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Pescara, 23/11/2024
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25/02/2019
Il Messaggero
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Sardegna, tracollo M5S. Centrodestra avanti. testa a testa con Zedda. Oggi lo spoglio. Exit poll: Solinas precede di 1,5 punti il candidato di centrosinistra. Frana di FI, il Carroccio non sfonda e passa da 11 a 15%. Grillini sotto il 20. Ora Salvini teme il contagio, pressing dei suoi per rompere |
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CAGLIARI «Il governo va avanti e non teme scossoni». Lo dicono Conte e Di Maio e lo dicono anche in riferimento al voto sardo. Lo spoglio è oggi ma gli exit poll, per quel che valgono, dicono di un testa a testa sorprendente, rispetto alle previsioni della vigilia. Tutto faceva pensare - ma le piazze piene, e per Salvini sono state pienissime, non sono sempre un indice sicuro - che il vento leghista facesse subito balzare in alto il candidato del centrodestra, Christian Solinas. Invece, al netto di come poi andrà a finire la conta reale dei voti, gli exit poll (a cura del consorzio Opinio per la Rai) descrivono un testa a testa tra Solinas e il candidato governatore del centrosinistra: Massimo Zedda, sindaco di Cagliari. Queste le cifre: Solinas in una forbice tra il 36,5 e il 40,5 per cento; Zedda tra il 35 e il 39; e terzo il candidato grillino, Desogus: tra il 13,5 e il 17,5 per cento. E quest'ultimo, se confermato, è già un dato importante: il tracollo di M5S che alle elezioni politiche ha avuto il 42,5% e ora non toccherebbe neppure il 20. Sul fronte del centrodestra, però, Salvini già dal mattino doveva aver percepito che la marcia di Solinas poteva procedere meno di slancio di come ci si era aspettato. IL SILENZIO VIOLATO Infatti, il capo leghista ha martellato - a dispetto del silenzio elettorale e delle proteste del Pd - con appelli multimediali a votare Lega mentre i sardi erano ai seggi. «Se pensate anche voi che sia una buona idea ripopolare la Sardegna con gli immigrati (!), come vorrebbe un assessore del Pd, oggi votate loro. Per tutti gli altri c'è solo il voto alla Lega». Tweet così. E video propagandistici diffusi a raffica. Post su Facebook. Di fatto, la distanza tra Solinas e Zedda sarebbe soltanto di un punto e mezzo a favore del candidato salvinista. Il quale non parrebbe aver portato granché alla coalizione. Al contrario di quanto ha fatto invece Zedda sul fronte opposto, in favore del quale è scattato il voto disgiunto: ovvero consensi al candidato governatore ma non alla coalizione che lo sostiene. E Zedda si è giovato anche dell'alta partecipazione al voto nella città che amministra: a Cagliari ha votato il 59% degli aventi diritto con un aumento del 5,5% rispetto alle regionali precedenti. Complessivamente l'affluenza nella Regione è stata del 53,8% contro il 52,2% delle consultazioni di 5 anni fa. La differenza tra le coalizioni del centrodestra e del centrosinistra è notevole secondo le stime di ieri sera: tra il 43 e il 47% il centrodestra e tra il 27 e il 31 per cento il centrosinistra trainato dal non-dem Zedda. Mentre M5S anche nei voti di partito, oltre che in quelli per il candidato, con il 14,5-18% è il primo partito ma scende più in basso rispetto alla fatidica soglia del 20 per cento che è quella sotto cui Di Maio - che pure non si aspettava nulla di buono da questa consultazione - non voleva proprio andare. E se il governo non cadrà per questo, le scosse ci saranno eccome. I GRILLINI: NOI PRIMI Ma i vertici del partito grillino si dicono contenti: «Siamo il primo partito in Sardegna, secondo gli exit poll, è la prima volta che ci presentiamo alle Regionali nell'isola e entriamo finalmente in consiglio». Altro dato è quello del non sfondamento della Lega. Il 4 marzo alle politiche prese il 10,8. Stavolta con il 15 nessun exploit (come in Abruzzo). E nessuno sfondamento del tetto del 20 per cento, come molti - a cominciare dai vertici del Carroccio - pensavano. C'è da dire però che il voto potenzialmente leghista si è sparpagliato tra le undici liste anche civiche della coalizione a sostegno di Solinas. Il che vale anche per il Pd che ha retto bene in questo voto: aveva il 15 alle politiche e lo tiene nonostante le civiche. Mentre Forza Italia si è dimezzata: dal 14,8 al 6. I voti veri arriveranno oggi, ma la tendenza già c'è.
ROMA Matteo Salvini, dopo giorni e giorni trascorsi a battere palmo a palmo la Sardegna, non se l'aspettava di rischiare la prima sconfitta elettorale dell'era giallo-verde. Ma visti gli exit-poll che danno un testa a testa tra il candidato del centrosinistra e quello del centrodestra, il capo della Lega si consola con la crescita della Lega. Comunque al di sotto delle aspettative. E soprattutto si preoccupa per il tracollo dei 5Stelle, usciti più che dimezzati dal voto sardo: «Ora speriamo che non implodano...». Per Luigi Di Maio, che già due settimane fa aveva visto dimezzati i consensi del Movimento in Abruzzo, la nuova batosta è un colpo durissimo. Voti più che dimezzati rispetto a un anno fa (dal 42,5% al 14-18%), anche se M5S resta il primo partito dell'Isola. Certo, lo schema classico della politica vorrebbe che prima della resa dei conti i grillini attendessero le elezioni europee di maggio. Ma Salvini teme che per provare a invertire la tendenza ed evitare un nuovo tracollo elettorale fra 90 giorni, in una parte del Movimento si affermi l'idea di far saltare tutto. Governo incluso. Oppure di alzare, senza se e senza ma, com'è già avvenuto dopo il voto abruzzese, le bandiere identitarie dell'ortodossia grillina. A cominciare da uno stop definitivo alla Tav e da un'accelerazione della crociata per l'acqua pubblica. Operazione in apparenza più facile, considerato il mancato exploit della Lega e se il centrodestra dovesse perdere in Sardegna. Di certo, si annunciano giorni molto difficili per palazzo Chigi. La prima ipotesi, l'implosione dei 5Stelle, è quella che più allarma Salvini. Il capo leghista, che fino a ieri era riuscito a trasformare l'alleanza con Di Maio in un moltiplicatore di voti per sé, non ha intenzione di andare a nuove elezioni. Non subito, almeno. Prima vuole continuare a prosciugare i consensi del Movimento e di Forza Italia, spingendo Silvio Berlusconi verso un'eclissi definitiva. IL PRESSING Però nella Lega si fa di giorno in giorno più forte - e da ieri sera lo è ancora di più - il pressing per spingere Salvini a «rompere subito». Perché per alcuni il voto sardo dimostra «il rischio del contagio grillino». Perché al Nord il reddito di cittadinanza, la politica assistenzialista e statalista dei 5Stelle, la loro avversione alle grandi opere, è sempre più urticante. «La nostra gente non ne può più di quei talebani, di quegli scappati di casa», dice un altissimo esponente nordista del Carroccio. Perché i governatori Attilio Fontana e Luca Zaia covano un rancore sordo per lo stop imposto dai grillini all'autonomia differenziata. E perché in molti, compreso Giancarlo Giorgetti, temono che se Salvini non taglierà subito il cordone ombelicale che l'unisce a Di Maio, perdendo la finestra elettorale di questa primavera, alla fine farà pagare alla Lega tutte le «criticità» dell'«alleanza contro natura» con il Movimento. «Se non si vota adesso, si finisce alla prossima primavera», dice un altro dirigente lumbard, «le elezioni in autunno, in piena sessione di bilancio, sono infatti praticamente impossibili. E stare un altro anno in compagnia dei grillini e della loro visione anti-storica dell'economia in piena recessione, rischia di trascinare all'inferno pure noi. Non si può vivere solo della lotta ai migranti...». L'ALTERNATIVA In caso di implosione del Movimento, l'alternativa al voto anticipato potrebbe essere la nascita di un governo guidato da Salvini. Schema che non piace al diretto interessato, preoccupato di fare la fine di Matteo Renzi. Ma è molto gradito ai parlamentari della Lega, di Forza Italia e di Fratelli d'Italia e, si narra in ambienti del Carroccio, anche «a una grossa fetta di deputati e senatori grillini». Insomma, nessuno a un anno dallo sbarco in Parlamento vuole rinunciare a stipendio e poltrona. E c'è chi scommette (e spera) in una scissione del Movimento: da una parte l'ala più moderata e governista di Di Maio, dall'altra gli ortodossi. Con un problema: Berlusconi. Salvini non intende più andarci a braccetto a livello nazionale. E con una convinzione: il leader 5Stelle, al contrario del capo leghista, farà di tutto per evitare le elezioni, dato che al prossimo giro non sarà lui il candidato premier del Movimento. Se invece i grillini reggeranno l'impatto del nuovo tracollo elettorale e decidessero (per istinto di sopravvivenza) di andare alla guerra sulla Tav, Salvini è pronto allo scontro. Dopo la performance in Sardegna inferiore alle attese e allo sforzo compiuto e dopo aver dovuto ingoiare il rinvio dell'autonomia differenziata, il capo della Lega in vista delle Europee non può permettersi altri cedimenti. Tanto più che l'ipotesi di uno slittamento della decisione sull'Alta velocità a dopo le Europee, è ormai tramontata: il 15 marzo vanno aggiudicati appalti per 2,3 miliardi, oppure Bruxelles si riprenderà indietro 300 milioni già stanziati.
Ora Salvini teme il contagio pressing dei suoi per rompere
ROMA Matteo Salvini, dopo giorni e giorni trascorsi a battere palmo a palmo la Sardegna, non se l'aspettava di rischiare la prima sconfitta elettorale dell'era giallo-verde. Ma visti gli exit-poll che danno un testa a testa tra il candidato del centrosinistra e quello del centrodestra, il capo della Lega si consola con la crescita della Lega. Comunque al di sotto delle aspettative. E soprattutto si preoccupa per il tracollo dei 5Stelle, usciti più che dimezzati dal voto sardo: «Ora speriamo che non implodano...». Per Luigi Di Maio, che già due settimane fa aveva visto dimezzati i consensi del Movimento in Abruzzo, la nuova batosta è un colpo durissimo. Voti più che dimezzati rispetto a un anno fa (dal 42,5% al 14-18%), anche se M5S resta il primo partito dell'Isola. Certo, lo schema classico della politica vorrebbe che prima della resa dei conti i grillini attendessero le elezioni europee di maggio. Ma Salvini teme che per provare a invertire la tendenza ed evitare un nuovo tracollo elettorale fra 90 giorni, in una parte del Movimento si affermi l'idea di far saltare tutto. Governo incluso. Oppure di alzare, senza se e senza ma, com'è già avvenuto dopo il voto abruzzese, le bandiere identitarie dell'ortodossia grillina. A cominciare da uno stop definitivo alla Tav e da un'accelerazione della crociata per l'acqua pubblica. Operazione in apparenza più facile, considerato il mancato exploit della Lega e se il centrodestra dovesse perdere in Sardegna. Di certo, si annunciano giorni molto difficili per palazzo Chigi. La prima ipotesi, l'implosione dei 5Stelle, è quella che più allarma Salvini. Il capo leghista, che fino a ieri era riuscito a trasformare l'alleanza con Di Maio in un moltiplicatore di voti per sé, non ha intenzione di andare a nuove elezioni. Non subito, almeno. Prima vuole continuare a prosciugare i consensi del Movimento e di Forza Italia, spingendo Silvio Berlusconi verso un'eclissi definitiva. IL PRESSING Però nella Lega si fa di giorno in giorno più forte - e da ieri sera lo è ancora di più - il pressing per spingere Salvini a «rompere subito». Perché per alcuni il voto sardo dimostra «il rischio del contagio grillino». Perché al Nord il reddito di cittadinanza, la politica assistenzialista e statalista dei 5Stelle, la loro avversione alle grandi opere, è sempre più urticante. «La nostra gente non ne può più di quei talebani, di quegli scappati di casa», dice un altissimo esponente nordista del Carroccio. Perché i governatori Attilio Fontana e Luca Zaia covano un rancore sordo per lo stop imposto dai grillini all'autonomia differenziata. E perché in molti, compreso Giancarlo Giorgetti, temono che se Salvini non taglierà subito il cordone ombelicale che l'unisce a Di Maio, perdendo la finestra elettorale di questa primavera, alla fine farà pagare alla Lega tutte le «criticità» dell'«alleanza contro natura» con il Movimento. «Se non si vota adesso, si finisce alla prossima primavera», dice un altro dirigente lumbard, «le elezioni in autunno, in piena sessione di bilancio, sono infatti praticamente impossibili. E stare un altro anno in compagnia dei grillini e della loro visione anti-storica dell'economia in piena recessione, rischia di trascinare all'inferno pure noi. Non si può vivere solo della lotta ai migranti...». L'ALTERNATIVA In caso di implosione del Movimento, l'alternativa al voto anticipato potrebbe essere la nascita di un governo guidato da Salvini. Schema che non piace al diretto interessato, preoccupato di fare la fine di Matteo Renzi. Ma è molto gradito ai parlamentari della Lega, di Forza Italia e di Fratelli d'Italia e, si narra in ambienti del Carroccio, anche «a una grossa fetta di deputati e senatori grillini». Insomma, nessuno a un anno dallo sbarco in Parlamento vuole rinunciare a stipendio e poltrona. E c'è chi scommette (e spera) in una scissione del Movimento: da una parte l'ala più moderata e governista di Di Maio, dall'altra gli ortodossi. Con un problema: Berlusconi. Salvini non intende più andarci a braccetto a livello nazionale. E con una convinzione: il leader 5Stelle, al contrario del capo leghista, farà di tutto per evitare le elezioni, dato che al prossimo giro non sarà lui il candidato premier del Movimento. Se invece i grillini reggeranno l'impatto del nuovo tracollo elettorale e decidessero (per istinto di sopravvivenza) di andare alla guerra sulla Tav, Salvini è pronto allo scontro. Dopo la performance in Sardegna inferiore alle attese e allo sforzo compiuto e dopo aver dovuto ingoiare il rinvio dell'autonomia differenziata, il capo della Lega in vista delle Europee non può permettersi altri cedimenti. Tanto più che l'ipotesi di uno slittamento della decisione sull'Alta velocità a dopo le Europee, è ormai tramontata: il 15 marzo vanno aggiudicati appalti per 2,3 miliardi, oppure Bruxelles si riprenderà indietro 300 milioni già stanziati.
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