ROMA A pochi giorni dall'elezione a segretario del Pd, arriva la prima grana per il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, indagato dalla procura di Roma per finanziamento illecito ai partiti. L'inchiesta, coordinata dall'aggiunto Paolo Ielo e dal pm Stefano Fava, è un filone di un'indagine che sembra non dover finire mai e germina continuamente nuovi filoni. Dalle sentenze comprate dagli avvocati al Consiglio di Stato al fascicolo che un ex pm di Siracusa ha aperto per ottenere da un collega di Milano notizie su un'inchiesta gemella.
Indagano tre uffici giudiziari: Roma, Milano e Messina. Da quando Piero Amara e Giuseppe Calafiore, i due avvocati considerati i registi del sistema, hanno deciso di collaborare sono nati decine di stralci. Indagati magistrati, avvocati, professionisti, imprenditori, fino all'ex premier Silvio Berlusconi. È la pagina online de L'Espresso ad anticipare la notizia che al lungo elenco si è aggiunto il nome di Zingaretti. Circostanza che trova conferma anche perché l'interessato ha già ricevuto un avviso di proroga delle indagini. Dagli atti al momento non trapelano riscontri, le verifiche sono ancora in corso e l'ipotesi di archiviazione non è esclusa. Sotto accusa anche l'ex capo di gabinetto del governatore, Maurizio Venafro, per il quale si ipotizzano la corruzione e le false fatturazioni.
L'ACCUSA
Il nome di Zingaretti finisce sul registro degli indagati la scorsa estate, quando Calafiore parla ai magistrati di Fabrizio Centofanti, arrestato nel 2018 e in attesa di processo. Lo definisce un lobbista con molti agganci a Roma, tra politici e Consiglio superiore della magistratura. «Centofanti - sostiene l'avvocato a verbale - era sicuro di non essere arrestato perché riteneva di essere al sicuro, in ragione di erogazioni che lui aveva fatto per favorire l'attività politica di Zingaretti». Soldi leciti, chiedono i pm? «Assolutamente no, per quanto mi diceva - risponde - Non so con chi trattava tali erogazioni. Lui mi parlava solo di erogazioni verso Zingaretti. Mi disse che non aveva problemi sulla Regione Lazio, perché Zingaretti era a sua disposizione».
LA REPLICA
Appena si è diffusa la notizia il segretario dem era da poco tornato in Regione dopo essere passato al Nazareno per una riunione operativa (la sua stanza adesso si trova al secondo piano e non al terzo, nel bunker che fu di Matteo Renzi). Prima di vergare una nota, Zingaretti ha sentito con un rapido di giro di telefonate i suoi principali collaboratori nel nuovo corso del Pd: «State tranquilli, mi conoscete no?». Nel frattempo il M5S stava già andando all'attacco del leader dem chiedendone «le dimissioni» e puntando sul fatto che «il Pd perde il pelo, ma non il vizio».
La risposta del segretario-governatore non si è fatta attendere: «Comprendo la loro disperazione per il disastro politico che stanno combinando, per essere da mesi succubi del loro alleato di governo, per essere in caduta libera. Mi dispiace per loro, ma non mi faccio intimidire». Quanto all'inchiesta, nel ribadire fiducia nella magistratura e nel dichiararsi estraneo a qualsiasi addebito, Zingaretti ha bollato le dichiarazioni che lo tirano in ballo come «pettegolezzi de relato e senza alcun riscontro». L'inchiesta, con il M5S che va all'assalto, unisce tutte le anime del Pd uscite dalle primarie. Ecco Graziano Delrio, capogruppo alla Camera: «Dai grillini la solita doppia morale, mentre salvano dal processo Salvini si riscoprono giustizialisti con i loro avversari». Duro anche Roberto Giachetti: «Domando ai forcaioli e garantisti a secondo di cosa conviene, come mai non avete chiesto un passo indietro alla sindaca Virginia Raggi quando non solo è stata indagata ma addirittura rinviata a giudizio?».