stati stabilizzati, grazie alla messa in pratica della norma da un ex dirigente della provincia dell'Aquila e alla tenacia della nostra azione sindacale, mentre nei restanti territori provinciali gli altri lavoratori precari non sono in forze per scelte diverse che all'epoca abbiamo fortemente contestato». Per il sindacato, ormai non è più rinviabile la ricognizione di tutti i precari che godono, in modo totale o parziale, dei requisiti di stabilizzazione previsti dalla Riforma Madia. A questo deve poi seguire «una ricognizione di tutti i residui di bilancio disponibili per garantire la copertura finanziaria per effettuare le stabilizzazioni, anche prevedendo un cronoprogramma di assunzioni che tenga conto, per i prossimi anni, dei vincoli di spesa». Inoltre, per la Cgil e la Fp Cgil, occorre «la ricognizione del personale attualmente in forza alla Regione Abruzzo e sul suo prossimo pensionamento (indipendentemente dalla cosiddetta quota 100), in modo tale da programmare un turn over che tenga conto delle esigenze dei Centri per l'impiego abruzzesi.Per provvedere a tutte queste incombenze, il sindacato sollecita l'individuazione di un dirigente dedicato, «competente, qualificato e con esperienza diretta della situazione; a tutt'oggi il dipartimento per lo sviluppo economico non ha in organico alcuna figura deputata allo svolgimento di questo compito». Una procedura, quella dell'assunzione di personale, che deve essere preceduta dalla pubblicazione di un bando di stabilizzazione diretta, «dotato di requisiti oggettivi che al contempo tutelino le esperienze maturate nel corso degli anni dai precari. Ad esempio», suggerisce il sindacato, «si potrebbe prevedere un punteggio di merito maggiore per coloro che hanno stipulato in passato un contratto a tempo determinato con la Provincia di riferimento, in coerenza con quanto previsto dalla riforma Madia». Senza escludere l'eventualità di una convenzione con Anpal e i comuni, per la gestione "condivisa" delle nuove politiche attive del lavoro.
Lavorano in nero 84mila abruzzesi. Per la Cgia di Mestre: metà del reddito di cittadinanza andrà a chi non ha diritto
PESCARA Sono circa 82.400 gli abruzzesi che lavorano "in nero", per un gettito complessivo di un miliardo e 828 milioni, pari al 6,4% del Pil regionale. A rendere noto il dato è il Centro studi della Cgia di Mestre, che ha analizzato il "pianeta" sommerso a partire dalla platea di italiani interessati dal reddito di cittadinanza. Su base nazionale sono quasi 4 milioni le persone che potrebbero essere destinatarie dello strumento contenuto nella manovra 2019, pari a 1.375.000 nuclei familiari. Un dato ancora ufficioso che, tuttavia, ha fatto scattare un campanello d'allarme alla Cgia di Mestre. «Infatti», si legge nel report, «è possibile ipotizzare che circa la metà della platea dei teorici destinatari di tale misura potrebbe essere composta da persone che lavorano in maniera irregolare. E visto che per l'anno in corso ai beneficiari del reddito di cittadinanza il Governo erogherà 6 miliardi di euro, verosimilmente la metà della spesa, pari a circa 3 miliardi di euro, potrebbe finire nelle tasche di persone che non ne hanno diritto». Secondo il coordinatore dell'Ufficio studi, Paolo Zabeo, «a causa dell'assenza di dati omogenei relativi al numero di lavoratori in nero presenti in Italia che si trovano anche in stato di deprivazione, non possiamo dimostrare con assoluto rigore statistico questa tesi. Tuttavia, vi sono degli elementi che ci fanno temere che buona parte dei percettori del reddito di cittadinanza potrebbe ottenere questo sussidio nonostante svolga un'attività lavorativa in nero. In altre parole, l'amministrazione pubblica», l'affondo, «al netto delle misure di contrasto previste, sosterrà con il reddito di cittadinanza un pezzo importante dell'economia non osservata». Come si è giunti a queste conclusioni? La Cgia si è cimentata nel calcolo che parte da dati Istat. Secondo l'Istituto di statistica in Italia ci sono poco meno di 3,3 milioni di occupati che svolgono un'attività irregolare. «Se da questo numero rimuoviamo i dipendenti e i pensionati che non hanno i requisiti per accedere a questa misura - pari, in linea di massima, a 1,3 milioni di unità », sottolinea la Cgia, «coloro che in linea teorica, potrebbero percepire questa misura sarebbero 2 milioni; vale a dire la metà dei potenziali aventi diritto». A ricordare gli effetti nefasti del lavoro irregolare è il segretario della Cgia, Renato Mason. «Con la diffusione dell'economia sommersa», dice, «a rimetterci non è solo l'Erario, ma anche le tantissime attività produttive e dei servizi, le imprese artigiane e del commercio che, spesso, subiscono la concorrenza sleale di questi soggetti. I lavoratori in nero, infatti, non essendo sottoposti ai contributi previdenziali, assicurativi e agli oneri fiscali, consentono alle imprese dove prestano servizio di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e, conseguentemente, di praticare un prezzo finale del prodotto/servizio molto contenuto. Prestazioni che chi rispetta le disposizioni previste dalla legge non può offrire».