L'AQUILA Come dice Giorgia Meloni, Marco Marsilio ambisce ad essere il primo abruzzese di ritorno in una regione nuova, attrattiva, inclusiva. Un progetto politico che passa, ovviamente, per la vittoria elettorale di un centrodestra che dall'Abruzzo vuole lanciare al Paese un rinnovato segnale di coesione.
Marco Marsilio, la campagna elettorale è ormai agli sgoccioli. Che tipo di esperienza è stata?
«Straordinaria, come ogni esperienza che ti porta a percorrere centinaia di chilometri, a conoscere, o riconoscere, migliaia di persone, ad ascoltare decine di storie di sacrificio, di speranza, di sofferenza, di coraggio, di successo. Come dice Silone, l'atto supremo dell'anima è di darsi e si ha solo quello che si dona. Credo che, negli anni, ma in modo particolare in questa campagna elettorale, ho dato e ho ricevuto tanto di più dall'Abruzzo».
Sono state sviscerate a dovere le questioni preminenti per la regione o no?
«La campagna ha risentito dei tempi ristretti cui è stata condannata dalla fuga ad orologeria di D'Alfonso, con la connivenza del Pd e del centrosinistra, che hanno votato la non incompatibilità tra il ruolo di presidente di Regione e di senatore. Quegli stessi esponenti della maggioranza uscente, che hanno trovato posto nelle liste del finto nuovo e finto civico Legnini».
E, invece, dei Cinque Stelle cosa ne pensa?
«Penso che non siano in grado di declinare il bene comune. Si muovono in uno scenario in cui loro sono costantemente contro gli altri. Hanno sempre bisogno di un nemico, di un capro espiatorio per dare un senso ai loro progetti. Bisogna impedire che la Regione cada nelle mani di amministratori improvvisati, fautori di politiche di corto respiro e privi di visione programmatica. Dobbiamo salvare l'Abruzzo da un nuovo medioevo a Cinque Stelle, da una preoccupante caccia alle streghe, da un moralismo che vale solo per gli altri e mai per loro stessi. I Cinque Stelle non propongono programmi ma proclami, non idee ma pregiudizi, non soluzioni ma vaffa».
L'accusa che le è stata mossa è quella di avere una scarsa conoscenza dell'Abruzzo. Legnini le ha addirittura espresso una ironica solidarietà dicendo che lui non si sarebbe mai candidato alla presidenza della Regione Lazio. Qual è, oggi, la sua percezione delle cose?
«Legnini fa parte di quella scuola di pensiero che ritiene sia un principio sacrosanto che il figlio di due stranieri che nasce, anche accidentalmente, sul suolo patrio sia italiano, mentre il figlio di due abruzzesi sia un estraneo di questa terra. Comunque, questo stucchevole ritornello è servito a distogliere il dibattito dai temi veri della politica regionale e a distrarre gli elettori dalla disastrosa legislatura democrat. Detto questo, se Legnini vuole, lo sfido a girare per tutti gli angoli dell'Abruzzo e a confrontarci sulla rispettiva conoscenza dei luoghi. La mia percezione delle cose, sinteticamente, è che l'Abruzzo è una terra cui non manca niente: carattere, laboriosità, intelligenze, bellezze, tipicità. C'è solo bisogno della ricetta giusta per mescolare gli ingredienti con sapienza».
Quanto si sente addentro alle questioni abruzzesi?
«Io sono un uomo dell'Abruzzo, che vive l'Abruzzo e che ne conosce le esigenze: dalle ricostruzioni post sisma 2009 e 2016-2017 al tema delle infrastrutture, dalla salvaguardia dei presidi territoriali alle battaglie per le aree interne, sono sempre stato in prima fila, sfido i miei avversari a dimostrare il contrario».
Il tema dell'abruzzesità ha dominato il dibattito pubblico nei suoi confronti. Lei ha ribaltato la prospettiva dicendo che può rappresentare una risorsa. In base a quanto accaduto in questi trenta giorni quali sono i temi e le questioni per le quali il suo legame con Roma può essere un indubbio vantaggio?
«Gran parte delle politiche regionali si decide a Roma: le ripartizioni del fondo sanitario nazionale, di quello dello sviluppo e la coesione, delle risorse europee, solo per fare tre esempi, passano attraverso la cabina di regia della conferenza Stato-Regioni. Il mio legame con le istituzioni e i meccanismi della Capitale non potrà che fare del bene alla nostra regione».
Che idea si è fatta dell'Abruzzo? Quali sono le priorità da affrontare?
«Infrastrutture, sanità, lavoro - con un'attenzione particolare verso i giovani - difesa del territorio e riequilibrio tra aree interne e costiere. Se fosse possibile sintetizzare i nodi irrisolti dell'Abruzzo, direi sicuramente questi».
Come si è evoluto il rapporto con gli alleati della coalizione? La forza della Lega sarà un problema in prospettiva governativa?
«Con gli alleati i rapporti sono solidi e trasparenti. Nella fase di scelta della candidatura, naturalmente, ognuno ha provato a giocare la sua legittima partita, ma nel momento in cui le regole d'ingaggio sono state chiare e l'indicazione di Fratelli d'Italia sul mio nome definitiva, il quadro si è definito rapidamente. La forza della Lega, o di qualunque altro partito della coalizione, non potrà che essere un valore aggiunto».
Le tensioni con i centristi sono rientrate? Cosa sarà di Scoccia e Olivieri in caso di loro elezione? Ritiene davvero di poter escludere questa componente dalla maggioranza?
«Credo di aver ampiamente chiarito il mio pensiero, che è anche quello del centrodestra».
Raramente in Abruzzo si è verificata una concentrazione simile di leader nazionali di una coalizione. È avvenuto per sostenere la sua candidatura o per fare di questa tornata elettorale una questione nazionale in prospettiva europee? Come replica a chi l'accusa di aver bisogno di badanti?
«Basta andare indietro a 10 anni fa, ai tragici giorni del terremoto dell'Aquila, per capire che l'attenzione dei leader del centrodestra nei confronti dell'Abruzzo non è uno spot, ma una storia che parte da lontano e che, soprattutto, va lontano».
Il centrodestra, pur con qualche tentennamento iniziale, si è riunito in Abruzzo anticipando forse una tendenza nazionale. Può diventare un caso di studio politico? Può arrivare un messaggio nazionale dall'Abruzzo?
«Credo che dall'Abruzzo possa arrivare il segnale che un centrodestra unito e inclusivo, così come accaduto recentemente in altre regioni, sia nei prossimi anni l'unica coalizione con una vocazione maggioritaria e in grado di assicurare governi stabili a tutti i livelli».
In una precedente intervista al messaggero aveva messo la sanità tra le questioni prioritarie da risolvere dicendosi preoccupato per i conti. Hanno ragione i Cinque stelle nel preconizzare la cacciata dei direttori generali nominati dalla giunta di centrosinistra?
«Ritengo lo spoil system un principio democratico di grande responsabilità, per cui chi governa si sceglie gli uomini per attuare gli indirizzi programmatici. Per questo penso che chi è stato nominato dal centrosinistra debba essere sostituito, se in scadenza, e dovrebbe dimettersi se ancora in carica, come nel caso dei manager di Teramo e Pescara, il cui contratto va ben oltre la fine dell'attuale legislatura. Da questo, però, a usare toni da trivio tipo quelli dei grillini, che parlano di cacciate a pedate nel di dietro, ne corre di strada. La stessa che passa tra chi pensa di gestire la pubblica amministrazione come il giardino di casa propria e chi, al contrario, conosce le regole scritte e non scritte delle istituzioni e ne chiede il rispetto con la giusta fermezza».
In pochissime parole, quale sarà l'Abruzzo di Marsilio?
«Un Abruzzo unico, un Abruzzo unito, un Abruzzo più forte».