ROMA Dal conclave di Palazzo Chigi arriva sulla Tav un'altra fumata nera. Ma ancor più nero dev'essere l'umore di Luigi Di Maio. È un dilemma impossibile da sciogliere, quello che il capo politico del Movimento si trova a vivere nei giorni che lo separano dalla scelta definitiva sulla Torino Lione. Se venerdì arrivasse il via libera all'opera il leader finirebbe triturato dalla base stellata. Viceversa lo stop rischia di spazzarlo via dal trono grillino insieme all'avventura di governo con la Lega, proprio nelle ore in cui il fuoco di sbarramento dell'ala ortodossa contro il Carroccio dalla Tav alla legittima difesa, dal no alle case chiuse all'autonomia mette nell'angolo il leader grillino preso in contropiede da un Pd ringalluzzito dalla vittoria di Nicola Zingaretti alle primarie.
FILM DA INCUBO
Quanto accaduto ieri alla Camera sulla legittima difesa è stato per i vertici stellati come il trailer di un film da incubo. Poco prima del voto, fa capolino un dossier interno del M5s che affossa il provvedimento simbolo dell'alleato perché giudicato incostituzionale. Poi una trentina di deputati dell'ala sinistra pentastellata, tra cui i fichiani Doriana Sarli, Andrea Colletti, Sara Curial, Gilda Sportiello e Luigi Gallo disertano l'aula in segno di protesta contro il provvedimento blindato. E come se non bastasse spuntano in aula come vietcong anche 15 franchi tiratori, che votano a sostegno di un emendamento del Pd. L'immagine dei delegati d'aula stellati che scatenano la caccia ai disertori dopo il doppio infortunio, è la rappresentazione plastica della leadership, mai così debole, di Luigi Di Maio. Dopo l'incoronazione di Nicola Zingaretti, che da subito ha preso a cannoneggiare il Movimento su Tav e autonomia, il leader grillino ha compreso di essere finito tra due fuochi. Da una parte l'esigenza di marcare a uomo la Lega e tenere in piedi il patto di governo sbilanciato a destra, dall'altra quella di dover inseguire a sinistra il nuovo Pd che sogna il sorpasso alle Europee e potrebbe aprire un'Opa ostile contro il governo gialloverde, proprio grazie alla sponda dell'ala sinistra del M5s. Che scottata dal caso Diciotti, è pronta ad assecondare la rivolta della base anche sulla riapertura delle case chiuse - sul quale è calata ieri la scure di 66 esponenti grillini contrari - ma anche sull'autonomia del Nord. L'altro provvedimento simbolo del Carroccio, affondato ieri dalle dure parole del sottosegretario all'Istruzione, Salvatore Giuliano. «Si rischia ha tuonato in polemica con il ministro leghista Bussetti di ampliare le disuguaglianze già esistenti nel Paese». «Il sistema educativo nazionale deve rimanere unito ed è proprio per questa ragione va posta la massima attenzione al rischio di provocare disparità e squilibri nella distribuzione delle risorse», è stato il nuovo siluro scagliato ieri dall'ala sinistra del Movimento contro il regionalismo per il tramite della deputata grillina della commissione Cultura, Alessandra Carbonaro.
ZERO SCONTI
E nessuno sconto arriverà neppure sulla Tav. «Il no all'opera è la mia storia, la storia del mio territorio e quella del Movimento», ha messo ieri le mani avanti la sottosegretaria all'economia Laura Castelli quasi a volersi sfilare dal governo. «Se bisogna andare a casa perché noi non vogliamo buttare soldi per opere vecchie io non vedo il problema», ha provato a esorcizzare la paura il sottosegretario grillino agli Affari regionali, Stefano Buffagni. Ma a rendere bene il clima di incertezza che domina nella war room stellata, sono le parole del senatore stellato Emilio Carelli. Che nello stesso momento in cui raffredda l'altolà di Buffagni («Il governo non cadrà sulla Tav»), traccia una sorta di exit strategy a sinistra, aprendo spiragli al Pd di Zingaretti («Nessun pregiudizio al dialogo»). Sono lontani i tempi del doppio forno nel quale Luigi Di Maio pensava di poter lievitare il pane di governo, forte del 33 per cento dei consensi raggiunto alle politiche. Ora, il leader grillino, rischia di trovarsi scottate entrambe le mani.