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Data: 08/03/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
Salvini-Di Maio, guerra sula Tav. Venti di crisi, Conte si schiera: «Forti dubbi, rinegoziare con Francia e Ue». Sfida sui bandi. Il leader della Lega: vediamo chi ha la testa più dura. Il vicepremier M5S: sei irresponsabile. Alla Telt ribadiscono: se ci fermano obbligati a pagare subito 300 milioni

ROMA Siamo oltre la Tav. Lega e 5Stelle ieri sono passati dalla melina alle cannonate. Da una parte il leader pentastellato, Luigi Di Maio, ha ribadito il no alla Tav e ha chiesto la sospensione dei nuovi bandi di gara e dunque dei lavori. Dall'altra il leader della Lega, Matteo Salvini, si è spinto fino ad una affermazione categorica: «Andrò fino in fondo e vediamo chi ha la testa più dura». Controreplica altrettanto puntuta di Di Maio: «Salvini sta violando il contratto, sono sbalordito della minaccia di una crisi di governo. E' un comportamento irresponsabile di cui si deve assumere la responsabilità di fronte a milioni di italiani. E per cosa poi? Perché vogliamo ridiscuterne con Francia e Ue». E all'uscita da Montecitorio, a mezzanotte, dopo l'ennesima riunione fiume: «Il gruppo M5S è compatto con me».Una rottura anche personale fra i due capi partito. E dire che le parole del leader leghista erano sembrate una risposta alla breve ma densa conferenza stampa del premier Giuseppe Conte che nel pomeriggio aveva espresso «forti dubbi che l'Italia abbia bisogno di questa linea ferroviaria».
La giornata di ieri si è chiusa dunque con uno scontro senza esclusione di colpi dopo un defatigante tira e molla fra gli esponenti dei partiti della maggioranza. Una montagna di parole sempre più pesanti mano a mano che passavano le ore. Ad un certo punto le agenzie di stampa hanno lanciato l'indiscrezione su un decreto da votare in Consiglio dei Ministri per bloccare l'opera. Pochi minuti dopo le stesse agenzie facevano sapere che i ministri della Lega avrebbero votato contro il decreto se mai fosse stato presentato in Consiglio.
Fughe in una realtà surreale. nate dall'impossibilità - per ora - di aggirare una sola scadenza: lunedì (o al massimo mercoledì) è fissata la partenza dei nuovi bandi per gli ulteriori ampliamenti del tunnel italo-francese già costruito (dai francesi) per sette chilometri. I 5Stelle propongono di sospenderli, anche a costo di spingere la Ue a ritirare i 300 milioni che ha già messo a disposizione di Italia e Francia e gli altri 500 già impegnati. I leghisti sono per proseguire l'opera magari con qualche modifica più di facciata che di sostanza.
L'unica via di uscita al muro contro muro potrebbe essere quella di ridiscutere l'opera assieme a Bruxelles e alla Francia e per questo Conte ha visto l'ambasciatore transalpino e anche il direttore generale di Telt, la società che coordina i lavori sotto le Alpi. Poi il premier, che di mestiere fa l'avvocato, ha abilmente tentato di presentare ai giornalisti convocati in conferenza stampa la carta del supplemento di indagine ma egli stesso ha ammesso che sui bandi «c'è stallo nel governo».
SENZA ENFASI
Alla fine della fiera la situazione è la seguente: il sì ai bandi rischia di far implodere i pentastellati, il no è indigeribile alla Lega. E dunque siamo a un passo dalla crisi di governo anche se Conte lo dice senza enfasi: «sarebbe assurdo». «Dateci tempo», è insomma il messaggio lanciato dal premier agli italiani che seguono, attoniti, il plateale braccio di ferro in atto nel governo. Il confronto è «franco, serrato» assicura Conte ma proprio per questo «non abbiamo litigato», ribadisce riferendosi al vertice notturno lungo oltre cinque ore conclusosi nella notte fra mercoledì e giovedì con una fumata nera. Per quello che conta, di fronte alla spaccatura della maggioranza, la posizione di Conte sulla Tav è chiara: non è certo che l'opera sia utile. Imbarazzante a questo punto ricordare il voto mattutino sulla Tav in Senato durante il quale Lega e M5S si sono mosse unite. Anche il Parlamento è rimasto a guardare.


Alla Telt ribadiscono: se ci fermano obbligati a pagare subito 300 milioni

ROMA Alla Telt, la società mista italo francese che ha l'incarico di costruire la Tav, tutto si aspettavano tranne che essere convocati a Palazzo Chigi a poche ore dall'avvio dei bandi di gara. Ieri, a sorpresa, Mario Virano, direttore generale del gruppo che realizza il tunnel di base, è stato chiamato a rapporto a Roma. Un lungo colloquio con il premier Giuseppe Conte. Per spiegare che bloccare il progetto fosse teoricamente possibile, ma ad un costo molto elevato. Non solo in termini di reputazione internazionale («Perché i patti siglati a livello internazionale vanno rispettati e non ci sono alternative»), ma sopratutto in termini strettamente economici. Prima di lui l'avvocato dello Stato Pasquale Pucciariello incaricato di analizzare i costi-benefici di un eventuale stop aveva rincarato la dose. Ribadendo all'inquilino di Palazzo Chigi quanto già contenuto nel dossier riservato inviato un paio di mesi fa alla presidenza del Consiglio. Ovvero che tra lavori e studi già avviati, rimborsi, rescissioni dei contratti, ripristino degli scavi, il conto per le casse dello Stato sarebbe stato di circa 1,7 miliardi. Una cifra massima che si basa, tra l'altro, su un documento messo a punto proprio dalla Telt, la società di proprietà per il 50% del governo francese e per l'altro 50% di quello italiano, attraverso Fs, che ha stimato gli extra costi che andrebbero sostenuti in caso di chiusura dei cantieri. Ma sul tavolo del premier, oltre ai dissidi tra Lega e 5Stelle, ci sono anche i dati di centri studi indipendenti che evidenziano i rischi non solo economici, ma anche di tipo occupazionale e sociale. Con migliaia di posti di lavoro in pericolo - Confindustria parla di oltre 50 mila - e 2,3 miliardi di appalti che andrebbero in fumo subito. Numeri non contenuti nella relazione messa a punto dalla commissione guidata dal professor Marco Ponti, dichiaratamente No Tav, messo alla guida dei tecnici dal ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli. E quindi per definizione non propriamente indipendente. Eppure il premier ha ribadito che la valutazione, almeno al momento, si baserà sui numeri elaborati dai tecnici. E non su quelli sciorinati ieri da Mario Virano e dall'avvocato dello Stato Pucciariello: impedire la pubblicazione dei bandi di gara - hanno affermato - o ritardarla ulteriormente implica un «grave rischio di perdere i primi 300 milioni degli 800 milioni fondi Cef stanziati dall'Europa» (come ha ribadito anche la lettera arrivata ieri da Bruxelles a Roma) e conseguentemente configura una ipotesi di danno erariale per il mancato rispetto delle intese. La Telt sarebbe così obbligata in solido a restituire subito 300 milioni. Un rischio che graverebbe sui consiglieri italiani di Telt in prima battuta, ma anche su figure ministeriali.
Difficile capire invece cosa accadrebbe se dopo il via libera i bandi fossero in qualche modo sospesi. Il diritto francese, che tutela l'interesse pubblico, consente la sospensione della procedura di gara, soprattutto se prevista una «clausola di dissolvenza», ma la subordina comunque a una «sopravvenienza», cioè al fatto che dal momento della pubblicazione a quello della sospensione sia accaduto qualcosa che giustifichi la decisione. Una decisione forte e motivata del governo. La seconda difficoltà nasce dal fatto che Telt è una società con due soci paritetici (per l'Italia Rfi del gruppo Fs) e non è quindi evidente come il socio italiano potrebbe, in maniera autonoma, far prevalere la propria posizione, in assenza di una intesa con la controparte francese, per congelare o revocare la procedura di assegnazione.

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