ROMA Governo mai così diviso. «Il forse non c'è», ha detto il leader della Lega Matteo Salvini entrando a Palazzo Chigi per il vertice notturno «a oltranza» convocato dal premier Giuseppe Conte sulla Tav. Poche parole che segnalano l'affanno del governo gialloverde: il No del M5S pare granitico, il Sì della Lega altrettanto inamovibile.
I grillini propongonodi dare il via libera ai bandi per la Tav ma di rivedere del tutto il progetto rafforzando la vecchia linea del Frejus. Quella con pendenze del 30% costruita nel 1871. Una proposta che il presidente della Regione Piemonte liquida così: «Se il Carnevale non fosse una cosa seria la definerei una carnevalata». Anche i leghisti replicano: «la Tav deve essere Tav».
La Lega propone in alternativa di rinviare la scelta alle Camere (il Sì vincerebbe) o al referendum. E in favore del Sì pesa il rischio di perdere «circa 800 milioni» di fondi Ue. Ma il M5s avverte che il Sì potrebbe portare alla crisi di governo anche se i vertici starebbero spingendo per tenere toni bassi ed evitare strappi. Non resta che affidarsi al premier Giuseppe Conte con un suo «lodo» di sintesi.
L'EXIT STRATEGY
Tocca dunque al premier cercare l'exit strategy: «Speriamo di prendere le decisioni giuste, trasparenti, già stasera e comunque entro venerdì», dice da Belgrado, dove vola in giornata per una visita istituzionale. Il presidente del Consiglio fa appello alla «responsabilità» dei vice. E assicura di «non vedere» rischi per il governo.
Ma il sentiero è strettissimo. Da Bruxelles trapela in serata che la Commissione europea è pronta a inviare una nuova lettera all'Italia per ricordare che il No alla Torino-Lione, con la violazione di due regolamenti del 2013, comporterebbe la perdita di circa 800 milioni di cui 300 entro marzo e il resto successivamente.
Una doccia fredda per il M5s. Un assist a Salvini, che martedì di Tav avrebbe parlato al telefono con il vicepresidente della commissione Jyrki Katainen. Ora è tutto in mano a Conte, concordano Di Maio e Salvini. Tra i due vicepremier i rapporti sarebbero ai minimi termini, mai così tesi come sul dossier Tav.
Il leader della Lega riunisce nel pomeriggio al Viminale tecnici e sottosegretari per scandagliare l'analisi costi-benefici di Toninelli: «Costa più non farla che farla», sentenzia poi. Di Maio, che descrivono assai irritato verso l'alleato, si mostra «concentrato» sul reddito di cittadinanza. Ma dal Piemonte alle Aule parlamentari la truppa M5s è in ebollizione.
Da Torino viene spedita a Conte, da un fronte No Tav guidato dal sindaco di Venaus, la proposta di rifare il traforo ferroviario del Frejus, con una nuova galleria di 15 km, al posto del maxi-tunnel da 57,5 km previsto nel progetto attuale, dimezzando i costi. È quello che in sostanza chiede il M5s: partano i bandi, ma intanto si riscriva tutto il progetto mettendo da parte il corridoio centrale della Tav e rafforzando il Frejus. Ma alla Lega non va bene: rivedere il progetto si può - è il mantra leghista - ma non stralciare l'opera.
I leghisti sono convinti che il Sì di Conte all'avvio dei bandi - su cui Telt deve procedere lunedì - sarà dettato dai fatti, un Sì «tecnico». Ma poi sui passi successivi è tutto da scrivere: c'è chi è ancora convinto che si possa spostare più in là la scelta finale. Sullo sfondo c'è la consapevolezza di una possibile implosione dei gruppi parlamentari M5s. Ecco perché la Lega propone come mediazione estrema l'idea di rimettersi al Parlamento. Il No del M5s risulterebbe minoranza rispetto al Si sostenuto anche da Pd e Fi. Ma il governo potrebbe andare avanti.
Sul tavolo l'offerta di Conte ma i leader minacciano la crisi
ROMA Un lunghissimo vertice notturno, prima tecnico e poi politico, conclusosi dopo le due di notte con un nulla di fatto. I bandi per ora restano fermi in attesa, filtra da palazzo Chigi al termine del summit, di chiarire con la Francia i criteri di finanziamento della Tav perchè, secondo il M5S, potrebbero mancare all'appello i fondi francesi per avviare gli appalti e i cantieri. Al di là dell'approfondimento sui fondi che dovrà avvenire nelle prossime ore, i nodi restano ancora tutti sul tappeto mentre cresce nella Lega la convinzione che alla fine toccherà a Giuseppe Conte mettere la faccia sulla decisione finale che dovrà essere presa entro lunedì in modo da dare il via ai bandi Telt ed evitare che imploda il M5S e il governo.
Al vertice in notturna a palazzo Chigi i due vicepremier Di Maio e Salvini arrivano verso le otto di sera preceduti da possenti scorte tecniche, ma fermi nelle opposte posizioni. Oltre al ministro Toninelli - accompagnato da un nutrito gruppo di tecnici del Mit - al tavolo organizzato da Conte siedono i sottosegretari in quota Lega Giorgetti, Siri e Rixi. Per il M5S i senatori Patuanelli e Coltorti. In tutto dieci tecnici, metà per sostenere le ragioni del M5S e metà per promuovere gli argomenti della Lega. Tra questi anche Pierluigi Coppola, l'unico della commissione costi-benefici a non sottoscrivere lo studio.
L'IMPRONTA
A tre giorni dalla data di presentazione dei bandi, sfilarsi dal pasticcio nel quale si è infilato il governo e la maggioranza non è facile. Anche perchè la questione si è via via caricata di una forte valenza politica ed identitaria soprattutto in casa grillina. Al summit il clima è teso e a poco serve il tentativo del premier Conte di raccontare la trasferta mattutina a Belgrado. Si parte dalle slide e dall'analisi costi-benefici, ma l'aria è pesante. Quasi quattr'ore con i tecnici e poco dopo mezzanotte il via al vertice politico. Di Maio mostra subito di avere margini molto ridotti di trattativa e soprattutto non intende lasciare la più minima impronta positiva sulla questione. Non è disposto nemmeno a unirsi ad un eventuale via libera condizionato ai bandi di Telt che contesta sostenendo non possano partire per mancanza dei finanziamenti francesi. La spaccatura tra i due partiti è profonda. Far saltare il governo e andare diritti al voto non conviene però a nessuno. La Lega non vuole tornare dopo sei mesi in braccio al vecchio centrodestra, e il M5S teme l'implosione interna La drammatizzazione, con il vertice che termina a notte fonda, serve non poco a Di Maio, così come è utile alla Lega paventare il rischio di una crisi di governo che preoccupa lo stesso Casaleggio con il quale il vicepremier grillino ha avuto l'ennesimo colloquio prima del vertice. Durante la riunione non si fa cenno alla lettera che prepara Bruxelles per tagliare 800 milioni di fondi, nè al progetto alternativo, e molto datato, del Frejus. Il nodo è politico - come sostenuto ieri l'altro dallo stesso Conte - ma Di Maio cerca in tutti i modi di trovare appigli per un rinvio. Gli spazi di mediazione sono ridottissimi. Non c'è dubbio però che i fatti, di un'opera di fatto già avviata, rendono molto più forte il leader della Lega.
LA SFIDA
Far saltare la Tav impedendo i bandi - magari con un decreto che rischia di non essere nemmeno convertito dal Parlamento per mancanza di voti - significa soprattutto cancellare un trattato internazionale. In Europa salterebbe per la prima volta, e in via unilaterale, un'intesa. Ovvero l'accordo con la Francia votato anche dal Parlamento. La soluzione per tenere del tutto fuori dal via libera il M5S, e soprattutto Di Maio, non c'è. Per uscire dalle sabbie mobili la soluzione di cui di discute nella seconda parte del vertice resta sempre quella di far partire i bandi Telt promettendo di valutare entro sei mesi la fattibilità di ipotesi alternative. Bloccare i bandi di appalto, secondo l'Avvocatura dello Stato, sarebbe infatti possibile visto che Telt è regolata dal diritto francese. Di Maio però non vuole condividere nemmeno il via libera condizionato.
«Costa di più non farla che farla». Il leader della Lega ne resta convinto anche dopo aver ascoltato l'analisi tecnica di palazzo Chigi dove, ovviamente, i costi che dovrà sopportare il Movimento non sono conteggiati.