PESCARA Mauro Di Dalmazio sarebbe «un soggetto privo dei requisiti formali di legge» che legittimano l'esonero «dalla allegazione di sottoscrizioni di elettori». Così hanno scritto i giudici del tribunale di Chieti, Guido Campli, Nicola Valletta e Francesco Turco, annullando nella lista Abruzzo insieme di Donato Di Matteo gli 8 candidati del collegio teatino. Ma solo il tribunale di Chieti lo ha fatto. I giudici degli altri tre uffici elettorali circoscrizionali di Teramo, Pescara e L'Aquila, hanno invece ammesso la lista che appoggia il candidato presidente Giovanni Legnini.In particolare il tribunale dell'Aquila nelle motivazioni scrive l'esatto contrario di quanto affermano colleghi del tribunale di Chieti. Insomma la vicenda del ricorso di Carlo Masci contro Di Matteo diventa paradossale. Entriamo nel merito. I giudici di Chieti citano la legge elettorale regionale che prevede dalle 1.500 alle 2.000 firme a corredo delle liste secondo cui le sottoscrizioni non sono necessarie se il partito ha rappresentanti in consiglio regionale. A consentire ad Abruzzo Insieme di evitare la raccolta di firme è stata la presenza nel simbolo della civica di Di Matteo di un secondo logo, quello di Abruzzo Futuro, che in consiglio regionale è rappresentato da Di Dalmazio. La norma abruzzese però non specifica le modalità con cui debba essere accertato che una lista è espressione di gruppi presenti in consiglio regionale. I giudici teatini quindi fanno riferimento alla legge nazionale secondo la quale spetta all'organo politico, cioè al presidente del gruppo o del partito, attestarlo. Ma Di Dalmazio, sempre secondo i giudici, pur legittimato a presentare la lista espressione del gruppo di cui è presidente in consiglio regionale, avrebbe ottenuto l'attestazione a farlo solo dal consiglio regionale, organo amministrativo, e non da quello politico. E da qui la conclusione che Di Dalmazio sarebbe «un soggetto privo dei requisiti formali di legge». Ma la stessa questione è stata risolta dal tribunale di Pescara con la semplice modifica del simbolo di Abruzzo Futuro. Da quello di Teramo che ha ritenuto la dichiarazione di Di Dalmazio sufficiente in quanto egli stesso è l'organo politico che avrebbe dovuto rilasciare l'autorizzazione. Mentre i giudici aquilani specificano che nella richiesta erano presenti sia la dichiarazione politica di Di Dalmazio, sia la certificazione proveniente dalla direzione Affari della Presidenza e legislativi del consiglio regionale. In altre parole: per tre tribunali il certificato di attestazione esista mentre il quarto non lo prende in considerazione. Secondo Carlo Masci «giustiza è fatta. Ho ribadito che nessuno può dubitare che il simbolo di Abruzzo Futuro sia riconducibile all'associazione Rialzati Abruzzo e che rappresenti la storia politica mia e dei miei amici nel centrodestra, come precursori del civismo in Abruzzo, con partecipazioni anche ad elezioni nazionali. Sarebbe assurdo vederla ora dall'altra parte, con il centrosinistra». E ancora: «Non c'è logica ad autorizzare un simbolo a correre con una parte politica avversa dopo che per venti anni è stato utilizzato nel centrodestra», conclude Masci. Ma Donato Di Matteo, assistito nel ricorso dagli avvocati Sergio Della Rocca e Antonio Luciani, gli ribatte: «La lista Abruzzo Insieme è stata regolarmente ammessa da tre uffici centrali circoscrizionali ed incredibilmente esclusa, pur in presenza di identica documentazione, solo da quella di Chieti, dopo una prima decisione d'ammissione. Ma le affermazioni di Carlo Masci non trovano alcun riscontro neanche nella decisione emessa in autotutela dallo stesso ufficio circoscrizionale di Chieti. Abruzzo Insieme», continua Di Matteo, «è stata presentata nel pieno rispetto delle procedure previste dalla legge regionale e dagli uffici amministrativi della Regione Abruzzo. Così abbiamo presentato ricorso alla commissione elettorale di Garanzia, presso la Corte d'Appello, che assumerà nelle prossime ore una decisione definitiva». Il verdetto è atteso per domani.