Gli ultimi mesi sono stati particolarmente travagliati per la compagine governativa. I punti di divisione sono stati numerosissimi, occupando le aperture dei tg e le prime pagine dei giornali. Dalle grandi opere (in particolare la Tav) all’autonomia regionale, dalla politica internazionale (Venezuela prima, Via della Seta oggi) alle famiglie, con un convegno sponsorizzato dal ministro Fontana cui parteciperà Salvini, fortemente criticato dai 5 Stelle per bocca di Di Maio e del sottosegretario Spadafora. Per citare solo i principali. L’avvicinarsi della scadenza del voto europeo e la campagna elettorale permanente determinata dal susseguirsi delle consultazioni regionali (Abruzzo, Sardegna, Basilicata), rendono il clima arroventato. Abbiamo quindi ritenuto utile fare un check delle percezioni dei cittadini rispetto alla coesione del governo, all’efficacia della sua azione per la crescita del Paese, alle aspettative rispetto alla sua durata e infine alla valutazione dei ministri.
La situazione economica del nostro Paese peggiora, certo in compagnia di molti partner europei (in particolare la Germania che vede previsioni di forte rallentamento da parte dell’Ocse), ma l’Italia come spesso accade è il fanalino di coda del continente, in recessione tecnica e con una previsione di decremento del Pil nel 2019. In questo contesto difficile, si ritiene che il governo non stia facendo il necessario per favorire la ripresa: lo pensa infatti quasi il 60% degli italiani, mentre meno del 30% ritiene che invece si stia favorendo la crescita. Il disagio alberga anche tra gli elettori della compagine governativa: 26% degli elettori pentastellati e addirittura 45% dei leghisti ritengono che si potrebbe fare meglio. Per la Lega è la conferma di una potenziale difficoltà, di una critica (più rilevante al Nord e tra i ceti produttivi come ci dicono altre ricerche) che per ora non è ancora diventata un allontanamento. Posto che la maggioranza pensa che la manovra non abbia spinte espansive, la caratterizzazione principale è sul welfare (24%) più che non sulla ripresa (4%). D’altronde i due provvedimenti simbolo, quota 100 e reddito di cittadinanza, sono attribuiti prevalentemente all’area del sostegno sociale, più che non della reazione alla crisi. Anche in questo caso sono principalmente gli elettori leghisti a dare questo taglio alle scelte governative, presumibilmente in relazione al disagio espresso in quest’area rispetto al reddito di cittadinanza.
Nel complesso la percezione di coesione della compagine governativa si riduce, passando dal 51% di poco più di due mesi fa, all’attuale 41%. Oggi quindi prevale chi pensa che le divisioni siano preponderanti (49%). Naturalmente gli elettorati di riferimento fanno nettamente prevalere la percezione di coesione (lo pensa il 76% degli elettori pentastellati e il 66% degli elettori leghisti), ma anche qui con qualche mal di pancia (tra il 22% e il 29% vede prevalere infatti le divisioni). Ma in definitiva, c’è una lieve prevalenza per l’opzione che il governo continui la sua opera. Il 40% infatti si augura che arrivi alla scadenza naturale, del 2023, mentre il 23% preferirebbe un voto al più presto (opzione maggioritaria tra gli elettori del centrosinistra) e il 15% opta per le elezioni dopo l’avvio definitivo dei principali provvedimenti e l’approvazione della prossima finanziaria. Da sottolineare anche in questo caso le differenze fra gli elettori delle due formazioni governative: mentre tra gli elettori 5 Stelle il 72% auspica che il governo continui per tutta la legislatura, questa percentuale scende al 57% tra gli elettori leghisti tra i quali un terzo circa vorrebbe un voto anticipato. La scadenza naturale, al di là delle attese, è il pronostico che fa la maggioranza relativa: il 44% pensa che il governo arriverà a fine legislatura, con le stesse differenze indicate precedentemente (ci scommette meno della metà dei leghisti).
Infine, i ministri. Al crescere della notorietà, tutti sono in calo rispetto al dato registrato subito dopo l’insediamento (con la sola eccezione del ministro degli Esteri, che cresce di un punto e della ministra della Pubblica Amministrazione che scende di uno). È un dato piuttosto usuale, quasi fisiologico. Interessa invece sottolineare che cali molto superiori alla media interessano innanzitutto il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, al centro delle polemiche sulla Tav, che scende di ben 18 punti, e il ministro della Salute Giulia Grillo, discussa negli ultimi mesi per la «schedatura» degli scienziati, le nomine del Consiglio Superiore della Sanità, e oggi tornata alla ribalta per i vaccini, che scende di 14 punti. In entrambi i casi un calo importante di consensi si registra tra gli elettori leghisti.