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Data: 06/04/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
Ed. nazionale - La ricostruzione a metà per la fretta dei politici. Le new town hanno frenato la fuga soltanto mille abitanti in meno

Dieci anni dopo il sisma metà del centro storico dell'Aquila è ancora un cantiere; le frazioni, a partire da Onna, aspettano la fine del lungo percorso della ricostruzione. Dieci anni dopo circa 9.000 cittadini dell'Aquila vivono nei palazzi delle new town, i quartieri costruiti a tempo di record dopo il terremoto, che dovevano essere liberati una volta completata la ricostruzione. All'Aquila non c'è stato né il presto, né il bene; la burocrazia, che non è per forza il male perché è anche necessità di regole e rispetto delle procedure, non ha però funzionato di fronte alla catastrofe e questo è un campanello d'allarme per le cittadine che hanno subito il sisma del decennio successivo, da Amatrice ad Arquata. Guido Bertolaso, allora capo della Protezione civile, scuote la testa: «Serviranno almeno altri cinque anni, come minimo. Io nel 2009 lo dissi: vedrete, per ricostruire L'Aquila, sarà necessario aspettare almeno un decennio. Mi presero per matto, ma i risultati li vediamo oggi. Si è avuta troppa fretta di uscire dalle gestione commissariale, gli enti locali volevano controllare la fase di ricostruzione. E tutto si è arenato. Un rischio analogo si vede anche nei paesi danneggiati dai terremoti del 2016 e del 2017: temo che alcuni centri storici non saranno mai ricostruiti».
FRENATA
Cosa è successo all'Aquila? Perché si è passati dalla velocità di realizzazione dei quartieri delle new town - che sono lontani dalla perfezione, ma hanno evitato che L'Aquila morisse - alla lentezza esasperante del recupero del centro storico? In parte c'entra il desiderio, anche legittimo, della classe dirigente locale di gestire la ricostruzione, in parte anche l'ordine di grandezza della distruzione con cui si aveva a che fare. Tra inchieste giudiziarie, intercettazioni, veleni, accuse per una guida da monarca assoluto, la gestione commissariale di Bertolaso termina il 29 gennaio 2010, gli amministratori locali vogliono contare e si punta anche a fare lavorare le imprese del posto. Tutto giusto in teoria, ma la rete di regole, per quanto necessarie, diventa una zavorra quando si tratta di ricostruire un centro storico in cui vivevano 7.500 residenti e 9.000 studenti; e l'obiettivo di ricostruire il centro esattamente com'era prima del sisma del 6 aprile 2009 appare giusto e comprensibile, ma forse inutilmente ambizioso, perché vi erano alcuni edifici pubblici degli anni Sessanta e Settanta che si poteva ripensare.
FUTURO
Il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio (FdI): «Sono convinto che una gestione commissariale più lunga sarebbe stata più utile, avrebbe messo sul binario giusto l'operazione. Oggi invece si combatte ancora con procedure troppo complicate: penso ad esempio al fatto che anche i privati debbano fare gare per assegnare i lavori in caso di utilizzo dei fondi pubblici; e poi manca il personale negli uffici, in una fase straordinaria come quella della ricostruzione dopo un terremoto di quelle proporzioni servono uomini e risorse, servono assunzioni e professionalità». Chissà, forse a metà degli anni Venti le new town si saranno svuotate e bisognerà pensare a un utilizzo diverso, come le residenze degli studenti.

Le new town hanno frenato la fuga soltanto mille abitanti in meno

L'AQUILA No, la temuta grande fuga non c'è stata. Dopo la catastrofe del terremoto gli aquilani hanno resistito alla tentazione dell'abbandono: oggi, dieci anni dopo, il calo demografico, che nel 2009 stava muovendo i primi passi e subito dopo il sisma si è accentuato, si è arrestato, facendo registrare, addirittura, un'inversione di tendenza. Prima della grande scossa all'Anagrafe cittadina erano iscritti 71.850 residenti; allo scorso 31 dicembre si è arrivati a 70.197. Il saldo tra cancellati e iscritti è tornato positivo dal 2014 e nell'ultimo anno ha fatto segnare il dato migliore dal sisma a oggi: 250 cittadini in più. Non basta questo, però, a rassicurare sulla tenuta del tessuto sociale perché le dinamiche abitative sono profondamente mutate. La devastazione del centro storico ha costretto i circa 7.500 residenti che vi risiedevano a spostarsi, gran parte dei quali nei 19 quartieri del Progetto Case fatti erigere da Berlusconi e Bertolaso. Effetti che si sono avvertiti anche in periferia, dove si è passati dai 41.844 abitanti del 2009 ai 38.525 del 2016. Il terzo fattore è legato alla presenza straniera, favorita dalla ricostruzione: prima del sisma, nel 2008, c'era già stato un raddoppio (da 1.620 unità a 3.656), con un'ulteriore crescita nel 2016 (5.199), fino al dato finale dello scorso dicembre: 5.904. Molti aquilani si sono ricollocati nei paesi limitrofi che hanno conosciuto una crescita demografica del 18% tra il 2008 e il 2017: da circa 12 mila abitanti a oltre 14 mila. Oggi le persone tornate a risiedere in centro sono 5.831, ma non nel cuore più antico della città.
IL TERMOMETRO
Il vero termometro della ricostruzione è il novero di chi è costretto ancora a vivere nei quartieri del Progetto Case. Seimila persone circa, suddivise nei 2.973 nuclei familiari che risultano assistiti per l'emergenza 2009. Oggi il Progetto Case appare qualcosa di profondamente diverso rispetto ai primi anni dell'emergenza, quando ospitò fino a 14 mila sfollati. A Bazzano, la prima delle piastre edificate dopo il sisma, già a fine settembre 2009, tutti ripetono che la salvezza dall'isolamento e dalla solitudine è la Tenda amica che funge quasi da agorà al centro dei grandi contenitori di legno e acciaio. E' qui che ogni pomeriggio i tanti anziani parlano, giocano a carte, passano tempo. Lo racconta la signora Elisa Aquilio, 88 anni: «Ho un palazzo in centro, ci vorranno ancora due anni per tornare nella mia città. Qui si sta bene, le case sono carine, ma senza la tenda non si vedrebbe un'anima». Manuel (33 anni) e Giovanni si godono il sole mattutino: arrivano da Montereale e Campotosto: «Noi qui stiamo bene, ma quando rientreremo?».
Ci sarà bisogno di un ragionamento approfondito per capire cosa fare, un domani, di tutte queste case. L'assessore Francesco Bignotti pensa a studentati, campus, housing sociale, ma anche, senza mezzi termini, «a smantellare qualche piastra inutile». Sono i ragazzi i più a rischio, in prospettiva: «Se la ricostruzione procede lentamente c'è il rischio di una emorragia demografica che può colpire soprattutto i giovani» ha ammonito ieri il vescovo, il cardinale Giuseppe Petrocchi.

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