ROMA Sul palcoscenico delle elezioni regionali e poi di quelle europee il copione più gettonato, benché noioso e prevedibile, è quello del litigio. E così il dossier della Tav ogni giorno di più somiglia al totem intorno al quale ballano, o meglio si agitano, i protagonisti della politica italiana.
Ieri ennesima baruffa. Con Salvini che ha punzecchiato i Cinquestelle, questi ultimi che replicano e l'opposizione che bacchetta entrambi.
Ma andiamo con ordine. Ad aprire le ostilità ieri è stato il leader leghista. «Io, da vicepresidente del Consiglio che rappresenta gli italiani non ho l'esame costi-benefici della Tav ma pare che ce l'abbiano a Parigi. Questo è abbastanza bizzarro...», ha dichiarato Matteo Salvini, a margine di un'iniziativa a Terni. Ad irritare Salvini l'iniziativa del ministero delle Infrastrutture di consegnare in anteprima all'ambasciata francese l'ormai mitico rapporto costi-benefici sull'opera.
Non solo. Il rapporto è già arrivato, tradotto, anche a Bruxelles. La conferma della ricezione arriva direttamente dalla Commissione europea: «Abbiamo ricevuto la relazione costi-benefici - conferma la portavoce della commissaria Ue ai Trasporti, Violeta Bulc - e ora la analizzeremo».
«Abbiamo dato la relazione prima alla Francia perché si tratta di un trattato internazionale, Matteo avrà un po' di pazienza e attenderà 24 ore», ha specificato dal canto suo il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli. Che ha sottolineato: «Oggi lo abbiamo consegnato anche alla commissione Ue, Matteo deve avere ancora un po' di pazienza, quando sarà il momento gliela porterò in busta chiusa».
Sulla questione è intervenuto anche l'altro vicepremier, il pentastellato Luigi Di Maio: «Salvini stia tranquillo, neanche io l'ho letta l'analisi costi-benefici». Di Maio non si è lasciato sfuggire l'occasione di fare un po' di propaganda elettorale: «Io mi sveglio pensando ai collegamenti ferroviari fra gli italiani».
LA SORPRESA
A schierarsi con Salvini nella querelle è a sorpresa il Pd per bocca dell'ex ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, attuale capogruppo Pd alla Camera. «Trovo bizzarro - ha detto Delrio su La7 - che prima del governo e del parlamento italiano, l'analisi costi-benefici sia stata condivisa con il nostro partner europeo, alla faccia del sovranismo. Il governo, impegnato in una lite continua, non scioglie i nodi. Non è vero che non ci sono merci che viaggiano dall'Italia alla Francia, semplicemente oggi viaggiano per il 90% su gomma, e noi vogliamo invertire questa anomalia. Le merci - ha concluso Delrio - ci sono e dobbiamo portarle via treno».
Il Pd, Forza Italia e Fratelli d'Italia hanno poi attaccato duramente i Cinquestelle e il governo perché ieri il professor Marco Ponti, consulente del ministero delle Infrastrutture che ha scritto la relazione costi-benefici, ha illustrato il rapporto in parlamento al solo gruppo parlamentare grillino. Il deputato Dem Davide Gariglio ha protestato in aula con il presidente della camera, Roberto Fico. «L'ho visto con i miei occhi - ha detto Gariglio - Fico deve far valere le prerogative del Parlamento». Maria Stella Gelmini, capogruppo di Forza Italia, è arrivata a chiedere le dimissioni del ministro Toninelli.
Ma ad agitare le acque fra Italia e Francia non c'è solo la Tav. Va segnalata infatti una nota durissima del ministero degli esteri francese partita dopo l'incontro a parigi fra il ministro Luigi Di Maio e una delegazione dei Gilet Gialli. «Questa nuova provocazione - ha deplorato il ministero degli Esteri di Parigi - non è accettabile tra Paesi vicini e partner in seno all'Unione europea». Quindi l'accorato invito al «signor Di Maio, che ha responsabilità di governo, a fare attenzione a non nuocere, attraverso le sue ripetute ingerenze, alle nostre relazioni bilaterali, nell'interesse sia della Francia sia dell'Italia».
La Francia insomma fa sentire la sua voce su quella che considera una vera e propria ingerenza negli affari interni della Republique. Del resto l'incontro parigino pare abbia aperto nuove polemiche nel movimento dei Gilet Gialli poiché alcuni esponenti hanno preso le distanze da coloro che hanno partecipato all'iniziativa.
«La Torino-Lione non va realizzata perché costerebbe 6 miliardi in più»
ROMA «La Tav non si deve fare perché comporterebbe una perdita di 6 miliardi». Non solo. A questa cifra, davvero considerevole, si deve aggiungere un altro miliardo legato al mancato gettito delle accise per il trasferimento su ferro del traffico merci dall'Italia alla Francia. Sono queste, in sintesi, le conclusioni dell'analisi costi-benefici, il documento di 80 pagine che il Messaggero ha potuto visionare, arrivate sul tavolo delle autorità francesi e della Commissione Europa. E che nelle prossime ore animeranno ancor di più il dibattito politico visto che il dossier, caso singolare, non è stato consegnato subito al Parlamento, organo sovrano per eccellenza, ma a Parigi e Bruxelles, dopo essere stato gelosamente custodito al Mit per oltre 2 mesi.
IL FOCUS
Dietro al no al completamento dell'opera, scrivono i tecnici guidati dal professor Marco Ponti, No-tav dichiarato, c'è «l'anti economicità del trasporto via ferro». Che impone quindi l'immediato stop alla Torino Lione. In quanto i costi per terminarla, circa 4,7 miliardi, non sarebbero ripagati da un aumento di traffico nel medio lungo termine. Non solo. Se le merci fossero dirottate dall'autostrada ai treni ad alta velocità, l'erario avrebbe una perdita secca, da qui ai prossimi anni, di almeno 1 miliardi di euro di gettito dell'accisa sul gasolio per i Tir. Tra le diseconomie c'è poi l'extra costi legato invece alla costruzione della linea che, a dispetto di quanto stimato dal progetto originario, sarebbe di circa 6 miliardi. Costi di realizzazioni di cui non si sarebbe tenuto conto. Troppi, sempre secondo la commissione, per andare avanti. Visto che in prospettiva questi esborsi non sarebbero compensati, neanche nel lungo termine, dai benefici. Tutta l'impalcatura dello studio, che non ha trovato l'unanimità all'interno del gruppo guidato da Ponti, visto che uno dei componenti ha avanzato non pochi dubbi sulla metodologia usata e sul risultato finale del verdetto, si basa sull'assioma che è meglio saturare l'attuale linea stradale che orientare il traffico sul ferro.
DIVISIONI INTERNE
Eppure, ed è punto di divisione all'interno della commissione, non tutti la pensano così. Come non tutti i membri sono d'accordo sul fatto che sia trapelato con largo anticipo il giudizio nettamente contrario. Un risultato, quello prodotto dal gruppo di studio capeggiato da Ponti, già docente al Politecnico di Milano, scontato, visto che 5 componenti su 6 della commissione sono dichiaratamente anti Tav. Da tempo, del resto, si sapeva che i risultati sarebbero stato negativi proprio in considerazione del fatto che la scelta degli esperti era stata fatta dalla formazione politica, i 5Stelle, che avversa da sempre l'infrastruttura.
I FLUSSI
Ma nelle 80 pagine, oltre ad indicare le metodologie seguite e gli algoritmi usati, si concentra l'attenzione sul flusso del traffico merci previsto. Per gli esperti di Ponti l'interscambio tra Italia e Francia sarebbe in calo, da qui la «non necessità di puntare sulla nuova linea ferroviaria», ma di focalizzare l'attenzione solo su quella stradale, più che «adeguata a supportare i commerci tra i due Paesi».
Il flusso veicolare su terra è però ormai congestionato, visto che l'83% delle merci viene trasportata via strada, con oltre 3,5 milioni di veicoli pesanti che attraversano il confine. Solo il restante 7% transita via ferrovia, ma non perché non esista una domanda, come sostiene la commissione del Mit, ma perché, a giudizio dell'Osservatorio sulla Tav e di altri centri studi indipendenti, non «esiste più una ferrovia che risponda alle esigenze del mercato».
La commissione del Mit sottolinea del resto che la vecchia linea del Frejus - quella che la Tav dovrebbe sostituire - ha perso in 20 anni il 70% del traffico dei volumi trasportati e sta ulteriormente calando. Per Ponti questo dato rileva «l'anti economicità del trasporto via ferro». Nessun accenno invece ai costi legati alle penali in caso di stop. Sanzioni che potrebbero arrivare, tra soldi da restituire all'Europa e alla Francia, disdetta dei contratti, riprestino degli scavi, fino a 4,2 miliardi. Del resto, sottolinea il documento, la relazione è tutta centrata sugli aspetti tecnici ed economici, non volendo affrontare le tematiche strettamente legali. Spetterà ai politici decidere, valutando nel complesso tutti suggerimenti e le indicazioni. Dalla Francia hanno già fatto trapelare che non c'è nessuna ragione tecnica per fare marcia indietro.
Senza contare che lo stop, secondo i calcoli di Confindustria, manderebbe in fumo 50 mila posti di lavoro. Ma di questo nel dossier non c'è nulla.