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Pescara, 23/11/2024
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26/03/2019
Il Messaggero
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Il test delle regionali - Salvini: insieme altri 4 anni. Ma Di Maio in allarme: ora serve un chiarimento. Vittoria del centrodestra. Il leghista: nonvado all’incasso, cambiamo l’Ue. L’alleato: basta graffi del Carroccio. Conte: contratto di governo da rivedere «Fase 2 del governo o si va a casa». Sfida 5Stelle, altolà del Carroccio
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ROMA Il voto della Basilicata scuote la maggioranza. Dopo l'ennesimo successo, questa volta sia sul fronte del candidato presidente che della lista, il leader della Lega Matteo Salvini esulta e al tempo stesso tenta di tranquillizzare i 5Stelle. Ma Luigi Di Maio non è così serafico e difendendo il risultato dei pentastellati e senza mettere in discussione il governo non rinuncia in serata a lanciare una bordata verso la Lega chiedendo un «chiarimento» fra le due forze della maggioranza. Ma andiamo con ordine. Il leader della Lega ha manifestato di buon mattino il suo entusiasmo sui social, sottolineando l'impresa del Carroccio che in un anno ha più che triplicato i voti: «Grazie! La Lega in un anno triplica i voti, vittoria anche in Basilicata! 7 a 0, saluti alla sinistra e ora si cambia l'Europa», sono le sue parole. RASSICURAZIONI Poi tenta di rassicurare in ogni modo l'alleato pentastellato: «Se qualche osservatore o analista pensa che io abbia convenienza a far saltare il governo, dico di no. Non ho incassi personali o partitici. Il mio orizzonte dura 4 anni e tre mesi. Non ci sono lusinghe che possano farmi cambiare idea», ha detto durante la conferenza stampa in via Bellerio. Una colata di miele, appena intorbidita da una stoccata nei confronti della sindaca 5Stelle di Roma, Virginia Raggi: «La settimana scorsa a Roma facevo due passi in pieno centro e mi sono trovato in compagnia di tre topazzi così... E ci sono gabbiani più aggressivi degli pterodattili... Che ci sia qualcosa che non funziona è evidente». Anche Luigi Di Maio sceglie i social per esporre la sua analisi del voto lucano: «M5S è la prima forza politica in Basilicata. Gran parte della stampa parla di voti dimezzati in un anno' e di crollo', ma la verità è che abbiamo battuto tutte le liste, anche quelle con gli impresentabili dentro, anche quelle con i portavoti di Pittella. In Italia non sta tornando il bipolarismo». Quello che forse sta per cambiare è il rapporto fra 5Stelle e Lega. Ieri Di Maio ha ribadito che non apprezza i continui distinguo di Salvini come quelli sulla Cina. «Deve sempre metterci un graffio. Io non faccio così sull'immigrazione», ha sottolineato Di Maio. Che comunque ha già iniziato a pestare i piedi sulla sicurezza e sullo stesso caso di Rami, il ragazzino egiziano nato in Italia che ha sventato il sequestro dell'autobus sul quale viaggiava con altri 50 studenti, cui ancora non è stata concessa la cittadinanza italiana per merito. Ma la nuova tattica dei 5Stelle non si ferma qui. Questa settimana dovrebbe tenersi il primo voto sulla piattaforma Rousseau per le europarlamentarie. Poi dovrebbe esserci un ritorno sui temi anti-casta e infine si ricomincia a parlare di riorganizzazione del Movimento sul territorio. Da segnalare, infine, che ieri Silvio Berlusconi ha avuto uno scambio di telefonate sia con Matteo Salvini che con Giorgia Meloni sia per analizzareil voto lucano sia per impostare il lavoro per le prossime elezioni locali sia in Piemonte che in alcuni grandi comuni.
«Fase 2 del governo o si va a casa». Sfida 5Stelle, altolà del Carroccio
ROMA «Mi spiegate cosa ha fatto Salvini sinora? Ha rimandato indietro un barcone e Quota100, misura criticatissima in Europa e che ci costa una valanga di soldi. Mentre i clandestini che doveva respingere sono tutti qui». Lo sfogo del vicepremier Luigi Di Maio con i suoi collaboratori, arriva dopo una giornata di dichiarazioni all'apparenza concilianti nei confronti di un alleato in «continua campagna elettorale» e che «sporca» sempre il lavoro del governo con qualche «parolina di troppo». Per il leader grillino, e per il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, la misura deve essere colma se le lamentele sono ora accompagnate da una ufficiale richiesta di «chiarimento». Una sorta di fase due del governo dove l'alleanza giallo-verde diventa organica, le misure si condividono, non c'è il fuoco amico e «magari Salvini comincia a studiare qualche dossier invece di sparargli addosso a cose fatte». IL TURISTA Pur di tentare di metter fine al «giochetto leghista» che rischia di spingere il M5S sotto il 20% - come chiamano i grillini il continuo smarcamento padano - Di Maio è pronto ad alzare la voce e a criticare il vicepremier e i ministri della Lega sul terreno delle rispettive competenze. Dalla sicurezza «che non c'è nelle città», all'agricoltura «abbandonata da un ministro che si occupa solo di turismo». Sino alle nomine - vedi quella di Paragone alla commissione banche - che la Lega «tratta di nascosto con Banca d'Italia e Quirinale». «D'altra parte - sostengono i pentastellati - è lo stesso trattamento che abbiamo ricevuto sul memorandum cinese e lo sblocca cantieri». Insofferenze grilline speculari però a quelle che covano nel Carroccio. La pattuglia ministeriale lumbard comincia a dare segni di cedimento. Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, è tornato un po' depresso dal viaggio negli Stati Uniti dove ha raccolto non solo gli altolà americani per la firma della Via della Seta, ma anche le ironie per le numerose perle inanellate in nove mesi di governo da più di un ministro pentastellato. Ancora più forte l'insofferenza tra gli amministratori leghisti del Nord che faticano a spiegare e giustificare «la strana alleanza». Consapevole della tensione che c'è nel partito, Salvini ieri ha messo le mani avanti con una sorta di altolà: «Sull'alleanza con M5S tutta la Lega è con d'accordo me. Voglio vedere chi si lamenta!». Forte delle percentuali e dei risultati ottenuti nelle amministrative, Salvini respinge coloro che gli chiedono, con sempre maggiora insistenza, «fino a quando...». Ostentare sicurezza, e dirsi certo che il governo «durerà altri quattro anni», non sottrae il ministro dell'Interno dalle critiche che tagliano il partito ma gli permette di passare il cerino della crisi a Di Maio. Rovesciare il tavolo, e far saltare il governo Conte, non è facile. Soprattutto rischia di non essere del tutto popolare visto il gradimento del presidente del Consiglio e la sfortuna che ha sempre prodotto nelle urne una tale responsabilità. La sensazione è che nella maggioranza il gioco del cerino sia solo all'inizio. Con il M5S e la Lega pronti ad alzare i toni scaricando ognuno sull'altro la responsabilità sia delle paralisi dell'esecutivo, sia di una eventuale crisi. Il leader della Lega è convinto di poter alzare la posta - in vista del prossimo decreto crescita e della legge quadro sulle autonomie regionali - perché conta sulla scarsa voglia di elezioni anticipate dell'alleato. Dall'altra parte i grillini sono però convinti che Salvini- pur di non tornare tra le braccia del Cavaliere - si guarderà bene dal far saltare il banco e accetterà di continuare l'esperienza di governo senza approfittarsi troppo dei sondaggi che danno il Movimento in caduta libera. Lo scontro nella maggioranza è quindi destinato ad aumentare di tono, mentre sullo sfondo inizia a scorgersi quella manovra di bilancio di fine anno che rappresenta uno spettro per la Lega, partito del Nord e delle partite iva. Di rientrare nel centrodestra - come anche ieri chiedeva l'azzurra Mara Carfagna - il ministro dell'Interno non ne ha però voglia anche se con l'attuale legge elettorale i collegi si vincono se si ha una coalizione e la Lega ha a portata di mano solo quella con FI e FdI. Scatenare ora una controffensiva può servire al M5S per non perdere voti a sinistra, anche se il Pd di Zingaretti - tornato un po' ditta e un po' tafazzi (vedi la riesumazione dello ius soli) - non sembra ancora in grado di proporsi come alternativa di governo. Ma se Di Maio gioca d'anticipo, rispetto alle richieste che l'alleato potrebbe fare dopo il 26 maggio, Salvini non sta a guardare e pretende che prima delle Europee si sia concretizzato almeno un passaggio parlamentare sull'autonomia regionale, divenuto l'unico argomento che tiene buoni i governatori del Nord.
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