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Pescara, 23/11/2024
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Data: 20/02/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
No al processo Salvini con i voti dei 5Stelle Lite sul caso manette. Rivolta nel Movimento Contestazione a Grillo e Di Maio resta isolato «I grillini non esistono proprio più» E Beppe sferza i suoi ex ragazzi

ROMA Il primo atto si è concluso come da previsione. Con i 5Stelle presenti in Giunta per le elezioni (non c'era Grazia D'Angelo, la notte scorsa ha dato alla luce una bambina) che hanno votato all'unanimità contro l'autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini. Non fu «sequestro di persona aggravato»: non facendo sbarcare per 5 giorni 177 migranti dalla nave Diciotti il ministro dell'Interno agì «per un preminente interesse nazionale». La partita - finita 16 a 6 (oltre a M5s si sono schierati al fianco del responsabile del Viminale la Lega, FI e Fdi e Meinhard Durnwalder delle Autonomie, non così Pietro Grasso, Gregorio De Falco e tutto il Pd) ha avuto una coda polemica innescata dal pentastellato Michele Giarrusso.
IL FLASH MOB
Ad aspettare i commissari usciti dall'Aula di Sant'Ivo alla Sapienza c'erano infatti schierati i senatori Pd che hanno cominciato ad applaudire ironicamente, a gridare: «Vergogna! Onestà!». Stizzita la reazione dell'esponente M5S finito nel mirino con il coro «sei un burattino, restituisci lo stipendio, sei attaccato alla poltrona». Prima una reazione riferita a quanto accaduto ai genitori dell'ex premier Matteo Renzi («sono quelli che hanno i parenti arrestati»), poi il gesto delle manette rivolto ai parlamentari dem. Parapiglia, tensione a mille. Ma lo scontro vero e proprio è solo rinviato perché al momento del voto in Aula (dovrebbe esserci il 23 marzo) sono previste altre scintille, soprattutto quando prenderà la parola il vicepremier leghista. Il vero match sarà nell'emiciclo.
Esito scontato per quanto riguarda i numeri, visto che FI e FdI ribadiranno la posizione espressa ieri. Tuttavia i malpancisti M5S si preparano a disubbidire all'indicazione di voto arrivata dalla piattaforma Rousseau. «Per noi non cambia nulla», dice Matteo Mantero. Ancora più tranchant Elena Fattori: «Oggi è finito il Movimento 5Stelle come lo aveva pensato Beppe Grillo. E' un'altra cosa. Qui sono tutti terrorizzati, c'è un'aria di ghigliottina. Io osserva la senatrice ribelle voterò sì alla richiesta del Tribunale dei ministri». Timori di rappresaglia da parte dei vertici? «Sono già arrivate delle pressioni ma io sono coerente. Dopo il voto ognuno andrà per la propria strada. Io però non esco, rappresento quella minoranza che non vuole piegarsi a Salvini. Poi se vogliono far entrare la Meloni e cacciare noi facciano pure». «Siamo in recessione etica e morale, questo voto è al di fuori del regolamento», protesta Paola Nugnes.
Alla fine i dissenzienti potrebbero essere cinque o sei. E servirà una maggioranza di 161 voti, a scrutinio palese. «E' una vicenda inedita ha sottolineato il relatore Gasparri - faremo giurisprudenza. Sono molto lieto che la mia proposta sia stata accolta». I vertici M5S fanno muro. «Sarebbe un fatto anomalo che qualcuno si schieri contro la democrazia diretta», la linea. «La politica può scegliere se accogliere o meno il giudizio dei cittadini. Può decidere se imbavagliarlo oppure no», spiega il capogruppo a palazzo Madama, Stefano Patuanelli. «M5s va avanti a testa alta, non c'è stata alcuna svolta garantista», rimarca il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.
LE PROTESTE
«Sono per lo stato di diritto, non di polizia», protesta però l'ex presidente del Senato, Grasso. «Non esiste l'ipotesi di difesa dei confini dello Stato, perché i migranti erano già in territorio italiano», rincara la dose l'ex grillino De Falco. Ma la bagarre è soprattutto tra M5S e Pd. «I pentastellati hanno perso l'identità, da oggi in poi non tutti sono uguali di fronte la legge», l'affondo del partito del Nazareno. «Il voto dimostra che il vero capo è Salvini», sottolinea il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti. «Non accettiamo lezioni», taglia corto Giarrusso. Il centrodestra intanto torna ad invocare il ritorno a casa di Salvini: «Forse non conviene fare governi con persone con cui non condividi nulla, Matteo ci rifletta», afferma Giorgia Meloni. «Sono contento per Salvini ma M5S ha tradito i suoi ideali», il parere di Silvio Berlusconi.

Rivolta nel Movimento Contestazione a Grillo e Di Maio resta isolato

ROMA Presentato come «una vittoria della democrazia diretta», da Luigi Di Maio, il voto sul caso Diciotti consegna un M5S in brandelli. Beppe Grillo, al teatro Brancaccio di Roma per il suo show, viene accolto all'ingresso da un gruppo di contestatori con tanto di cartelli: «Ci avete tradito, Grillo si dimetta da Garante. Hanno barattato i nostri valori per le poltrone, sono diventati dei portavoce di Salvini». I militanti, visto che ci sono, tirano fuori una serie di temi caldi e controversi: dalla Tav al Tap, dalla libertà vaccinale al «no» all'immunità fino al «no» alla lottizzazione della Rai. Spunta un foglio: «Rousseau-Trouffeau». In platea, del gotha pentastellato, ci sono solo i ministri Alberto Bonisoli e Giulia Grillo.
Altra inquadratura. Il presidente della Camera Roberto Fico, che rispecchia in pieno quel 41% di votanti che avrebbe voluto mandare a processo Salvini, continua a ripetere in queste ore: «Ho detto pubblicamente cosa avrei fatto se l'autorizzazione a procedere mi avesse riguardato: sarei andato a processo». Intanto, ieri nei suoi uffici di Montecitorio, il presidente ha incontrato un gruppo di studiosi molto preoccupati dalla riforma delle Autonomie, cara alla Lega. Il prossimo scoglio, insomma.
E Alessandro Di Battista? Stretto nel ruolo di pungolo del governo da una settimana è desaparecido: l'ultima apparizione è stata in tv, a Di martedì, con tanto di gaffe virale: la richiesta degli applausi del pubblico. Da martedì nessuno lo ha più visto. «Vedrete, ritornerà a dare una mano per le Europee».
In tutto questo, radio-transatlantico trasmette musiche di questo tipo: tira aria di scissione, un gruppo di ortodossi, stanco della «schiavitù» nei confronti di Matteo Salvini potrebbe abbandonare la nave. Fantapolitica? Forse, ma indicativa dello smarrimento generale. Il deputato Luigi Gallo: «Il 41% degli iscritti al M5S chiede ai vertici un cambio di passo e il ritorno ai principi del M5S», scrive su Facebook. Sono in molti a parlare di «suicidio» dopo il voto sul caso Diciotti e Matteo Salvini. «In giunta per le autorizzazioni abbiamo votato con Forza Italia: Gasparri ci ha dato la linea», dicono con un moto di tristezza diversi parlamentari.
IL VOTO
Poi c'è la Sardegna: la battaglia per le regionali di domenica è già data per persa. Nessun big farà tappa sull'isola per la chiusura della campagna elettorale, il candidato spinto dal ministro dell'Interno veleggia verso il primo posto. Di Maio a questo proposito ha detto: «Francesco Desogus farà un risultato nelle sue possibilità». Più chiaro di così?
Ecco, poi c'è il giovane leader del M5S che annuncia di voler incontrare Grillo a pranzo, che dice che «siamo vivi» e che prova a rilanciare il Movimento strutturandolo di più sui territori. Ma guai, avverte, « a chiamarlo partito». Il leader sembra isolato, circondato da una ridotta di fedelissimi. Come la vicepresidente del Senato Paola Taverna che l'altra sera ha fatto il segno di «andatevene» con le mani nei confronti di chi critica la linea ufficiale del M5S. E poi li ha apostrofati «talebani». Sempre Gallo, considerato molto vicino a Fico, le risponde così: «C'è qualcuno che dice che il 41% deve andarsene, qualcun altro vuole etichettare il 41% come dissidenza. Io so invece che il 41% è pronto a mobilitarsi e vuole chiedere conto della direzione di questo governo, vuole più coerenza». La senatrice Paola Nugnes fa capire che voterà in Aula per il processo al ministro. Di Maio nei suoi colloqui riservati non vuole far passare l'idea che in questo momento ci siano una maggioranza e una minoranza che si danno battaglia. Di sicuro, anche sui territori gli mancano i punti di riferimento. Come dimostrano le posizioni nette dei sindaci M5S sempre sul caso Salvini: da Virginia Raggi a Chiara Appendino passando per Filippo Nogarin. Risposta piccata: «Vi siete fatti strumentalizzare, mi cadono le braccia». Il capo politico sa che in questa fase la sua leadership è sott'esame. Di fatto è stretto tra una larga area di dissidenza interna e la morsa della Lega, che non molla di un centimetro su ogni dossier. «Si spera sempre che il Movimento possa morire per tornare a quelli di prima, ma io non la do vinta», è il grido di battaglia del vicepremier pentastellato. Che adesso sa di dover portare a casa un risultato forte e identitario per placare i malumori interni. La madre di tutte le battaglia si chiama Alta velocità, poi ci sono le autonomie di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Ed ecco che la morsa diventa pressante, per Di Maio. Ancora una volta.

«I grillini non esistono proprio più»
E Beppe sferza i suoi ex ragazzi

ROMA Entra da dietro, al Brancaccio, Beppe Grillo: per evitare le contestazioni fuori dal teatro dove è tornato con Insomnia. E appena è sul palco, avverte semi-serio: «Sono preda di attacchi e di invettive. Dicono che sono diventato un comico governativo. Riempitemi di vaffa, vi lascio quindici minuti alla fine dello show per insultarmi però pagate un supplemento». E ancora: «Non so più chi sono. Forse neanche un grillino. Ma esistono ancora i grillini felici? No, non esistono proprio più i grillini».
PARADOSSI
Si ride. Ma lo sbandamento di Beppe, rispetto a M5S, è evidente. Contro la Raggi e Di Maio dice: «L'assessora romana Pinuccia Montanari si è dimessa ma resta una eroina. È bravissima». Il paradosso è in scena. Quello di lui che non si trova più per niente bene nel Movimento - li considera mestieranti della politica e non ha condiviso il voto su Rousseau: una cosa da pazzi tra Comma 22 e Procouste - e di lui che, fuori dal teatro, viene contestato dai pasdaran dell'identità vetero-grillina che lo ritengono troppo complice di Di Maio che si è piegato a Salvini in nome del partitismo e del poltronismo. «Grillo dimettiti da garante», dice il cartello che gli ex amici di Beppe («Fico? Un traditore e un pusillanime anche lui») sventolano in questo pasticciaccio brutto di via Merulana. Un poster appeso polemicamente all'ingresso della sala parla in francese maccheronico della truffa 5 stelle del salva-Salvini: «Rousseau-Trouffeau».
POCHI PENTA-VIP
A un certo punto, Grillo attacca: «Basta pensare solo a sti c... di scontrini. La politica è altro». Il ministro dimaiano della cultura, Bonisoli, è l'unico penta-vip ben visibile. All'uscita spunta anche Giulia Grillo. Mentre tutti gli altri dirigenti del Movimento se ne infischiano del vecchio guru che deve accontentarsi di un paio di peones e del mitico ex senatore berlusconiano Antonio Razzi che dice: «L'hanno mollato i suoi a Grillo, ora lo aiuto io». «Banda di poracciiiiii...», gridano intanto fuori dal Brancaccio i grillini ancora convinti. E i delusissimi rispondono: «Lecchiniiiii...». C'è l'ombra della scissione M5S? Forse, sì.
Grillo impazza in scena: «Ora le manette ai polsi le abbiamo noi e quelli del Pd gridano onestà-onestà-onestà. Ecco come è cambiato il mondo». E ancora: «Dicevamo tante belle parole guerriere e adesso invece... Ci ritroviamo con Salvini. Stiamo cercando di far diventare intelligenti quelli della Lega, missione impossibile. Hanno programmi sballati, non capiscono niente, vivono in un altro mondo». E Salvini? «Quando fu concepito, la mamma si era dimenticata di prendere la pillola. Ora è diventato uno Zelig, si traveste sempre: a volte da poliziotto o da pompiere ma a volte anche da negro». I loro programmi? «Inconciliabili con i nostri». Appunto.
Però non sa davvero più che cosa essere Beppe. Pattina, dissimula. Non riesce a mollare Di Maio davvero ma neanche riesce ad aderire a tutto ciò che disprezza: la tattica, il realismo politico, la sopravvivenza di partito. È talmente Elevato l'Elevato che si perde in fumisterie satiriche ed è un modo per cerchiobotteggiare. O sognare un mitico ritorno all'Arcadia combat: «Ah, quando c'era Casaleggio...».
Gianroberto Casaleggio non c'è più ma di fronte al salvataggio politicista di Salvini avrebbe condiviso l'imbarazzo del suo amico Beppe. E più che al fondatore di M5S, Di Maio sembra obbedire a Salvini. «Ah, si? Ma io non sono geloso», grilleggia Grillo. Che incarna ormai - ma non se ne vuole fare simbolo perché in fondo è un tattico anche lui - il passato di una illusione, quella della diversità di M5S, quella di un altra politica possibile, non inchiodata all'interesse di bottega.
LA MASCHERA
E allora la maschera di se stesso che Beppe indossa arrivando a Roma, e la mette sul suo viso entrando e uscendo dall'hotel Forum, serve a denunciare che la faccia vera, quella della purezza anti-politica e manettara, si è persa e si sta provando a indossarne un'altra obbligata dalle circostanze e dalle convenienze di governo ma scomoda e posticcia.
Come eravamo, e come non siamo più: Beppe ormai è la dolente l'icona di questo. Ma non sembra deciso ad arrendersi del tutto, non ha intenzione di fare questo favore a Di Maio e a Casaleggio: «Ma che politica è questa politica! Non possiamo ricominciare a pensare?».

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