ROMA «Bene, ora è tutto chiaro: perderemo anche in Sardegna, sperando di non arrivare terzi. E i nostri elettori voteranno la Lega». Appena diventa pubblica la notizia dell'incontro al Viminale tra Matteo Salvini e la delegazione di pastori sardi in rivolta da settimane, i parlamentari grillini più coinvolti nel dossier scuotono la testa: «Ma come? E Luigi? Non è il ministro dello Sviluppo economico e anche del Lavoro? Dov'è Luigi?». Già, non c'è. E non si trova, sta «rintanato» al Mise. A dirla tutta, è da domenica che non batte un colpo e cioè nemmeno un post sui social network: una notizia. E dunque sono ore, anzi giorni, di navigazione a vista nel M5S, soprattutto tra le truppe. La convinzione diffusa, che aumenta il senso di disagio e paura per il futuro, riguarda appunto il «dopo Abruzzo». Ovvero: le regionali in programma tra due settimane in Sardegna (il 24 marzo toccherà alla Basilicata). Attenzione, qui il M5S parte dal 42,5% dalle politiche, contro il 31 del centrodestra (10,8 per la Lega) e il 17,6 del centrosinistra. Sulla carta sarebbe una pacchia. «Peccato - riprende una parlamentare - che la pacchia per noi sembra sia finita».
LA SFIDA
La prima avvisaglia c'è stata lo scorso gennaio con le suppletive del collegio uninominale di Cagliari dove si è votato per la surroga del (velista) grillino dimissionario, Andrea Mura. Non proprio una bella pubblicità per il Movimento. Tanto che il seggio è stato vinto dal centrosinistra, con Andrea Frallis, nonostante gli sbarchi di Di Maio e Toninelli. L'aria dunque non è buona. «Anzi è pessima - riprende un deputato sardo - e questa volta sarà molto peggio».
Il candidato governatore pentastellato Francesco Desogus è dato indietro rispetto a Christian Solinas. Così indietro, a sentire i parlamentari che lo dovrebbero sostenere, da giocarsi il terzo posto con Massimo Zedda. La Sardegna che fu felix rischia di essere un altro caso di scuola della crisi del M5S: «Campagna elettorale sbagliata - puntano l'indice - solo nelle coste e mai nell'entroterra dove siamo molto più forti. E poi certo comizi da star nei grandi centri, bah». E soprattutto, come appare evidente in queste ultime settimane, non è arrivata la risposta alla crisi dei pastori sardi da parte della sponda grillina del Governo.
La visita del premier Giuseppe Conte è stata «istituzionale», e pare non abbia convinto e sedato la protesta. Al contrario, appunto, delle mosse messe in campo da Salvini (l'acquisto del latte in eccedenza da parte del Viminale per le emergenze alimentari) destinate ad avere molto più presa sull'isola. Dove tra poco - una volta sbloccata la crisi tra 48 ore, come da annuncio - inizierà a tambureggiare il leader della Lega con la sua presenza. Basti ricordare il dato abruzzese: 7 visite e 19 comizi in un mese e mezzo. Risultato: il pieno di voti. Con la solita compagna glocal: i problemi del territorio, la sicurezza, Quota 100 e così via. Occorre tornare ancora una volta alle ultime politiche per capire la vastità del fenomeno sardo. Le urne, tra Camera e Senato, premiarono ben 16 parlamentari. Ora diventati 15, ma poco importa. Comunque sempre un'enormità. In questa crisi sarda sta iniziando anche la guerra del tutti contro tutti. Mara Lapia, al centro di un'aggressione ancora al vaglio dei magistrati, non è stata molto difesa dai colleghi isolani. A Luciano Cadeddu, il pastore della compagnia, viene rinfacciato in questi giorni di non influire sulla protesta dei suoi colleghi. Poi c'è Emanuela Corda, al secondo mandato, al centro di invidie per via del suo rapporto privilegiato (rispetto agli altri) con il capo politico Luigi Di Maio. Che sembra poco intenzionato a farsi vedere.