RIGOPIANO «Noi ci siamo», dice Matteo Salvini. «Lo Stato è qui», dice Luigi Di Maio. Sono arrivati insieme a Rigopiano, per la celebrazione in mezzo alla neve del secondo anniversario della strage dell'hotel abruzzese con 29 morti. E il cordoglio si è mescolato alla propaganda elettorale. Si vota tra venti giorni, il 10 febbraio, per le regionali abruzzesi. E i due vicepremier, molto amichevoli l'uno con l'altro mentre sfilano tra le fiaccole dei familiari delle vittime giù per la montagna, reduci dalla battaglia comune per il decretone (a me il reddito di cittadinanza e a te quota 100), sono qui anche per sfidarsi nel voto abruzzese.
L'INCONTRO
Salvini, commosso in questo contesto di vedove e di orfani che stringe il cuore, non fa che dire ai parenti delle vittime: «Abbiamo stanziato 10 milioni di euro per risarcirvi e li abbiamo presi dal fondo speciale del mio ministero, saranno utilizzabili subito». La risposta di tutti è grazie, grazie, grazie. Riccardo, che ha perso i genitori due anni fa sotto la neve, dice sui soldi: «Era ora che arrivassero. Quelli al governo prima di voi non hanno fatto niente». E poi: «Salvini strumentalizza? Quelli di prima neanche questo sapevano fare». Di Maio anche viene accolto bene. «Siete come dei padri per noi», viene detto a lui e all'altro vicepremier. E visto da quassù, senza il velo della commozione, il governo giallo-verde non sembra impopolare. Ma il vescovo di Pescare-Penne, Monsignor Valentinetti, fiero avversario della Lega e più volte in polemica con i leghisti locali sui migranti, non ha celebrato la messa nella parrocchia di Farindola, davanti a Salvini e Di Maio. Aveva altri impegni, ma il senso politico della sua assenza è evidente.
E comunque, i due vicepremier si marcano a uomo. Uno vuole superare l'altro nel voto regionale del 10 febbraio (in quello politico del 4 marzo M5S aveva surclassato la Lega con il 49% ma stavolta il riequilibrio è sicuro) e ognuno dei due guarda vista il rivale in questa giornata e nessuno può risultare meno pop, nella commozione e nell'ascolto del dolore, del concorrente. Di Maio si presenta schierando alcuni dei parlamentari locali, da Primo Di Nicola a Gianluca Vacca, la candidata governatrice grillina, Sara Marcozzi. Salvini distribuisce carezze e parole di incoraggiamento. E ne riceve: «Continua ad essere coerente». E lui: «Mia madre ha sempre detto che sono un testone e ha ragione. Stiamo facendo quello che avevamo promesso».
L'AMMISSIONE
Intanto un funzionario delle forze dell'ordine si è avvicinato a Di Maio e gli confida: «Abbiamo sbagliato quel giorno maledetto di due anni fa nei soccorsi. C'è stato un cortocircuito, lo ammetto». La tristezza avvolge la stele, davanti ai resti dell'hotel, in cui sonno appese le foto dei 29 morti. Altre foto, incorniciate, corredate di rose, vengono messe nelle mani di Salvini e di Di Maio. Chi ha perso una figlia, chi il papà, chi la sorella, chi tutti. Gaia, di sei anni, ha perso la mamma e il papà, è rimasto ferito per sempre. Fa un tratto di strada con i due vicepremier. Una signora grida quando arriva una corona di fiori dal Quirinale: «Rivoglio mia figlia, non ho bisogno di fiori». Ma è uno sfogo isolato. Per il resto, la popolarità del governo giallo-verde qui ha un riscontro completo: «Ci fidiamo di voi», ecco il mood. Il papà di Stefano, ragazzo morto con la fidanza quel giorno della slavina, si avvicina ai politici e con un sorriso amaro dice: «Fa ridere che in questa storia intanto l'unico condannato sono io. Condannato a soffrire». E Salvini: «Faremo giustizia, ve lo assicuro».
Rigopiano unisce così il dolore e la propaganda. Ma la linea della sobrietà non viene superata dai due vicepremier. E del resto, quando un governo non va nei luoghi delle agenzie viene accusato di non esserci. Quando ci va, gli viene imputato di fare passerella. Salvini racconta la genesi del provvedimento dei 10 milioni: «Avevo detto che in una settimana avremmo trovato e stanziato quei soldi, ebbene ci abbiamo messo di meno: solo cinque giorni». Di Maio ripete più volte: «È assurdo quello che è successo». E c'è un chitarrista che suona note dolenti davanti alla carcassa dell'albergo, e lo stesso che lavorava all'Hotel Rigopiano ma quel giorno della sciagura non c'era. Intorno a loro, tra processione e messa, un popolo minuto e dolente. Che tra venti giorni andrà a votare, loro come gli altri abruzzesi.