PESCARA C'è chi è diventata nonna, come la mamma di Emanuele Bonifazi, e chi è entrato all'università o alle medie, come i figli di Sebastiano e Nadia Di Carlo, o in prima elementare, come la figlia di Valentina Cicioni. E c'è anche chi, dopo aver dovuto chiudere il locale, corre il rischio di perdere la casa dei genitori morti sotto la valanga, come Marco Foresta, perché il mutuo, da solo e senza un lavoro, non lo può pagare. In questi due anni di dolore e rabbia per la valanga che il 18 gennaio 2017 a Rigopiano rase al suolo l'hotel isolato dalla neve uccidendo 29 persone, la vita ha modellato le esistenze e i percorsi di chi è rimasto, ma non li ha fatti arretrare di un millimetro su quello che chiedono dal primo giorno di questa maledettissima storia: verità e giustizia.
GOVERNO E POLITICI. Oggi che è il giorno del ricordo dedicato alle 29 vittime, qualche speranza in più c'è da parte delle famiglie, come dicono Gianluca Tanda e Marcello Martella, del Comitato vittime, «perché per la prima volta saranno presenti i rappresentanti di governo. Per la prima volta non ci sentiamo più soli». Come annunciato nei giorni scorsi, questa mattina parteciperanno alla commemorazione anche i vice premier Matteo Salvini e Luigi Di Maio, attesi a Rigopiano e alla messa che intorno alle 11,30 celebrerà l'arcivescovo Valentinetti nella chiesa di Farindola. Ma non solo loro. Nel corso della giornata (alle 15,30 c'è la cerimonia al Palasport di Penne), ci saranno anche i politici, tanti e di ogni colore, protagonisti della campagna elettorale per queste imminenti regionali.«I politici verranno tutti», conferma Martella, «sono tutti ben accetti a differenza dell'anno scorso, quando erano in carica quelli che non avevano saputo evitare la tragedia. Ma domani (oggi ndr) non si fa campagna elettorale. Nessuno dei candidati prenderà la parola al microfono. Come abbiamo sempre detto, non apparteniamo a nessun colore politico», sottolinea Martella, «e non vogliamo essere strumentalizzati».«Se abbiamo invitato Salvini e Di Maio», interviene Tanda, «è perché sono rappresentanti del governo e dopo i "vi chiameremo" dei loro predecessori, stavolta sembra che ci abbiano ascoltato. Chiedevamo di essere inseriti nella legge sulla strage di Viareggio, che assiste e tutela i familiari delle vittime anche per le spese legali e ci hanno risposto che faranno un emendamento Rigopiano. Un passaggio importante», va avanti Tanda, «per garantire a tutte le famiglie di poter affrontare la lunga battaglia che ci aspetta: dieci, quindici anni, pesanti anche dal punto di vista economico. E a questo serviranno i dieci milioni promessi da Salvini. Ma sia chiaro, i nostri morti non sono in vendita. Lo Stato è parte colpevole di questa storia e ci deve aiutare. È il diritto di ogni genitore poter fare tutto quello che serve, consulenti, perizie, tutto, per arrivare alla verità e alla giustizia per il proprio figlio. E ci sono gli orfani, da aiutare».
DEPISTAGGIO E TELEFONI. Ma il secondo anniversario della tragedia di Rigopiano in cui nulla funzionò, coincide anche con un momento importante dell'inchiesta condotta dal procuratore capo Massimiliano Serpi e dal sostituto Andrea Papalia, con i carabinieri forestali del colonnello Annamaria Angelozzi. Perché se da una parte si è arrivati all'avviso di conclusione delle indagini con 24 indagati, degli iniziali 40, è della scorsa settimana la notifica di altri sette avvisi di garanzia. Il nuovo filone di indagine per depistaggio e frode processuale vede sott'accusa ancora l'ex prefetto Provolo e altri funzionari della Prefettura, per la telefonata che il cameriere dell'hotel Gabriele D'Angelo fece alle 11,38 di quella mattina per chiedere aiuto. E che poi, dopo essere stata ignorata, sparì nei giorni successivi alla valanga.«Un comportamento ancora più grave di tutto quello che è successo», commenta Tanda, «e che dà ragione alle nostre diffidenze iniziali. Fin dai primi momenti ci chiedevamo come fosse possibile che, con tutte le richieste di aiuto partite dai 40 prigionieri dell'albergo quel 18 gennaio, fossero state documentate solo due Pec? Era nei tabulati del telefonini che si doveva cercare bene, e a quanto pare non è stato fatto. Per quale motivo non ancora si conoscono i contenuti dei telefonini di tutte le vittime? I Ris dicono che hanno analizzato solo i whatsapp perché hanno ritenuto che a Rigopiano non c'era campo, e dunque neanche traffico telefonico. Invece bisognava andare a fondo, come ha fatto la famiglia D'Angelo che tramite l'avvocato è riuscita a tirare fuori la telefonata che ha dato il via a questa inchiesta bis sul depistaggio».CHI SA PARLI. «Ma sappiamo che qualcun altro ha chiamato quel giorno per chiedere aiuto a Rigopiano», va avanti Tanda, «e allora il coraggio va chiesto anche a chi magari non ha ricoperto ruoli particolari in quei giorni di emergenza, ma sa e conosce dettagli che potrebbero essere importanti per gli inquirenti. Adesso è il momento che chi sa trovi il coraggio di parlare. Il lavoro fatto finora dalla magistratura e dagli inquirenti è stato colossale, basta leggere le 80mila pagine di atti.
MISTERO TABULATI. «Ma ci sono cose che ancora non tornano». dice Tanda, «come questa dei tabulati: perché non si conoscono i contenuti del telefonini di chi stava in quell'albergo? Perché dobbiamo scoprire adesso la telefonata alla Prefettura di D'Angelo, confermata dalla funzionaria che ci parlò quella mattina per 400 secondi. o le tre telefonate partite nella notte dopo la valanga, da sotto le macerie dell'albergo, quando il proprietario, Fabio Salzetta, era fuori già salvo? Ecco, adesso è importante che tutte queste cose vengano fuori. In questi mesi, in relazione a Rigopiano, è stato cristallizzato tutto quello che è accaduto fino al 2014, ricostruendo le presunte responsabilità. Ma ad oggi non sappiamo quello che è accaduto tra il 17 e il 25 gennaio 2017. Rispetto a quello che sta emergendo non sappiamo nulla. Per ora, sta venendo fuori che di fronte alla macchina dei soccorsi che non ha funzionato c'è stato un tentativo di depistaggio per tutelare chi doveva farla funzionare e non l'aveva fatto. Adesso più che mai dobbiamo stare attenti ed è da qui che ripartiremo. Domani (oggi ndr) la nostra attenzione sarà unicamente dedicata alla memoria e al ricordo dei nostri cari. Ma dal giorno dopo ricominceremo la nostra battaglia per loro. Per la verità».
Il funzionario: riferii a Provolo della telefonata di D'Angelo
Verzella: le linee della sala operativa la mattina del 18 non funzionavano
PESCARAL'ex prefetto Francesco Provolo non si presenta e la giornata di interrogatori di ieri, dei sette indagati della Prefettura per depistaggio e frode processuale, perde il principale interlocutore, quello che avrebbe potuto chiarire alcuni importanti aspetti dell'inchiesta bis sulla tragedia di Rigopiano. Un argomento di rilievo sarebbe comunque emerso nel corso dell'interrogatorio del funzionario Giancarlo Verzella, in relazione proprio alle telefonate prese in Prefettura nella giornata del 18 gennaio 2017, giorno della tragedia, che rappresentano il fulcro dell'inchiesta. Verzella avrebbe detto: «Non ricordo di chiamate ricevute per Rigopiano nella mattinata del 18 né nel pomeriggio dello stesso giorno». Però aggiunge un aspetto che andrà approfondito: fa una precisazione interessante quando parla delle linee telefoniche della sala operativa che quella mattina del 18 non erano ancora attive. Riferisce infatti al pm che nell'attesa di scendere nella sala operativa, e cioè intorno alle 13,30 del 18, le prime telefonate vennero prese nella sua stanza dove erano presenti la dirigente della sala operativa, Ida De Cesaris, che ieri non si è presentata per l'interrogatorio, e la funzionaria Giulia Pontrandolfo, che si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Inoltre avrebbe detto che venne a sapere di quel numero di cellulare (di D'Angelo) soltanto qualche giorno dopo il 18, dalla stessa Pontraldolfo e andò subito a riferirlo al prefetto Provolo che si trovava con il vice prefetto Bianco. Dichiarazioni che rendono, al momento, apparentemente più pesante la posizione di Provolo e di De Cesaris.Il ruolo dei due vice prefetti indagati, Salvatore Angieri e Sergio Mazzia, sembra invece piuttosto chiaro, stando almeno a quanto riferito dall'avvocato Gianluca Ursitti che assiste Mazzia. «Pensiamo di aver chiarito la nostra posizione», ha detto il legale al termine dell'interrogatorio. Il dottor Mazzia è venuto da Foggia in qualità di esperto di Protezione civile per dare una mano quando la tragedia era già avvenuta. È stato soltanto due settimane e non aveva rapporti con nessuno e soprattutto nessuna ragione per coprire cose, fatti o persone. Ha spiegato al procuratore Serpi tutto quello di cui era a conoscenza nel corso dell'interrogatorio e siamo fiduciosi che la storia si potrà chiarire». Quanto alla funzionaria Daniela Acquaviva, il suo legale, Manuel Sciolè, è stato altrettanto chiaro. «La mia assistita è una funzionaria contabile e venne chiamata nella sala operativa per dare una mano senza sapere nulla di Protezione civile. Quel 18 gennaio l'Acquaviva prese servizio in sala alle 12,45 e lo abbiamo dimostrato al magistrato. Quindi non sa nulla di quelle telefonate di cui si parla né ha saputo nulla de relato da qualche collega». La telefonata incriminata, quella fatta dal cameriere dell'hotel Rigopiano, Gabriele D'Angelo, una delle vittime della tragedia che chiedeva aiuto e sollecitava lo sgombero dell'hotel dopo le scosse di terremoto, dai tabulati risulta essere stata fatta alle 11,38: da qui la posizione difensiva di Acquaviva che si chiama fuori da tutto. Non solo, ma alla funzionaria, sempre stando a quanto sostiene la difesa, nessuno avrebbe chiesto nulla o fatto vedere provvedimenti di esibizione di documenti, in riferimento a brogliacci o fogli di appunti che gli uomini della questura andarono ad acquisire il 27 gennaio. L'Acquaviva ha però riconosciuto quel foglio di appunti trovato dai carabinieri forestali in seguito, e risultante mancante di un pezzo. Al pm avrebbe detto che alcuni di quei numeri li aveva annotati lei, ma di non sapere cosa fosse scritto nel pezzo mancante. L'altra funzionaria, Giulia Pontrandolfo, come detto, ha invece preferito non rispondere alle domande del magistrato. «Abbiamo fatto questa scelta», ha detto il suo legale Giancarlo Tucci. «perché al momento non abbiamo nessuna notizia se non quelle uscite sulla stampa. Siamo praticamente al buio, non conosciamo le carte. Veniamo a sapere di telefonate fatte in Prefettura, di orari, dai giornali. Per questo motivo abbiamo detto al magistrato che appena ci verrà notificato l'avviso di conclusione delle indagini, saremo pronti a presentare memorie e tornare davanti al pm per chiarire la posizione della nostra assistita». Il legale ha poi tenuto a sottolineare che la Pontraldolfo «è soltanto una funzionaria, e per di più assistente sociale che quel giorno, in emergenza, è stata prestata al servizio di protezione civile. Lei, come altri colleghi, catapultata nella sala operativa a prendere telefonate che arrivavano da ogni dove. Questo è tutto quello che ha fatto quel giorno». Ma la Pontrandolfo è anche quella che il 26 gennaio 2017 scese nella sala operativa insieme al funzionario Giancarlo Verzella per chiarire di chi era quel numero cellulare che era stato appuntato su di un foglietto poi ritrovato strappato dai carabinieri forestali. «L'aspetto dei brogliacci», ha detto ancora l'avvocato Tucci va comunque chiarito subito perché fondamentale. Nella sala operativa della Prefettura non ci sono brogliacci, non esistono. Li hanno in sala regionale di controllo, al Coc di Penne e altri, la Prefettura non li aveva. Veniva tutto appuntato dai volenterosi operatori su fogli volanti che finito il turno non si sa che fine facevano. E quel foglio strappato di cui si parla non riguarda la posizione della Pontrandolfo».