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Pescara, 23/07/2024
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Data: 19/01/2019
Testata giornalistica: Il Centro
Rigopiano, dolore e denuncia. «Cambieremo le leggi mai più tragedie così». Salvini e Di Maio alla commemorazione delle 29 vittime. I familiari: «È un incubo che non finisce mai». Il tempo non attenua rabbia e dolore: «Non possiamo rassegnarci sapendo che potevano essere salvati»

FARINDOLA C'è la neve a Rigopiano, come due anni fa. E non c'è più l'hotel, e non gridano più, come quel 18 gennaio, le 40 persone che erano prigioniere lì dentro, e che fino all'ultimo, con le scosse di terremoto che si ripetevano, hanno supplicato invano di essere liberate. Ma ieri mattina, dopo due anni è arrivato lo Stato lassù, ad affiancare, e ad ascoltare soprattutto, le madri e i padri, i figli, i fratelli, le mogli e i fidanzati delle vittime di Rigopiano. È il vice premier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio, intorno alle dieci, il primo ad arrivare sotto all'insegna dell'hotel trasformata in un altare del ricordo, con le foto delle 29 vittime e la scritta "Mai più". Arriva e gli va subito incontro Francesco D'Angelo, il fratello di Gabriele, il cameriere dell'hotel che quella mattina riuscì perfino a parlare con la prefettura, cinque ore prima della valanga. Ma la telefonata non solo non venne presa in considerazione, ma dopo la strage fu pure fatta sparire. Con un cuscino di 56 rose bianche, quante furono le telefonate fatte dal gemello quel giorno per chiedere aiuto, e la scritta 11,38, l'orario della telefonata sparita che ha dato origine alla recente inchiesta bis della Procura per depistaggio e frode processuale, Francesco si presenta al ministro e glielo mostra, quel cuscino di rose: «Spero che ci sarà giustizia in questa inchiesta bis fatta dall'opposizione del mio legale». E Di Maio: «Dobbiamo fare giustizia, lo Stato deve farlo, perché è assurdo quello che è successo intorno a questa tragedia. Anche quello che stiamo vedendo negli ultimi giorni. Noi siamo qui anche per far capire a quei signori da che parte siamo e da che parte sta lo Stato». E quando D'Angelo lo incalza sul mancato riconoscimento della morte sul lavoro ai tanti ragazzi non sposati che lavoravano all'hotel, Di Maio replica e promette: «In questi giorni stiamo facendo in Parlamento alcuni interventi normativi proprio su questa tragedia: tutto quello che non è stato fatto sarà fatto, sia per quanto riguarda la questione delle morti sul lavoro sia per quanto riguarda l'inizio dei risarcimenti. Ci siamo messi all'opera. Una cosa alla volta, faremo tutto. Forza. Noi ci siamo». Arriva Matteo Salvini, vice premier e ministro degli Interni. Anche lui ascolta e stringe mani, s'informa, fa domande sulle vittime, sulla valanga, sull'albergo. Poi "il Silenzio" dà il via al breve corteo dei familiari: ognuno con la foto del proprio caro stretta al petto, vanno a deporre un fiore sotto all'altare delle foto. C'è anche Gaia, che a sette anni stringe la mano del papà Giampaolo Matrone, uscito distrutto ma vivo da quella tragedia, e insieme a lui si china per lasciare un piccolo mazzo di rose rosse alla mamma, Valentina Cicioni. Poi i due vice premier chiedono ai familiari del Comitato di vedere da dove si è staccata la valanga e lì lungo la strada che sale alle spalle dell'area dell'hotel s'informano sulla struttura, di cui resta beffardo ancora il muro in cemento armato della spa. Salvini e Di Maio guardano la foto di com'era lo stesso posto la mattina di due anni prima, con le macchine che non si trovavano per quanta neve c'era. Gliela mostra Marco Foresta, uno degli orfani di Rigopiano, «Me l'aveva mandata papà», dice mentre Egidio Bonifazi, papà del receptionist Emanuele gli racconta «il terno a lotto» dei soccorsi: «Per giorni, dopo la valanga, abbiamo aspettato che li tirassero fuori e le domande erano solo vivo o morto, maschio o femmina». Scortati dal questore Francesco Misiti, dal colonnello Marco Riscaldati e dai vertici delle altre forze dell'ordine, con il portavoce del comitato Gianluca Tanda, Marcello Martella, Francesco e Alessandro Di Michelangelo, i ministri s'informano anche sull'inchiesta bis delle telefonate sparite: «Incredibile» commentano, «ci andremo a fondo». Ognuno con la sua storia, i familiari si avvicinano, raccontano, si raccomandano. E la richiesta è sempre una: «Non ci lasciate più soli». E poi «grazie». Come «grazie» dice, a Salvini, Alessio Feniello che arriva poco dopo con la moglie Maria. A Rigopiano hanno perso il figlio Stefano e mentre la madre va a piangerlo sotto la foto, e intanto grida guardando la corona inviata dal presidente della Repubblica («ti mandano una corona adesso, ma è lo spazzaneve che vi dovevano inviare»), il ministro degli Interni rassicura Feniello sulla multa ricevuta per aver violato i sigilli dell'area dell'hotel, per lasciare un mazzo di fiori. Al coordinatore regionale della Lega Giuseppe Bellachioma che dice «abbiamo pensato a una colletta», Salvini risponde «no, è una questione di principio». E davanti ai microfoni, ribadisce: «A Feniello ho detto di non pagare un euro, ci manca giusto di essere multato per andare a portare i fiori al figlio. Se c'è una legge sbagliata la cambieremo». Quindi la fiaccolata, dal bivio Mirri, dove si dovettero fermare i soccorsi per il muro di neve la sera della valanga, fino alla chiesa di Farindola. Tra i familiari sfilano anche molti dei sindaci delle città delle vittime, c'è il presidente della Provincia Antonio Zaffiri, e ci sono ancora i ministri. A Di Maio si affianca la candidata 5 Stelle alle regionali Sara Marcozzi. Il tempo di arrivare nel piazzale della piccola chiesa di San Nicola, a mezzogiorno, e dall'altoparlante don Luca Di Domizio comunica: «Con l'attardarsi della cerimonia il vescovo Valentinetti è dovuto andare via per precedenti impegni, si scusa, ha lasciato a me il compito di celebrare». Tutti dentro, compresi il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, tra i 24 indagati, e la famiglia di Giampiero Parete, sopravvissuta alla valanga. All'uscita, a chi lo sollecita sulla giustizia, Salvini risponde: «Chi ha sbagliato paghi. Io faccio il ministro, mi ero impegnato a trovare soldi e uno spazio normativo per aiutare i parenti delle vittime e i feriti e questo ho fatto. Spero che i giudici facciano in fretta il loro lavoro». E ancora: «L'Abruzzo è una terra incredibile, non chiede niente, si rimbocca le maniche, però merita esattamente la giustizia degli altri». Lo stato d'animo? «Da papà, quando parli con mamme e papà...». Ne hanno ascoltati tanti, lui e Di Maio. Per tutti la stessa promessa: dieci milioni di euro. Poi qualche selfie e via.

I familiari: «È un incubo che non finisce mai». Il tempo non attenua rabbia e dolore: «Non possiamo rassegnarci sapendo che potevano essere salvati»

FARINDOLA«La rabbia ce l'avevo già prima che arrivasse la valanga, quando pulivo, pulivo la neve con il bobcat e il piazzale dell'albergo era sempre pieno. Ce ne dovevamo andare prima, questo è. E oggi di rabbia ce n'è ancora di più». Fabio Salzetta, manutentore dell'hotel, l'ha vista in faccia quella sciagura e ce l'ha ancora nello sguardo e negli incubi che non l'hanno più abbandonato da quel pomeriggio di gennaio, quando la valanga ha abbattuto l'hotel mentre lui era entrato casualmente nel vano caldaia. Per questo si è salvato. Ma la sorella Linda, anche lei dipendente dell'hotel, no. Fabio passò il pomeriggio, la sera e la notte successiva ad aspettare i soccorsi davanti a quello che rimaneva dell'albergo e per questo con lo sguardo spento oggi dice: «Come faccio a dimenticare, ritornano sempre, di continuo, quei momenti». Di dolore e rabbia parla Annamaria Angelucci, sorella di Silvana, morta con il marito Luciano: «Passa il tempo e aumentano di pari passo dolore e rabbia. Di mia sorella non riesco a parlare senza piangere».«Voglio sapere nomi e cognomi di chi ha ucciso 29 persone», chiede Riccardo Di Carlo, rimasto orfano dei genitori con il fratello Piergiovanni e il piccolo Edoardo, uno dei quattro bambini estratto vivo dalle macerie: «Era ora che i rappresentanti dello Stato venissero, a prescindere dal colore politico. Ma adesso voglio capire, ci devono dire che cosa è successo quel giorno».«Sono sensazioni che non si possono raccontare», sospira Mario Tinari che in quella tragedia ha perso la sua unica figlia, Jessica, e il fidanzato Marco, che per lui era come un figlio. «Se ripenso a quei giorni di gennaio, dopo la valanga, all'attesa disperata in attesa dei soccorsi, sembrava di essere in un incubo. Mi ripetevo, finirà», dice Mario Tinari, «e invece ci siamo ancora dentro. E anzi, più il tempo passa e più va peggio». E a proposito del tempo, Tinari pensa anche al processo: «Io ho 66 anni, quanto dovrò ancora aspettare per vederne la fine? Quindici, venti anni? Anche questa è la rabbia, come le telefonate che si stanno scoprendo adesso: le istituzioni non solo ci hanno lasciato soli, ma ci hanno anche tradito». Il papà di Ilaria, Filippo Di Biase: «Sarà stata la neve, ma questo anniversario si è sentito ancora di più, anche se io e mia moglie veniamo quasi tutti i mesi a portare un fiore ai ragazzi. Ma non ci si abitua mai, anzi. Ogni volta è peggio». Lo ripete tra le lacrime anche Paola Ferretti, mamma di Emanuele Bonifazi, addetto alla reptionist dell'albergo. «Ogni volta che si viene a Rigopiano fa più male delle altre», confida Diana Anniballi, mamma di Valentina Cicioni, «mia figlia aveva la vita addosso, non ci si può rassegnare a quello che è successo. Non ti rassegni mai, perché sai che si potevano salvare e alla fine non li hanno voluti salvare. Hanno distrutto le famiglie. È questa la rabbia che non passerà mai».

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