ROMA Il tempo stringe. Il dieci aprile, la data prevista per la pubblicazione del Documento di economia e finanza con le stime aggiornate sui conti pubblici, si avvicina. Il Tesoro spinge perché le misure per la crescita elaborate da Giovanni Tria trovino posto nel decreto sblocca-appalti che il governo dovrebbe approvare mercoledì, anche se, al momento, Palazzo Chigi sarebbe orientato a non inserire nel provvedimento il «pacchetto-Tria». Oggi sotto la regia del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, si riuniranno i tavoli tecnici ai quali prenderanno parte anche i rappresentanti delle imprese e dei sindacati. Il mondo produttivo, in realtà, era stato ascoltato anche da Tria prima della stesura e della trasmissione a Conte e ai ministri, della sua bozza con 35 misure necessarie a spingere il Pil nella seconda parte dell'anno dopo il deludente avvio del 2019. Al ministero dell'Economia sono convinti della necessità di una nuova narrazione da presentare non solo all'Europa, ma soprattutto ai mercati e alle agenzie di rating, che hanno iniziato a guardare con crescente interesse (e preoccupazione) all'appuntamento di aprile. Senza interventi, nel Def il governo sarebbe costretto a certificare la necessità di una manovra correttiva dei conti pubblici, che potrebbe essere ben superiore ai 10 miliardi di euro fin qui preventivati.
LO SLITTAMENTO
Tra le fila dell'esecutivo c'è anche una scuola di pensiero che riterrebbe possibile far slittare fino a settembre l'indicazione del cosiddetto «quadro programmatico», ossia i numeri sull'andamento dell'economia ipotizzati dal governo a valle dei sui interventi di politica economica. Secondo Tria sarebbe un rischio troppo elevato. Da qui all'autunno ci sono una serie di incognite da affrontare, dalle elezioni europee all'esito della Brexit. E ci sono i giudizi delle agenzie di rating sull'Italia che sono ancora sospesi. Non indicare il quadro programmatico, insomma, porterebbe l'Italia in una terra incognita. Sull'altro piatto della bilancia, però, ci sono le esigenze politiche della maggioranza di governo. In vista delle elezioni di maggio la competizione tra la Lega e i Cinque Stelle di è acuita. Luigi Di Maio ha bisogno di intestarsi dei risultati concreti del governo, fino ad oggi appannaggio soprattutto di Matteo Salvini. Per questo intende porre ben evidente sul decreto sblocca-cantieri il marchio del Movimento. Una mossa alla quale Salvini ha risposto rispolverando il vecchio cavallo di battaglia della flat tax, la tassa piatta al 15%. Ieri il leader della Lega, parlando oggi a Melfi, in provincia di Potenza (la settimana prossima in Basilicata si vota), ha rilanciato l'idea di avviare il taglio delle tasse già nel 2019 per le famiglie. Ci lavoriamo, ha detto Salvini, «giorno e notte». Di Maio ha subito messo i paletti. Va bene la flat tax, ha detto, «ma no promesse alla Berlusconi».
LE STIME
Al ministero dell'Economia è stato anche già messo a punto un dossier sui possibili costi della misura. Nell'ipotesi di simulazione si fa riferimento ad una flat tax che prevede una deduzione di 3 mila per ciascun componente del nucleo familiare con reddito fino a 35 mila euro mentre per i redditi superiori ai 50 mila euro all'anno, sempre secondo la simulazione, non sarebbe prevista alcuna deduzione. Il testo fa riferimento ad una duplice aliquota: del 15% fino a 80 mila euro di reddito e del 20% per i redditi eccedenti tale soglia. La misura, si legge nel documento, favorirebbe un numero di nuclei familiari pari a 16,4 milioni mentre il vantaggio medio familiare sarebbe di circa 3600 euro. La flat tax, con questa ipotesi a due aliquote sul reddito familiare, avrebbe un costo di 59,3 miliardi. Un costo, secondo i tecnici del ministero, troppo elevato. Il sottosegretario Armando Siri, padre della flat tax leghista ha persò detto che quella non è la proposta del Carroccio. Quest'ultima costerebbe solo 12 miliardi.
L'aliquota unica per tutti costa troppo: prelievo del 15% riservato alle famiglie
ROMA Una tassa a due aliquote (15 e 20 per cento, dunque non proprio piatta) oppure una sorta di imposta sostitutiva, sempre fissata al 15 per cento, riservata ai nuclei familiari con reddito fino a 50 mila euro l'anno. Sono i due modelli di flat tax che si confrontano e sui quali si potrebbe aprire un altro fronte interno alla maggioranza. In realtà entrambe le proposte vengono dalla Lega e la prima, più ampia (che è grosso modo quella presentata nella scorsa campagna elettorale) sarebbe nelle intenzioni del Carroccio il punto di arrivo finale, al termine della legislatura. Anche perché al momento appare irrealizzabile sotto il profilo finanziario: il costo in termini di minor gettito è stato stimato dal ministero dell'Economia in circa 59 miliardi, ovvero quasi un terzo delle entrate Irpef complessive. Lo schema su cui si lavora in vista dell'anno prossimo è invece più gestibile, anche se certo non indolore dal punto di vista delle coperture: in ballo c'è una somma che oscilla tra i 12 e i 14 miliardi, secondo quanto ha dichiarato nei giorni scorsi Armando Siri, sottosegretario leghista e consigliere di Matteo Salvini in tema di fisco. L'idea è proseguire sulla strada già avviata quest'anno con le partite Iva, a cui è riservato un prelievo del 15% in caso di ricavi non superiori a 65 mila euro. La stessa aliquota sarebbe riservata alle famiglie con un reddito fino a 50 mila euro, mentre tutti gli altri continuerebbero ad essere sottoposti all'Irpef ordinaria. Resta da chiarire (ed è un punto rilevante anche ai fini del finanziamento dell'operazione) a quali delle attuali detrazioni, incluso eventualmente il bonus 80 euro, i nuclei interessati dovrebbero rinunciare. La progressività di questo nuovo meccanismo sarebbe assicurata, pur se in misura minore rispetto ad oggi, dall'applicazione di una deduzione per carichi familiari che avrebbe un effetto decrescente al crescere del reddito: dunque chi ha introiti più bassi dovrebbe conservare un relativo vantaggio.
I NODI GIURIDICI
La proposta però si dovrà confrontare con una serie di nodi giuridici oltre che finanziari. Già la flat tax per le partite Iva ha suscitato qualche perplessità perché sottrae di fatto una quota ampia di contribuenti alla tassazione ordinaria, riservando loro un trattamento differenziato e indirettamente incentivando comportamenti opportunistici (che la norma approvata si propone comunque di contrastare con serrati controlli). Nel caso della flat tax riservata alle famiglie c'è però un passo ulteriore perché il concetto fondamentale è che il soggetto passivo dell'imposta sia il nucleo familiare e non il singolo contribuente; e questa possibilità sembra essere esclusa dalla sentenza della Corte costituzionale che nel 1976 pose fine al sistema del cumulo dei redditi tra i coniugi. Dunque sarà decisiva anche la formulazione tecnica dell'eventuale nuovo schema.