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Data: 20/01/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
Allarme recessione mancano 4 miliardi Lite sulla manovrina

ROMA «È troppo presto per ragionare di manovra bis». Giuseppe Conte cerca di allontanare l'ombra dell'intervento correttivo. Ma è evidente che il taglio delle stime di crescita (dall'1 allo 0,6%) operato da Bankitalia per il 2019, coinciso proprio con il lancio di Reddito di Cittadinanza e Quota 100, misure bandiera del governo, sta seminando nervosismo all'interno della maggioranza giallo-verde. «Siamo agli inizi di gennaio: sono appena partite queste nuove misure ed è appena partito il nostro piano di investimenti» ha spiegato il premier. Il quale si è comunque lasciato sfuggire una frase sibillina. «Preveniamo che possa accadere il peggio e ci siamo predisposti per tempo» ha detto Conte. Non proprio una smentita rispetto all'eventualità che Palazzo Chigi, in tarda primavera, debba appunto ricorrere ad una manovra di aggiustamento dei conti pubblici. La tensione, comunque, è palpabile. Dopo le accuse di Luigi Di Maio a Bankitalia («Fa stime apocalittiche e non è la prima volta, sono diversi anni che non ci prende. Solo è strano: quando c'erano quelli di prima facevano stime al rialzo, ora al ribasso» aveva attaccato due giorni fa il vicepremier) ieri è stata la volta di Stefano Buffagni. «Confindustria ha polemizzato il sottosegretario intervistato da Maria Latella per SkyTg24 ha appoggiato il referendum di Renzi come se fosse la soluzione a tutte le criticità del mondo: gli italiani erano da una parte e Confindustria dall'altra. Se Confindustria vuole fare l'attività che le compete, e quindi difendere gli interessi del Paese, ben venga. Ma se vuole fare politica, allora vada a far politica. Ma a questo punto ecco il pesante affondo dell'esponente di governo credo che le società di Stato, le partecipate, dovranno smettere di finanziare le decine di milioni di euro che danno a Confindustria».
LA MINACCIA
Una minaccia in piena regola indirizzata verso Viale dell'Astronomia. Occorre a questo proposito ricordare che l'ipotesi che il governo avesse in mente di far uscire tutte le aziende a partecipazione pubblica (tra queste: Eni, Enel, e Leonardo) dall'associazione industriale era circolata nel corso della messa a punto della manovra. Una ipotesi, poi non concretizzatasi, alimentata in particolare da personalità di spicco della Lega. Insomma il governo sembra vivere una sorta di sindrome da accerchiamento. E a farne le spese, in queste ore, sono gli organismi che mettono in dubbio la validità della manovra, soprattutto alla luce dell'evolversi non positivo della congiuntura economica. «Certo che siamo consapevoli che forse servirà una manovra correttiva, ma confidiamo che gli elementi inseriti in legge di Bilancio possano imprimere una spinta alla crescita, tanto da scacciare questa ipotesi» spiega una fonte governativa della Lega. Fiducia e realismo si mescolano, anche se i numeri parlano chiaro. Se le previsioni di Bankitalia saranno confermate nel corso dei prossimi mesi, nel Def di aprile il governo sarà costretto a prenderne atto rivedendo il quadro tendenziale dei conti pubblici e correndo il prima possibile ai ripari con una manovra correttiva che potrebbe attestarsi attorno ai 3-4 miliardi di euro. Il conto è presto fatto. Rispetto alle previsioni del governo, che stimano un Pil a +1% nel 2010, una contrazione dello 0,4% si tradurrebbe in un aumento del deficit di poco superiore ad 0,2%. Due decimali di Pil valgono circa 3,6 miliardi di euro. Ma poiché l'Italia, per evitare l'apertura di una procedura d'infrazione, a fine dicembre ha concordato con Bruxelles un deficit al 2,04, rischierebbe con gli arrotondamenti di arrivare al 2,3%. Dunque l'intervento richiesto potrebbe aggirarsi attorno ai 4 miliardi. Non solo. Se l'andamento dei conti sarà negativo, si bloccheranno autorizzazioni di spese per 2 miliardi: una norma cautelativa introdotta proprio dopo il confronto con la commissione europea.

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