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Data: 13/02/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
Lo scontro tra i due vicepremier blocca i cantieri fino alle europee. I 5Stelle: stop all’opera Ma la Lega non ci sta: l’analisi non è Vangelo. Sulla Tav è muro contro muro. Il vicepremier M5S diserta il vertice di palazzo Chigi e si eclissa. Salvini: dati un po’ strani, dico sì al referendum

ROMA Uno non ha i numeri in Parlamento e l'altro non ha la forza di imporsi se non mettendo a rischio il governo. Sulla Tav si consuma la paralisi perfetta. Un gioco di interdizione tra M5S e Lega che sulla carta rappresenta una sorta di pareggio che potrebbe tornare utile in vista delle elezioni europee. D'altra parte per mettere la parola fine alla Torino-Lione occorrerebbe presentare in Parlamento un disegno di legge in grado di cancellare la legge obiettivo del gennaio 2017 che recepì il trattato siglato con la Francia. Da Torino i grillini in consiglio comunale proprio questo chiedono quando, con la capogruppo Valentina Sganga, invitano il governo «a mettere da parte i tatticismi» «fermando definitivamente tutti gli appalti» attraverso una «legge che cancelli i trattati internazionali». Ma Luigi Di Maio non ha i voti per tentare il blitz e Salvini non ha intenzione di affondare il coltello mettendo sul piatto le percentuali abruzzesi.
LA PRESSIONE
Contenziosi e arbitrati internazionali a parte, l'analisi costi benefici applicata allo stallo in corso fa però pendere la bilancia a favore dei grillini. Al partito della decrescita felice, e che considera le opere pubbliche solo per l'eventuale ricadute giudiziarie, il blocco del cantiere piace anche perché a maggio si vota anche in Piemonte e il blocco storico grillino sta tutto nei no-Tav. Salvini ha però un duplice problema. Per primo deve smentire una commissione voluta, insediata e pagata da tutto il governo. Inoltre deve contenere la pressione di quel popolo delle partite iva e di quel nord che pensa di ricompensare con la legge sulle autonomie regionali che è però bloccata, mentre corre il reddito di cittadinanza e la Tav si ferma insieme a tanti altri cantieri.
Mentre Salvini ieri ha continuato a dire la sua su tutto - dal latte a Satana - da domenica sera Di Maio si è inabissato. Più che elaborazione del lutto dovuto alla pesante sconfitta elettorale in Abruzzo, nei Cinquestelle si sostiene che si è «lavorato sul dopo» e su come correggere la strategia comunicativa puntando più sulle cose fatte che su dichiarazioni e annunci. La radicalizzazione dei messaggi al posto della grisaglia ministeriale non sembra aver pagato perchè avrebbe consolidato lo zoccolo duro - che comunque vota M5s - ma allontanato il voto d'opinione. Così come l'inseguimento dell'alleato sui temi suoi potrebbe essere quindi finita perché, come spiega la sindaca di Roma Virginia Raggi parlando di Salvini, «il lavoro» «deve essere fatto giorno per giorno talvolta anche in maniera silenziosa».
Silenzi, tensioni e fibrillazioni in casa M5S che disorientano la Lega. Salvini ieri mattina si è presentato a palazzo Chigi, per il vertice già rinviato la sera precedente, e non trova Di Maio ma la busta con su scritto No-Tav lasciata da Toninelli. Dopo settimane d'attesa l'analisi costi-benefici sulla Torino-Lione è arrivata e di fatto scaraventata come un macigno anche sulla scrivania del premier Conte. Sul tavolo del presidente del Consiglio le questioni aperte sono ormai tantissime, ma per capire come si potranno risolvere occorre attendere la decisione dei grillini sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini. Da domenica notte Tav e Diciotti vengono considerati dall'ala ortodossa limes da non valicare. E così il no alla Tav, che ieri ha ufficializzato il ministro Toninelli, sembra il primo tempo di un film già scritto dal Fatto e che sulla Diciotti potrebbe non dare scampo a Salvini.
Il leader della Lega ha compreso i rischi e ieri non solo ha evitato di commentare l'analisi della commissione no-tav di Toninelli, ma ha anche inseguito per l'intera giornata il collega vicepremier. L'attesa di un vertice di maggioranza nel Carroccio è forte perché «tre mesi di stallo su tutto sono difficili da passare». Non c'è solo il timore che un incidente possa far saltare tutto, ma soprattutto il terrore che una crisi di governo costringa Salvini a tornare nelle braccia di Silvio Berlusconi senza passare per le urne e poter quindi capitalizzare il consenso sin qui raccolto.
Di Maio è in forte difficoltà soprattutto nel Movimento, «ma prima di suicidarsi o di essere suicidato - assicurano i suoi - è pronto ad indossare la cintura esplosiva» per tirare giù il vicepremier leghista e il premier Conte. I rapporti tra Di Maio e Conte sono da qualche settimana molto complicati anche per i sospetti che viaggiano tra i grillini sul conto del premier e di un suo futuro impegno diretto in politica. Fatto sta che ieri Salvini ha difeso Conte dagli attacchi ricevuti a Strasburgo. Il M5S non è andato oltre il seppur stimato capogruppo Francesco D'Uva.

ROMA Costi benefici o no, sulla Tav il copione è sempre lo stesso: i 5Stelle (e i No-Tav) per il no, tutti gli altri, a partire dalla Lega, per il si. I numeri dell'analisi costi-benefici boccerebbero definitivamente la Tav poiché concludono che il progetto presenta una «redditività fortemente negativa». Dati «impietosi» li definisce il ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli, assicurando comunque che la decisione finale spetta al governo. Mentre proprio il capo dell'esecutivo, Giuseppe Conte, sottolinea come «le valutazioni che giustificano l'opera risalgono a 25 anni fa». Nel frattempo il vicepremier pentastellato Luigi Di Maio si eclissa e diserta il vertice convocato a Palazzo Chigi.
L'analisi sulla Tav è contestata radicalmente fin dentro la stessa commissione degli esperti, dagli industriali e da gran parte delle forze territoriali piemontesi. Nella maggioranza la Lega manda segnali chiari. Ieri sera Matteo Salvni è stato esplicito: «Resto della mia idea anche se leggerò le carte. Chi le ha lette dice che contengono dati un po' strani e comunque, se serve, sono favorevole al referendum». Per Riccardo Molinari, capogruppo del Carroccio alla Camera, «quel documento non è il Vangelo».
Il caso Tav, però, soprattutto per i fragili equilibri del governo, si intreccia fatalmente con quello della Diciotti. Oggi la Giunta per le immunità del Senato entra nel vivo del caso con il terzo round del match che vede sul ring Matteo Salvini. Partirà infatti la discussione sulla base della memoria che il vicepremier ha presentato una settimana fa. Sedici pagine in cui il ministro dell'Interno spiega perché i 177 migranti soccorsi ad agosto dalla nave militare italiana sbarcarono a Catania dopo cinque giorni, e non subito. Ed è da lì che probabilmente partirà il dibattito. Che sarà seguito con estrema attenzione dalla lega.
LA CREPA
Ieri alcuni esponenti del Carroccio manifestavano a mezza bocca il timore che i 5Stelle, in preda alle forti fibrillazioni innescate dal pessimo risultato elettorale abruzzese, possano votare a favore del via libera al processo per Matteo Salvini.
Ma intanto la gigantesca frattura nella maggioranza sulla Tav lascia ampi spazi all'opposizione. Moltissimi esponenti del Pd, da Zingaretti a Martina, da Calenda a Enrico Letta, colgono la palla al balzo per sottolineare il danno che subirebbe l'Italia dalla decisione di ritirarsi da un'opera finanziata al 40% dall'Unione Europea. «Non è da persone serie ritirarsi da un'opera pubblica internazionale già avviata», sintetizza Carlo Calenda.
Raffaella Paita, capogruppo dem in commissione Trasporti alla Camera batte sul ferro caldo e chiede che venga ascoltato in parlamento il professor Pierluigi Coppola che pur facendo parte della commissione di esperti della costi/benefici, non ha firmato l'analisi costi-benefici. ««Perché l'unico esperto neutrale rispetto a quelli scelti da Toninelli non l'ha firmata? Cosa contesta?» chiede Paita. Che poi prosegue: «Il professor Coppola deve essere audito in Commissione il prima possibile, per capire come e con quali criteri sia stata svolta un'analisi costi benefici che, da quel che si capisce, fa acqua da tutte le parti. A meno che - conclude Paita - il metodo seguito non sia stato in realtà quello dei costi ma quello dei pregiudizi».
In Piemonte i No Tav esultano chiedendo di chiudere i cantieri di «smilitarizzare» la Valle di Susa ma il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino attacca: «Ora è chiaro chi vuol mettere il Piemonte in un angolo. E adesso il governo si assuma la responsabilità di decidere, anche se temo di non sbagliare dicendo che farà, su opposte sponde, solo campagna elettorale». La sindaca Chiara Appendino (M5s), da Roma, ha invece ribadito che: «l'analisi ha confermato i dubbi che c'erano sull'utilità dell'opera. Ma spetta al governo decidere».

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