ROMA Mercoledì notte, Palazzo Chigi. Luigi Di Maio, camicia un po' sbottonata e senza cravatta d'ordinanza, dice a Matteo Salvini: «Se perdo questa partita non c'è più il campionato». Risposta del leader della Lega: «Luigi, io ho il 75% degli italiani che la vuole fare, la Tav». Replica del vicepremier M5S: «Io non posso, cade il governo, e in Senato verrebbe giù tutto». Il riferimento, per qualcuno nei piani alti del Movimento, è anche al voto di fine marzo sull'autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell'Interno. Se si apre la crisi, i voti grillini (da unire a quelli del centrodestra) che servono a Salvini per evitare il processo potrebbero non esserci. Il vertice fiume, o meglio «stress test» come lo chiamerà il premier Conte, si chiude così. Nulla di fatto. Con due posizioni lontane. Nell'aria un avvertimento.
Giovedì pomeriggio, primo piano di Palazzo Chigi. Il premier rientra nel suo ufficio dopo la conferenza stampa che di fatto mette per la prima volta in dubbio l'Alta velocità. Telefonata di Di Maio: «Grazie, sei stato perfetto». Sottinteso: adesso tocca a te trovare il modo tecnico-giuridico per sospendere i bandi. L'assemblea dei gruppi M5S convocata per le 19 alla Camera slitta di un'ora. La linea è chiara: scontro frontale. In ballo c'è la tenuta delle truppe pentastellate. «Conosco gli umori e le psicologie dei nostri - confessa a un collega Francesco Silvestri, vicecapogruppo alla Camera - non reggeremmo mai la partenza dei bandi, figurarsi un mezzo sì». Di Maio ha avuto un mandato da Beppe Grillo: nessun passo indietro, «costi che quel costi».
Il silenzio di Alessandro Di Battista continua a essere sempre più assordante. C'è chi dice che in cambio di un segnale chiaro sulla Tav sarebbe pronto anche a candidarsi alle Europee. Ma prima di dare il cammello, vuole vedere la moneta. Forse.
L'ala di Roberto Fico, quella più intransigente, si fida relativamente. E non a caso Luigi Gallo, presidente della commissione Cultura vicino al presidente della Camera, se ne esce così: «Il governo non scarichi sul parlamento la decisione». Tradotto: nessuno si inventi una soluzione d'aula. Una mozione da presentare, sapendo che sarà bocciata. Di Maio ha tutto il quadro bene in mente, passa il pomeriggio con Alfonso Bonafede, di fatto il numero due del M5S al governo. E alla fine entra in assemblea, disertando anche il consiglio dei ministri. Carico. Deve pronunciare parole non ambigue. La sua leadership è di nuovo sott'esame. Di più: in bilico. Piccolo preambolo. Poi scarica. Così: «Per noi i bandi devono essere sospesi proprio perché stiamo ridiscutendo l'opera, come previsto dal contratto».
LA TENSIONE
Dai vertici del M5S escono indiscrezioni che vedrebbero la Lega spaccata: una parte più conciliante e un'altra pronta alla rottura. Fanno fede, ritornando però nell'altro campo, le frasi di Di Maio. Incontrovertibili: «Non sono disponibile a mettere in discussione il nostro no». Il senatore torinese Alberto Airola, che in mattinata a Palazzo Madama aveva attaccato le «fake news» sulle penali, se ne va dall'assemblea: «Se la linea è questa sono onorato di far parte di questo gruppo». Nei giorni scorsi aveva detto: se passa il sì alla Tav mi dimetto dal M5S. Ma nella strategia dei grillini fanno fede le affermazioni pronunciate da Stefano Patuanelli, non una persona qualsiasi. Ma il capogruppo al Senato: «Se c'è l'Alta velocità, non c'è il governo. E viceversa». La lettura controluce suona come un avvertimento a Matteo Salvini: se ci mandi in crisi non avrai il nostro voto a fine mese sul caso Diciotti. E finirai a processo.