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Pescara, 23/07/2024
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Data: 11/02/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
Ed. nazionale - Voto in Abruzzo exploit centrodestra Flop M5S, solo terzo. Il crollo dei grillini che dimezzano i voti La Lega raddoppia e diventa primo partito

L'AQUILA Il centrodestra assapora la vittoria in Abruzzo. «Un modello per il governo nazionale», esulta nella notte Giorgia Meloni. «Il centrodestra è la maggioranza naturale fra gli elettori», rilancia Silvio Berlusconi. In netto vantaggio Salvini, che insieme a Di Maio ha trasformato il voto per la regione in un test nazionale. Per la Lega potrebbe essere la prima bandierina in una regione del Centrosud. Eppoi la sorpresa: Giovanni Legnini, con il suo esperimento civico di centrosinistra, davanti alla pentastellata Marcozzi di sette punti percentuali. Una débacle grillina, come il clamoroso 10% del Pd, avendo disperso i propri voti tra le sette civiche che hanno rafforzato Legnini. Queste le indicazioni delle proiezioni Swg per La 7. Per quanto riguarda il governatore, Marsilio (Fdi) è saldamente davanti ai suoi tre avversari. Il candidato del centrodestra si attesta al 48%, staccando Legnini (centrosinistra) che si colloca al 30,6 per cento. Terza la Marcozzi (M5S) con un voto, inatteso, fermo al 21,2 per cento. Quarto Stefano Flajani di Casapound (0,6). Affluenza alle urne in calo: 53,1% contro il 61,5 rispetto alle regionali precedenti e il 75% delle politiche 2018.
Il centrodestra piazza un 48,9% a un soffio dalla maggioranza assoluta in Consiglio, dunque. Il primo partito è la Lega (26,2), il secondo posto di coalizione va a Forza Italia (9,5). Il M5S (un filo sotto il 20%) prende qualche voto in meno della candidata presidente. Il centrosinistra si piazza al 31,2, con la lista del presidente Legnini al 9,2 per cento.
I TWEET
La giornata elettorale è vissuta sui tweet di Salvini, «chi non va a votare ha già perso», accusato di aver violato il silenzio a urne aperte. Contro di lui hanno tuonato Zingaretti e Martina. Le chiavi di lettura della vigilia erano invece: Lega e M5S divisi, a differenza del quadro nazionale, pronti a lanciarsi l'uno contro l'altro terribili bordate anche in prospettiva di nuovi equilibri di governo. Il partito di Salvini (13,8 per cento alle politiche) alleato con Forza Italia (14,4), Fratelli d'Italia e centristi di Dc-Udc e Idea. I pentastellati forti del 39,9% alle ultime elezioni politiche e convinti di poter conquistare, per la prima volta, una Regione. E il terzo incomodo del centrosinistra (crollato al 17,6 per cento nel 2018), quel Legnini uscito dagli schemi per presentare una formazione allargata e inclusiva, plasmata intorno all'alto rango del personaggio.
Il tutto durante una campagna elettorale solcata, mai come avvenuto prima, dai big e leader di partito: Berlusconi, Meloni, Di Maio, Salvini praticamente, insieme o alternati, tutti i giorni e in ogni angolo della regione. Una visibilità che ha oscurato la proposta di Legnini, praticamente senza padrini eccellenti.
L'Abruzzo si è preparato a votare i quattro candidati presidenti con percorsi di avvicinamento che più diversi non si può tra i protagonisti in gioco. L'ex vicepresidente del Csm, Legnini (ex sottosegretario all'Economia) con l'eredità scomoda del 46,3% del suo predecessore, il governatore Luciano D'Alfonso, e il crac del Pd nelle elezioni politiche del 4 marzo (13,8 per cento), ha giocato il tutto per tutto. Stravolgendo gli schemi, ha varato una formazione civica, pluralista, aperta alle professioni e al volontariato. Se gli avversari hanno potuto attaccare Legnini soltanto per il simbolo Pd che occhieggia nella sua formazione, il vulnus del candidato del centrodestra Marsilio è stato la sua romanità. Figlio di genitori abruzzesi emigrati nella Capitale, il senatore di FdI, è voluto tornare nella sua terra per ragioni affettive. E questo è stato il bersaglio non solo degli altri competitor, ma anche degli altri partiti della sua coalizione (Fi, Lega, Fdi, Azione Politica, Udc-Dc-Idea). A lungo Fi ha tentato di osteggiare la sua candidatura, non particolarmente gradita nemmeno alla Lega, fino a quando Giorgia Meloni lo ha imposto con lo spadone, investitura seguita dalla benedizione di Berlusconi.


Il crollo dei grillini che dimezzano i voti La Lega raddoppia e diventa primo partito

ROMA Le regionali abruzzesi sono rilevanti sul fronte del centrodestra. In Abruzzo, infatti, il ventennale dominio di Forza Italia su quest'area è stato scalzato dalla Lega nazionale che per la prima volta in una regione meridionale diventa il primo partito.
Forza Italia non è andata male. Si colloca intorno al 10% dei consensi cedendo solo alcuni punti al suo alleato-nemico, ma certo la Lega, accreditata di un 27%, sostituisce il Pd (che alle precedenti elezioni aveva preso il 25,5% dei voti) come partito architrave del sistema amministrativo regionale.
Le cifre parlano chiaro. Nel 2014 alle Regionali in Abruzzo Forza Italia raccolse 112.000 voti e alle europee 126.000. La Lega nel 2014 alle europee (che si svolsero nello stesso giorno delle regionali) quel giorno ottenne solo 10.075 consensi pari ad un irrilevante 1,5%. Alle Regionali non c'era nemmeno una lista Lega Nord.
Il quadro nel centrodestra era comunque completamente cambiato già con le politiche del 2018 quando Forza Italia ha raccolto nella circoscrizione Abruzzo 110.000 voti (14,5% dei voti) confermando il suo tradizionale bacino di consenso. Tallonata dalla Lega di Matteo Salvini il cui simbolo fu scelto da 105.500 elettori (13,9%).
LA MALEDIZIONE
Ieri comunque la maledizione delle regionali ha colpito ancora una volta i 5Stelle che in base alle proiezioni disponibili sono arrivati terzi, dopo centrodestra e centrosinistra. Come accadde 5 anni fa e come è accaduto alle regionali del Friuli il 29 aprile del 2018. Il caso Abruzzo ha del clamoroso - ma come vedremo è tutt'altro che inaspettato - perché i pentastellati perdono un elettore su due rispetto alle politiche: l'anno scorso presero il 39,9% dei voti in Abruzzo (il 7% più della media nazionale) ieri sono scesi intorno a quota 20%.
La ragione del crollo è chiaramente politica. Gli elettori evidentemente non sono convinti delle capacità amministrative degli esponenti M5S. Ma ci sono anche ragioni tecniche. Le regionali, come tutte le elezioni amministrative, hanno proprie regole non scritte. Innanzitutto coinvolgono una quota relativamente bassa dell'elettorato. In Abruzzo ad esempio alle ultime politiche ha votato il 75% degli aventi diritto mentre alle regionali del 2014 solo il 61% degli elettori ha posato la scheda nell'urna e ieri la percentuale è scesa ulteriormente al 53,1%. Rispetto alle politiche 2018 circa 200.000 abruzzesi sono rimasti a casa.
A corpi elettorali differenti corrispondono fatalmente esiti elettorali diversi. In particolare per i 5Stelle che, essendo cresciuti sull'onda della protesta e della rabbia, si collocano nell'area più vicina all'elettorato che generalmente non vota. Questo dato penalizza automaticamente i 5Stelle alle Regionali. Basti ricordare quanto accadde il 4 marzo del 2018 quando i pentastellati vinsero alle politiche ma nello stesso giorno persero alle regionali del Lazio, risultando (guarda caso) il terzo schieramento dietro centrosinistra e centrodestra.
La prova definitiva dello scarso appeal amministrativo dei candidati 5Stelle sta proprio nelle passate regionali abruzzesi. Come detto nel 2014 in Abruzzo si votò nello stesso giorno (il 25 maggio) anche per le europee. Ebbene i pentastellati presero 200.699 alle europee (il 29,7%) e solo 148.035 alle regionali (20,1%). Praticamente un elettore M5S su quattro delle europee alle regionali tornò a votare per una delle liste del centrosinistra che in quell'anno vinse con il 46% dei consensi. Quest'anno moltissimi elettori 5Stelle sono tornati all'astensione.

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