L'AQUILA «È una sconfitta che ci dà speranza». Giovanni Legnini arriva a palazzo dell'Emiciclo all'Aquila, nella sala Benedetto Croce, con la solita aria tranquilla e apparentemente disincantata. È un po' stanco ma non perde né l'aplomb, né la lucidità del politico navigato. Ad attenderlo, giornalisti a parte, ci sono molti esponenti del centrosinistra abruzzese, da Giovanni Lolli (ormai ex presidente vicario della giunta regionale), alla senatrice Stefania Pezzopane, all'ex presidente del consiglio regionale Giuseppe Di Pangrazio, al neo consigliere Americo Di Benedetto, al segretario regionale del Pd, Renzo Di Sabatino, e poi consiglieri comunali, candidati che non ce l'hanno fatta e simpatizzanti. Legnini stringe mani, abbraccia, consola. Sì, consola, perché oggi più che mai il centrosinisra abruzzese vede in Legnini una solida àncora di salvezza. È lui l'uomo che ci ha messo una pezza e ha evitato un tracollo elettorale che solo due mesi fa era dato per scontato. Lui lo sa e non si tira indietro. Riconosce, rispondendo alle domande dei cronisti, di essere ormai il leader di una coalizione politica dai tratti liberal-democratici e cattolici con innesti di civismo e con il Pd «parte importante», ma che, i fatti lo dimostrano, «da solo non può andare da nessuna parte». Un esperimento "locale" che potrebbe avere sviluppi anche in campo nazionale. A chi gli ha chiesto se e come farà il consigliere regionale ha risposto che sarà alla guida dell'opposizione mettendo al primo posto i diritti e le esigenze degli abruzzesi. Poi ha aggiunto: quello che potrà succedere in futuro «chi può dirlo». Una porticina aperta dove Legnini potrebbe infilarsi per rivendicare un ruolo nazionale che ha già avuto ma che potrebbe "tornare" sotto forma di una forte leadership politica anche fuori dall'Abruzzo. La parola chiave in tutta la conferenza stampa è stata "ripartire". L'ha ripetuta più volte e ha fatto intendere che il centrosinistra si può salvare «solo se ritrova unità e coesione». E soprattutto se torna ad ascoltare la gente, a farsi carico dei suoi problemi evitando quella autoreferenzialità che tanti danni ha fatto nel recente passato. Legnini non nomina quasi mai Luciano D'Alfonso l'ex governatore, oggi senatore Pd, che in campagna elettorale è stato un po' il convitato di pietra. Alla domanda se D'Alfonso in questa nuova visione del centrosinistra abruzzese sia una risorsa o una palla al piede Legnini ha risposto schivando l'insidia in maniera elegante: «Non lo sento da due mesi» ha detto per sottolineare che nella contesa delle urne D'Alfonso non ha avuto ruoli di nessun genere e poi secco: «Questa però è una domanda che va rivolta al Pd» con il sottinteso che il destino politico di D'Alfonso lo deve decidere il Partito democratico che non è il partito di Legnini. Fatti loro insomma. Come ogni leader che si rispetti ha ringraziato «tutti coloro che si sono impegnati in questa difficile campagna elettorale, dai candidati a chi ha creduto nel progetto e soprattutto a chi ci ha votato». Un po' carota e anche un po' bastone quando, se pur con il tono da buon padre di famiglia, ha fatto capire che da ora in poi non si scherza più, che bisognerà finirla con le divisioni e che è necessario tornare a essere protagonisti in mezzo alle persone a cui vanno proposti valori forti e progetti di largo respiro per, ha detto, fermare una deriva populista (il riferimento è stato chiaramente a M5S e Lega) che «sta facendo e farà gravi danni al paese». I temi concreti su cui lavorare sono gli stessi sviscerati in questi mesi: lavoro, sanità, ambiente solo per citarne alcuni. E poi vigilare sull'operato «di chi è stato chiamato a governare» senza fare sconti. Legnini ha criticato la legge elettorale che la Regione si è data e «che ha consentito a chi ha preso il 20 per cento (M5S) di avere 7 consiglieri mentre chi ha preso il 30 per cento (il centrosinistra) ne ha avuti solo 5». Non ha parlato di ricorsi (almeno nell'imminenza) ma ha messo in rilievo «la possibile anticostituzionalità» di quella legge. Alla fine della conferenza stampa, nei volti bui e sconsolati di politici e simpatizzanti presenti è tornato un mezzo sorriso. Legnini oggi appare come quell'allenatore che ha perso il campionato arrivando secondo ma che già pensa a rafforzare la squadra per vincere quello dell'anno prossimo. Cosciente che i giocatori e le tattiche da utilizzare da adesso li dovrà scegliere lui. Senza imposizioni ma nemmeno cedimenti.