L'AQUILA Millecinquecento, anzi duemila firme mancanti potrebbero ridisegnare la mappa politica del nuovo consiglio regionale con effetti anche sulla giunta del presidente Marco Marsilio. Il quinto ricorso elettorale depositato al Tar dell'Aquila prende di mira l'Udc e l'elezione della consigliera regionale Marianna Scoccia, sindaca di Prezza e moglie dell'ex assessore Andrea Gerosolimo.A presentarlo sono stati tre comuni elettori marsicani, assistiti dall'avvocato romano Walter Feliciani. Insieme agli altri quattro ricorsi, di Emilio Iampieri e Gianni Bellisario il primo: di Donato Di Matteo, Luciano D'Amico, Pierpaolo Pietrucci e Franco Caramanico il secondo; della forzista Lucia Ottavi il terzo e di Lorenzo Berardinetti il quarto, sarà discusso l'8 maggio prossimo all'Aquila. Ma a differenza di tutti gli altri, che in sintesi si basano su un identico motivo, un errore di calcolo delle "cifre elettorali residuali percentuali" per l'assegnazione dei seggi, questo ricorso introduce un nuovo argomento che riguarda la più discussa delle candidature, quella di Scoccia, voluta dall'Udc contro il veto della Lega. «A parere dei ricorrenti il risultato delle elezioni del 10 febbraio 2019 risulta falsato dalla illegittima ammissione alla competizione elettorale della lista "Udc, Democrazia Cristiana, Idea, Noi con L'Italia"», si legge sull'atto di 29 pagine che l'avvocato Feliciani ha depositato al Tar, «nonché dalla violazione di legge consistente nella errata applicazione, da parte dell'Ufficio Centrale Regionale, della norma consegnata all'articolo 17, comma 6, lettera...», cioè il presunto errore nella ripartizione dei seggi.Abbiamo avuto l'opportunità di leggere questo ricorso per poterlo spiegare ai lettori del Centro. La premessa sostanziale è che le liste elettorali «sono presentate da non meno di millecinquecento e da non più di duemila elettori. Ma la sottoscrizione non è richiesta per le liste che, al momento della indizione delle elezioni regionali, sono espressione di gruppi presenti nel consiglio regionale o nel parlamento nazionale». Arriviamo al dunque: l'Udc non è rappresentata né in Regione né in parlamento. L'ostacolo però venne superato dal partito di Lorenzo Cesa, o almeno sembrò che lo fosse, attraverso un accordo elettorale con "Noi con l'Italia", di Maurizio Lupi, che però «non costituisce un gruppo parlamentare, ma una mera componente del gruppo misto, il che non soddisfa il requisito richiesto dalla legge per l'esenzione dalla raccolta delle sottoscrizioni degli elettori per la presentazione della lista».Così si legge nel ricorso secondo il quale le firme, centinaia di firme, andavano quindi raccolte. Il regolamento della Camera dei deputati dice inoltre che per costituire un gruppo parlamentare occorre un numero minimo di venti deputati. Mentre i deputati appartenenti al gruppo misto "possono chiedere al presidente della Camera di formare componenti politiche a condizione che ciascuna consista in almeno dieci deputati". E non quattro, come quelli di Noi con l'Italia.A compromettere ulteriormente il quadro, sempre a detta dei ricorrenti, c'è poi l'errore nel calcolo delle "cifre elettorale residuale percentuale". Cosi la nuova e «corretta composizione del consiglio regionale», si legge infine sull'atto in mano ai giudici amministrativi, prevede l'uscita di scena, in base ad una sorta di effetto domino, dei neo consiglieri regionali Francesco Taglieri Sclocchi (M5S); Mauro Febbo (assessore di Forza Italia); Roberto Santangelo (Azione politica); Marianna Scoccia e Sandro Mariani (centrosinistra), che lascerebbero il posto a Emilio Iampieri (Forza Italia), Lorenzo Berardinetti (Pd); il leghista Fabrizio Montepara (che comunque è rientrato come supplente); Gianni Bellisario (AzP) e la pentastellata Margherita Trifoni. La parola passa ai giudici.