ROMA Con chi ci ha parlato, il ministro Giovanni Tria, l'ha definita la «terza via». L'ultima occasione di evitare una manovra-bis che potrebbe costare lacrime e sangue, o di dover presentare il 10 aprile un documento di economia e finanza senza il quadro programmatico, senza cioè dichiarare quali sono le previsioni macroeconomiche del governo. Di fatto un rinvio fino alla nota di aggiornamento di settembre dei numeri fondamentali dell'economia italiana. Una decisione che, tuttavia, avrebbe rischi difficilmente calcolabili. Sottoporrebbe il Paese a possibili attacchi speculativi durante l'estate, e potrebbe indurre le agenzie di rating che per adesso hanno sospeso il loro verdetto ad rivedere il giudizio sull'Italia.
LE TRE GAMBE
Il decreto per la crescita messo a punto dal ministero del Tesoro, e che si fonda su tre gambe, misure fiscali alle imprese, rilancio degli investimenti privati e rilancio degli investimenti pubblici, va inteso insomma come un salvagente da approvare prima che sia troppo tardi, prima del Def.
Tria ha sempre spiegato che i numeri con i quali è stato costruito il quadro macroeconomico approvato dalla Commissione europea, che prevede per il 2019 un deficit al 2,04%, tengono fino a che la crescita del Pil resta sopra lo 0,6% nonostante il governo, nei suoi documenti, abbia indicato l'1%. Il punto è che, ormai, i principali organismi internazionali credono che l'Italia non riuscirà a raggiungere nemmeno quel risultato. Alcuni, come l'Ocse, davanti al Pil di quest'anno hanno già messo un segno meno. Il decreto crescita, insomma, serve a invertire la rotta facendo partire i cantieri e sbloccando gli investimenti delle imprese. Tria ha lavorato molto sottotraccia, ascoltando il mondo produttivo, quello delle costruzioni, quello del credito, importanti think tank come Astrid. Il testo è anche il frutto di consigli, come il ritorno dei super-ammortamenti chiesti da Confindustria. Anche il ministero non ha funzionato a comparti stagni, come in parte era invece avvenuto con l'ultima manovra di bilancio. Nel lavoro sono stati coinvolti anche i due vice ministri, Laura Castelli dei Cinque Stelle e Massimo Garavaglia della Lega.
IL CONTO ALLA ROVESCIA
Ma, a pochi giorni dal consiglio dei ministri di mercoledì che dovrebbe adottare le misure, lo scontro all'interno del governo su chi debba intestarsi la manovra, rischia di far saltare il banco. Ieri Matteo Salvini ha detto che la Lega non si accontenterà di un «mini decreto», sposando, in pratica, la posizione di Tria. Luigi Di Maio, con il supporto del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, invece, vorrebbe approvare solo le norme con lo sblocco dei cantieri, affidando le altre misure a un più lento disegno di legge. Una mossa che, però, non basterebbe a mutare le sorti del Def. Il 10 aprile si avvicina, e l'appuntamento potrebbe diventare un nuovo spartiacque per le sorti del governo e per il Paese.