ROMA «Entro due settimane comunicheremo la decisione. Faremo una scelta con gli alleati». Mentre alla Camera passa la mozione della maggioranza sulla Tav (261 voti a favore, 136 contrari e due astenuti: circa 70 voti in meno della maggioranza giallo-verde sulla carta), il ministro dei Trasporti, Toninelli, conferma il timing per dire sì o no all'Alta velocità. Telt, la società metà italiana e metà francese responsabile della realizzazione della infrastruttura, ha optato per un rinvio di quindici giorni. E la Lega «per non perdere fondi europei» punta affinché ci sia il via libera ai bandi di gara al momento congelati. «Poi questa la tesi siccome la Telt è sotto la giurisdizione francese se ne potrà sempre discutere, ma intanto diamo un segnale». «Le parole sono a zero, il Piemonte non accetterà di essere nell'angolo», taglia corto il governatore della regione, Chiamparino, mentre le imprese piemontesi minacciano il fermo delle attività. Corrado Alberto, presidente di Api Torino, ventila «un fermo delle attività produttive, d'accordo coi lavoratori, per dire che il sistema imprese e lavoro non cede il passo a chi vuole distruggere il nostro futuro».
Salvini pensa di forzare la mano, per poi arrivare ad una mini-Tav e spendere i soldi risparmiati per realizzare infrastrutture al Sud. Ma il muro del Movimento 5Stelle resta, anche se Di Maio continua a dire che alla fine si troverà un accordo. Al momento la mozione Lega-M5S è solo un compromesso. I pentastellati avrebbero voluto citare le cifre dell'analisi costi-benefici nel documento, il Carroccio ha rilanciato con la necessità di inserire cifre diverse. Alla fine si è deciso di attestarsi sul contratto firmato dai due vicepremier. Contratto che però, ha ricordato Salvini ieri sera, «non è la Bibbia: nei prossimi mesi o anni bisognerà riaggiornarlo, perché l'economia va avanti. Magari ne riparleremo non nel 2019, ma nel 2020. Che ci siano punti di distanza tra noi è chiaro».
Nella mozione sulla tav Lega ha dovuto incassare quella frase «il progetto va ridiscusso integralmente» che ha fatto sì che l'opposizione denunci uno «scambio» tra i due azionisti dell'esecutivo, dopo il salvataggio del ministro dell'Interno da parte M5S sul caso Diciotti. Tesi respinta dal segretario della Lega, che con i suoi ricorda come anche nel testo che ha avuto semaforo verde di Montecitorio si parla di «applicazione dell'accordo tra Italia e Francia». Dunque dovrà esserci per forza un'intesa tra Roma e Parigi, il ragionamento.
La partita politica in ogni caso è bloccata fino alle Europee con i big leghisti che non nascondono sotto traccia l'irritazione per i paletti grillini. «Così non si va avanti, è uno scandalo. Diamo un messaggio di bloccare le opere e così ci isoliamo dal mondo», il refrain. «La Tav va fatta», ripete il responsabile del Viminale. «La mozione va nella giusta direzione. L'opera va bloccata», la risposta M5S.
DIPLOMAZIA CIVICA
C'è intanto una diplomazia civica parallela che lavora per bypassare M5S e Lega. Ieri il sindaco di Milano, Sala («senza la Tav saremo in serie B dell'Europa», ha spiegato) ha incontrato il primo cittadino di Lione. L'ex ministro dell'Interno francese, Gerard Collomb, prevede che la Torino-Lione si farà e contesta l'analisi costi-benefici realizzata dal Mit: «E' inesatta, sottovaluta l'impatto della mobilità».
LA BARRIERA UE
Bruxelles non cede, anzi è tornata a minacciare ritorsioni dal punto di vista economico. Non cede il presidente di Confindustria, Boccia, secondo cui dire no alla Tav vuol dire perdere 50mila posti di lavoro. E non cedono neanche le opposizioni, nonostante le mozioni di FI, Pd e Fdi che sollecitavano lo sblocco dei bandi di gara siano state bocciate dopo il parere negativo da parte del governo. Berlusconi ha riunito lo stato maggiore azzurro e incontrato esponenti del comitato Sì Tav mentre il presidente FdI, Meloni, si dice «molto arrabbiata». Sulle barricate il Pd che nell'Aula della Camera ha esposto cartelli «salva Salvini e boccia la Tav».
Francia e imprese in trincea contro il rinvio. A Conte il mandato di ricucire con Parigi
ROMA «L'ottimismo è il profumo della vita», e Giuseppe Conte, come lo sceneggiatore Tonino Guerra, ne fa sfoggio in grande quantità a palazzo Madama. Nessuna manovra, niente tagli alle regioni, tanti investimenti. Non una parola sulla Tav che ormai è diventata l'emblema dells possibilità di investire in Italia. Ma Conte si muove e parla nello stretto recinto dei temi sui quali i suoi due vicepremier hanno più o meno trovato l'accordo, e su questo l'intesa è lontana anche se il premier conta di discuterne in settimana con Di Maio, Salvini e Toninelli.
IL FUOCO
«L'orrendo scambio» - come definisce l'ex segretario della Lega Roberto Maroni il presunto do ut des tra lo stop all'opera e il no al processo sulla Diciotti - non permette ancora a Matteo Salvini di spingere il piede sull'acceleratore. Ieri pomeriggio, lasciando il Senato insieme a Conte, è però il ministro Toninelli a promettere una decisione «al massimo entro due settimane». Come dire che il M5S intende avvicinare il più possibile la scelta sulla Tav al voto che ci sarà in aula sulla Diciotti. La tensione nel Movimento è forte. Dopo l'Abruzzo il M5S si accinge a perdere male anche in Sardegna dove, a differenza di Salvini, il vicepremier grillino non intende mettere piede sino a domenica. Il vicepremier fa di tutto per non gettare altra benzina sul fuoco della pattuglia grillina che al Senato dovrà votare in aula il no al processo a Salvini. Il leader della Lega non sembra preoccupato, visto che i suoi alleati-local - FI e FdI - sono pronti a schierarsi per il no. Ma Di Maio deve cercare di ridurre al massimo la pattuglia dei dissenzienti, ultimamente rafforzata dai senatori De Falco, Nugnes e Fattori. Andare oltre significa che, dopo le promesse espulsioni, il M5S non è più in grado di garantire alla Lega la maggioranza. Tra astensioni e voti a favore la Lega avrebbe già una corposa ruota di scorta, i FdI della Meloni, pronti ad entrare in maggioranza. Ma per Di Maio sarebbe un problema non da poco soprattutto se i numeri dovessero rafforzarsi con qualche fuori uscito di Forza Italia e alla luce della intenzione di Salvini di rivedere il contratto di governo.
Per tenere compatti i suoi Di Maio può concedere in questo momento molto poco all'alleato. La Tav, come l'autonomia delle regioni, sono argomenti che rischiano di affossare ancor più il Movimento. «Arriviamo a maggio e dopo le Europee faremo partire il cantiere della Torino-Lione», confida un sottosegretario grillino assiduo frequentatore di palazzo Chigi. Il problema è però - oltre alle penali da pagare alle imprese - come convincere i francesi dello slittamento. I rapporti con il governo Macron non sono dei migliori e c'è chi al governo interpreta il pressing di Bruxelles degli ultimi giorni come la voglia tutta francese di non voler concedere altro tempo al governo sovranista italiano e a quella parte che a Parigi ha incontrato rappresentanti dei gile gialli che, oltre a spaccare vetrine, contestano anche loro la Tav. Un tentativo lo farà oggi di Maio incontrando l'ambasciatore francese in Italia, Christian Masset, e parlare anche di una richiesta di incontro tra Conte a Macron.
Spettasse al premier decidere, il cantiere di Chiomonte sarebbe ripartito da tempo, ma nel M5S è scattato ormai l'allarme rosso per le percentuali che danno il Movimento in caduta libera. Il vertice a tre di ieri - Di Maio, Grillo e Casaleggio - conferma il grave momento che attraversa il Movimento. Ma una strategia diversa dal continuare nell'esperienza di governo con la Lega per ora non si vede e il timore che Salvini possa decidere di andare al voto dopo le Europee, è forte.
I pessimi segnali che arrivano dall'economia hanno però cominciato ad innervosire anche la Lega. Contro lo stop alla Tav, confermato ieri alla Camera della maggioranza, si sono scagliati gli imprenditori veneti e lombardi che operano in regioni dove il Carroccio ha il suo core business. Arrivare a maggio, anche per Salvini, rischia di essere più complicato del previsto visto il sommarsi di indici e pronunce che danno il Paese fermo e - malgrado Conte - particolarmente pessimista sul futuro. Un clima negativo che rischia di frenare anche i benefici che sarebbero dovuti arrivare da Reddito e Quota100. Ovvero è possibile che i soldi del Reddito vadano al risparmio e che mandare in pensione prima non è detto che produca nuove assunzioni.