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Pescara, 23/11/2024
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Data: 05/04/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Ho trovato i miei amici morti ma lo Stato in Abruzzo c'era»

«Il mio dentista... Un amico... Era lui che avevamo tirato fuori dalle macerie, in una maschera di morte». Gabriele Miconi, vigile del fuoco aquilano, sessant'anni ben portati, è uno tosto. Temprato prima sui campi di basket e di rugby e, poi, da tante tante battaglie in prima linea soprattutto per la sua specializzazione nel Saf, il Nucleo speleo-alpino-fluviale (all'Aquila ne ha coordinato sedici squadre). È uno che ha vissuto tutte le più gravi calamità degli ultimi anni nel Centro Italia. Eppure il riaffiorare dei ricordi del 6 aprile 2009 lo sconvolge sempre, fino alle lacrime, se non fosse per quella sua divisa che le lacrime non le conosce.
Ingegner Miconi, per lei che le ha vissute tutte, l'essere aquilano tra gli aquilani, terremotato tra i terremotati, non deve essere stato facile...
«Ah certo!- sorride-. Quando è arrivato l'orco alle 3.32 e io dormivo, come i più, nella mia casa di Tempera (frazione a Est dell'Aquila, molto colpita, ndr) la prima emergenza è stata mettere in sicurezza la famiglia. Porta bloccata, siamo usciti dal garage e ho portato tutti in una piccola casetta che aveva mia sorella. Abbiamo acceso un falò. A quel punto, i miei hanno capito: Ecco, ora se ne va!. Erano le 4.30 di quella notte. Entravo nell'inferno...».
Cosa ricorda, oggi?
«Era il caos totale. In caserma le prime indicazioni me le diede la segretaria: C'è una ragazza incastrata su un balcone in via Roio in pienissimo centro. In un attimo eravamo lì. La gente, per strada, ci dava indicazioni. Ci suggeriva dove andare. Si sentivano lamenti provenire ovunque. Ma fu un percorso virtuoso perché grazie alle indicazioni e all'aiuto di gente come il regista e alpinista Antonio Massena, che per quegli sforzi nella polvere si beccò una brutta pleurite, tirammo fuori nell'immediatezza una ventina di persone. Anche con episodi tragicomici».
Tragicomici?
«Sì. Eravamo riusciti a entrare dalla finestra, montando la scala sulla camionetta, in un palazzo in cui erano crollati uno sopra l'altro due solai. Una signora anziana implorava aiuto. Stando ben attento a non provocare altri crolli, al buio rischiarato solo dalla mia torcia, cercai di avvicinarmi. Sento un urlo, di donna. Avevo calpestato la mano a una poveretta sotto le macerie. Sicché urlai: Ma quanti siete qui dentro?. E la signora anziana: Prima ero solo io. Ora siamo in due. Le abbiamo salvate entrambe».
Via Roio, via Sassa, via San Marciano... Poi siete andati nella vicina via XX Settembre, verso la Casa dello Studente...
«Le indicazioni ci spingevano lì. E fummo anche vittime di un equivoco. Molti colleghi vigili del fuoco di Pescara, nemmeno in servizio, s'erano precipitati dalle parti di via Campo di Fossa perché nei gravissimi crolli era coinvolta anche la figlia del loro comandante. Pensavamo, dunque, che quell'area fosse presidiata dai nostri. Alla Casa dello Studente riuscii a far arrivare due gru di una ditta privata per poter spostare i blocchi di macerie. Erano le 9,30 del mattino: a quel punto alcune persone inferocite ci urlarono che lì stavamo lavorando con le gru mentre a due passi non c'era nessuno per dei palazzi crollati. Era vero. In via Sant'Andrea, via Cola dell'Amatrice, piazzetta Rossi, non era ancora presidiata. Cercammo di recuperare».
A due passi, il dramma anche di via Settembre 79, dove scopre il suo dentista tra le nove vittime...
«Toccò a me il pietoso compito del riconoscimento...».
E la sua famiglia?
«Abbandonata per tre giorni e tre notti. Faccio questo mestiere. Loro lo sanno».
Così come nelle altre emergenze, Amatrice, Norcia, Campotosto, il gigantesco incendio del monte Morrone sopra Sulmona. Tante battaglie e tanti rischi...
«A Castelsantangelo sul Nera (Macerata) ci salvò la fine dell'ora legale. Dopo quella precedente già fortissima di 5.6, arrivò la scossa di 6.5 in cui ci vennero addosso intere colline. Spaventoso! Mai visto! Erano le 7.40 e quella notte era finita l'ora legale. Se fossero state le 8.40, saremmo rimasti di sicuro sotto gli edifici cui stavano lavorando».
Forse non può rispondermi per via della divisa, ma da aquilano cosa pensa della gestione dell'emergenza e della ricostruzione dopo il 6 aprile?
«Dico che il 6 aprile ci ha dato l'orgoglio di appartenere ad una nazione forte, che ha saputo reagire a una tragedia epocale in una città in cui tutto trasuda storia. Proprio il nuovo metodo dell'utilizzo degli specializzati nel Saf ha consentito e consentirà di non far cambiare volto a questa mia terra come invece è accaduto in Friuli».
Che metodo?
«Quello di intervenire dall'alto. Finiti i soccorsi, quando non c'erano più persone intrappolate tra le macerie, all'Aquila i nostri nuclei Speleo-alpino-fluviali hanno lavorato per impedire che le scosse e l'inverno distruggessero ulteriormente quello che era rimasto in piedi. Vigili che volano. Appesi a corde e funi, a quaranta metri d'altezza, arrampicati su campanili, torri e facciate di monumenti e chiese. E volando li fasciano, circondandoli di cinghie le cupole, montando pezzi d'acciaio, entrando sempre dall'alto negli absidi per recuperare statue, quadri e campane. In sicurezza, partendo dall'alto e togliendo ogni elemento non stabile, anche se si tratta di un pezzo d'affresco. Solo così i restauratori potranno poi recuperarlo. Si è creato un manuale operativo che sono venuti a studiare da tutto il mondo. Lo Stato all'Aquila c'è stato».
Angelo De Nicola

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