ROMA Un consiglio dei ministri lampo prende atto dell'istruttoria presentata dal ministro Erika Stefani sulle autonomie. Ma la riforma - che spoglia la Capitale di risorse e ministeri - registra subito lo stop del M5S. I parlamentari grillini fanno circolare poco prima che inizi la riunione di governo un contro-dossier che smonta tutto: «Così ci saranno cittadini di serie A e serie B».
Non solo, entrando nei dettagli costituzionali i pentastellati pongono seri dubbi sull'architettura delle autonomie differenziate, spinte della Lega.
La battaglia all'interno della maggioranza gialloverde sta per iniziare, anzi è solo rimandata a quando il dibattito si sposterà, così come vogliono gli uomini di Luigi Di Maio, in parlamento. E proprio Riccardo Fraccaro, ministro per i rapporti con il parlamento, spiega che «le Camere saranno coinvolte nell'iter» quando «ci sarà il testo finale».
Di fatto ieri sera il Consiglio dei ministri ha avviato il percorso delle intese con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna che dovrebbe portare ad attribuire a queste regioni una serie di competenze che incidono sulla vita dei cittadini a danno di Roma e del Sud: dalla scuola, alla sanità, dalle casse di risparmio fino alla sicurezza sul lavoro. Una novità, se non una rivoluzione, che entusiasma la maggior parte degli abitanti delle tre Regioni, ma spaventa i residenti della Capitale e del Sud che temono il venir meno di risorse che assicurano i servizi di base. Timori che attraversano anche la maggior parte dei partiti, a cominciare dal M5s che ha nel Mezzogiorno la sua ossatura elettorale, senza tralasciare l'opposizione: dal Pd e LeU a Forza Italia.
La trattativa tra venne avviata dal Governo Gentiloni pochi giorni prima della fine della legislatura, il 28 febbraio 2018, ed è stata portata avanti in questi mesi dal ministro per gli Affari Regionali, Erika Stefani che, ha portato oggi in Consiglio dei ministri le bozze delle tre Intese dopo il via libera del Ministero dell'Economia.
Il tema di fondo, infatti, sono le risorse finanziarie che Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna reclamano per gestire le nuove competenze: 23 quelle richieste da Veneto e Lombardia, 16 quelle reclamate dall'Emilia. Il dibattito attraversa tutte le forze politiche. Nicola Zingaretti, nella duplice veste di governatore del Lazio e candidato alla segreteria del Pd, spiega: «Esistono differenze sostanziali tra le diverse proposte portate avanti dalle Regioni sull'autonomia: una, quella di Lombardia e Veneto, di fatto vorrebbe sottrarre risorse al resto del Paese.
L'altra, come ad esempio quella dell'Emilia-Romagna del presidente Bonaccini (del Pd-ndr) punta invece a una gestione diretta e più efficiente di risorse che lo Stato già spende per competenze che verrebbero trasferite alle Regioni - senza creare disparità tra i diversi territori italiani».
I Dem hanno al loro interno i favorevoli, come i governatori Bonaccini e Chiamparino, e i contrari come i governatori del Sud, a partire da Vincenzo De Luca. Stesso scenario per FI, con Giovanni Toti favorevole e una battagliera Mara Carfagna che ha messo in guardia dai rischi di «forzature inaccettabili». Silvio Berlusconi tenta una sintesi: «Siamo favorevoli ad una maggiore autonomia ma teniamo in grande considerazione le ragioni del Sud».
CITTADINI DI SERIE A E SERIE B
Alla conclusione del Consiglio dei ministri il governatore veneto Luca Zaia si dice ottimista: «Manca l'ultimo miglio: ci sono alcune criticità per quanto riguarda l'ambiente, la sanità, le infrastrutture e la cultura ma è un testo che ora passa in mano alla politica». Matteo Salvini risponde alle critiche del dossier M5S negando che nasceranno «cittadini di serie A e serie B». Il ministro Stefani annuncia che ci sarà un «confronto del parlamento prima delle firme». Anche se premette che è difficile che «il ddl sia emendabile». Rimangono i dubbi in maggioranza. Con il M5S intenzionato a non far passare così il testo. Per questo, annuncia Salvini, la prossima settimana «ci sarà un vertice politico». Ci sanno posizioni al momento non conciliabili. In mezzo: la tenuta del governo.
ROMA La battaglia unisce tutti i leader del M5S: da Luigi Di Maio a Roberto Fico. L'ala governista e quella più ortodossa. Obiettivo: parlamentarizzare, quando sarà, il decreto sulle autonomie e soprattutto «intervenire perché così non va». Ci sono cittadini di serie A e di serie B, come è scritto nel dossier dei pentastellati fatto circolare poco prima che il consiglio dei ministri iniziasse.
Una sorta di controcanto che demolisce, punto per punto, la riforma in capo al ministro leghista Erika Stefani. Un'abile mossa di pressione che alla fine ha ottenuto i risultati desiderati.
In parallelo in queste ore dunque gli uffici della Camera, su input di Fico, sono al lavoro per trovare il «veicolo tecnico» affinché la discussione arrivi in Aula e possa incidere nel merito.
Per un MoVimento che al Sud ha fatto il pieno di voti, lo «spacca-Italia» così com'è stato pensato ed è uscito dal consiglio dei ministri è «indigeribile». «Siamo molto preoccupati», dice Giuseppe Brescia, presidente della commissione Affari Costituzionali di Montecitorio. Ieri su questo tema il contatto con i ministri M5S è stato costante e anche martellante. All'interno della compagine grillina, il terminale di dubbi, malumori e spinte interne si chiama Barbara Lezzi, ministro per il Sud, che non può permettersi di sbagliare.
Allo stesso tempo è piena consapevolezza di tutti «che le autonomie fanno parte del contratto di governo». E dunque difficilmente potranno saltare, anche perché la Lega le pone come punto dirimente per andare avanti. Sicché, per ora si prende tempo. «Tutta questa fretta e riservatezza nel definire una trasformazione epocale del nostro Paese non ha alcun senso. Il dibattito - ribadisce il deputato Luigi Gallo - va reso pubblico e va parlamentarizzato».
Partendo dal presupposto, come ha ripetuto proprio Lezzi giorni fa, che si tratta di un «negoziato» e che il M5S «sarà parte attiva». La prima strategia sarà questa: attendere e poi scatenare le truppe in Aula.
IL DOCUMENTO
Ma cosa dice il dossier grillino? «Il trasferimento di funzioni, infatti, non può e non deve essere un modo per sbilanciare l'erogazione di servizi essenziali a favore delle regioni più ricche. Insomma, guai alla creazione di un contesto in cui ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B, esito espressamente vietato dalla Costituzione. Su questo, in conclusione, bisogna essere molto chiari».
Un altro paletto riguarda i fabbisogni standard, che subentreranno dopo tre anni in cui varrà la spesa storica: «Anche su questo punto, quindi, conviene essere chiari: il MoVimento 5 Stelle non può accettare un calcolo dei fabbisogni standard legati alla capacità fiscale delle Regioni che stanno chiedendo maggiori autonomie. E si badi bene: siamo contrari perché l'esito finale non potrebbe che essere anticostituzionale».
Di qui la necessità di definire prima i Lep, i livelli essenziali di prestazioni, che garantiscono i pari diritti ai residenti in tutte le regioni. «Il conteggio dei fabbisogni, per funzionare - afferma ancora il dossier - si deve basare sulle oggettive esigenze di un territorio e di una popolazione, senza introdurre elementi in contrasto con la Carta costituzionale come l'attribuzione di maggiori fabbisogni dove c'è maggiore gettito fiscale. Altrimenti non si capisce perché non si proponga altresì di regionalizzare anche il debito pubblico italiano, facendolo pagare in proporzione alla ricchezza prodotta da ciascuna Regione e alla residenza territoriale dei possessori dei titoli di Stato». Sempre il dossier mette in evidenza un altro aspetto: così coma l'autonomia differenziata è «a rischio ricorsi». Un motivo tecnico per ribadire il no politico. Con uno spartiacque: le elezioni europee.