«Vede, hanno capito. Ora sta girando attorno a 239, poi magari risalirà. Però è la prima volta da mesi che lo spread rompe quota 240». Giovanni Tria, pronto a partire per Washington, è visibilmente compiaciuto. Si stacca a fatica dalla monumentale scrivania che fu di Quintino Sella per salutare, lo sguardo però resta incollato al monitor. Del duro confronto serale avuto sul Def con i due vicepremier non vuol sentir parlare, per lui si tratta di «fantasiose ricostruzioni giornalistiche». E sorridendo torna allo spread: «I mercati hanno capito che stiamo facendo un buon lavoro, non canto vittoria perché la salita è lunga ma il sentiero è quello giusto».
Ministro Tria, la crescita dello 0,2% a fronte di una previsione dell'1% non sembra una gran salita. Soprattutto se si pensa che allo 0,2% si arriverebbe con la del decreto crescita combinato con lo sblocco degli appalti.
«Ci sono vari modi per leggere i numeri contenuti nel Def. E se le dicessi che quello 0,2% implica che nell'ultimo trimestre la crescita su base annua deve raggiungere l'1,2%? Dobbiamo calcolare che i nuovi provvedimenti produrranno effetti visibili solo nel secondo semestre. E poi ci sono i raffronti del Fmi, che ci confortano».
Lei crede? Ma non è lo stesso Fondo monetario che ci considera una zavorra per l'Europa al pari della Brexit?
«Se si entra nel merito dei numeri vedrà che la prospettiva cambia. Prendiamo ad esempio le correzioni del Fondo rispetto alle previsioni di crescita indicate ad ottobre per il 2019. Ebbene, per l'Eurozona il taglio è dello 0,6%, per l'Italia dello 0,9% e per la Germania dell'1,1%. E se confrontiamo questi numeri con la correzione relativa al 2020, vedrà che l'Italia è in posizione ancora meno critica: a fronte di un ulteriore taglio dello 0,2% per Eurozona e Germania, nessuna correzione per l'Italia. Ancora più significativa è la previsione sul differenziale di crescita con la Germania che, tradizionalmente attorno all'1%, è previsto ridursi nel 2020 allo 0,5%».
Ne prendo atto. Ma quei numeri sulla Germania sono inquietanti, visto che in quel Paese esportiamo 60 miliardi di Pil. Eppure il governo non sembra granché preoccupato.
«Certo che siamo preoccupati. Se la Germania cade, anche noi cadiamo. Anzi, cade l'Europa. L'auspicio è che con gli investimenti che stanno mettendo in campo - 80 miliardi solo per l'auto elettrica - la manifattura tedesca possa riprendersi quanto prima trascinando pure noi».
A che punto sono il decreto crescita e la riforma degli appalti? Avrebbero dovuto finire subito in Gazzetta, ma sono ancora non pervenuti.
«Sono pronti grosso modo al 98%. Mancano alcuni dettagli marginali, che però non implicano problemi di copertura. Presumo che entro la settimana la Ragioneria potrà procedere con la bollinatura e a quel punto mancherà solo la firma del Capo dello Stato».
Lei ha escluso manovre correttive. E tuttavia il fatto di passare da una crescita prevista dell'1% allo 0,2% richiederà pure qualche intervento. A Bruxelles se lo aspettano.
«Ribadisco che non sarà necessaria alcuna manovra correttiva nel senso tradizionale del termine. Semmai ci saranno aggiustamenti quantitativi, ma senza modificare la struttura della legge di Bilancio. Con il Def che il governo ha approvato, siamo infatti in grado di soddisfare in pieno gli impegni con Bruxelles. Anzi, non escludo un miglioramento del deficit strutturale, se anche fosse dello 0,1 per cento».
Lei è davvero convinto che tra decreto crescita e sblocco degli appalti si riuscirà a riattivare il volano della ripresa? C'è molto scetticismo in giro.
«Senta, con il decreto crescita abbiamo introdotto il superammortamento, la mini-Ires semplificata, l'Imu sui capannoni industriali deducibile, l'aumento del finanziamento del Fondo garanzia per le imprese, altri 500 milioni per i comuni destinati all'efficientamento energetico e molto altro. Di più non potevamo fare. Del resto, se le imprese hanno apprezzato vuol dire che la strada è giusta. Per non parlare dello sblocco degli appalti».
Parliamone invece. Anche questo provvedimento è stato approvato «salvo intese». A che punto sono le intese tra Lega e Cinquestelle?
«Come ho detto, il provvedimento è ormai pronto al 98%: abbiamo modificato molto del Codice degli appalti per semplificare una procedura che era, quella sì, di ostacolo a qualunque progetto di sviluppo. Di più, abbiamo già individuato 87 miliardi nelle pieghe della contabilità pubblica che potrebbero essere usati subito ma che sono bloccati da lacci burocratici che abbiamo cominciato a snodare. Insomma, non è un problema di fondi, che già ci sono, ma semplicemente di attivarli. Anche per questo sono ottimista sulla seconda parte dell'anno».
In Europa, ma anche in Italia, c'è preoccupazione per gli effetti di Quota 100. C'è il timore che nel tempo il provvedimento, se dovesse essere reiterato, produrrà danni importanti sui conti pubblici. E' possibile avere una parola definitiva?
«Quota 100 era necessaria, perché corregge i problemi di transizione creati dalla legge Fornero. Peraltro, soprattutto nel settore pubblico dove il turn over è ancora al 100%, consentirà un utile aggiornamento delle competenze contribuendo a svecchiare un organico con la più alta età media fra i Paesi Ocse. Quanto alla sua durata, il provvedimento è triennale e quindi temporaneo».
A proposito di occupazione, come si concilia l'ottimismo di Lega e Cinquestelle quando il Def anticipa che sia nel 2019 sia nel 2020 il tasso di disoccupazione aumenterà?
«Come ho detto, i numeri vanno scavati. È vero che per due anni il segno è negativo, ma lei deve considerare che grazie al Reddito di cittadinanza la platea di coloro che cercano lavoro si allargherà di almeno 500 mila soggetti che oggi sono dormienti, e quindi l'impatto immediato è l'aumento del tasso di disoccupazione. Vedrà però che alla fine del periodo il numero degli occupati sarà assai superiore in valore assoluto».
Con il decreto crescita avete reintrodotto una serie di norme a favore delle imprese che avevate cancellato in occasione della legge di Bilancio. Di fatto una retromarcia. Ma era davvero così difficile percepire che il clima stava cambiando e che quindi certe norme di spesa andavano meglio meditate mentre altre, come quelle a favore della produzione, semmai rafforzate?
«Lei tocca un punto interessante. Proprio l'Italia per prima ha compreso che la congiuntura stava mutando e che le politiche di austerità andavano rapidamente sostituite con misure espansive. Bruxelles e gran parte degli organismi multilaterali ha chiaramente sottovalutato il rallentamento in atto. Temevano una nuova crisi finanziaria e non si rendevano conto che già incombeva la crisi economica. Ciò spiega tante correzioni sulle proiezioni di crescita».
Partendo dal presupposto che c'è una liquidità enorme in circolazione e che quindi il problema non è certo finanziario, ma semmai di trovare investimenti che non comportino rischi elevati, lei è fra i primi ad aver parlato di crisi economica. Dove porta la sua osservazione?
«A ricordare che quando i tassi di interesse scendono al di sotto del tasso di crescita nominale, il debito tende a scendere: ciò significa che è consigliabile finanziare investimenti anche a debito, se quest'ultimo non è troppo elevato. Purtroppo non è il caso dell'Italia, ma di gran parte dell'Europa sì. Se dunque i partner finanziariamente meno esposti decidessero di attivare politiche espansive, per noi sarebbe più facile realizzare il consolidamento fiscale e ridurre il debito crescendo di più. Ne beneficerebbero tutti. D'altro canto, è impensabile che possa reggere a lungo una situazione dove vi sono Paesi in perenne deficit e Paesi, penso alla Germania, in perenne forte surplus».
A proposito di consolidamento fiscale, il Def è sembrato assai sfuggente in materia di flat tax. Quante possibilità ci sono che la norma veda la luce con la prossima finanziaria?
«Il taglio dell'Irpef è un atto di giustizia necessario, soprattutto per i ceti medi che per anni hanno subito gli effetti dannosi di un fiscal drag, soprattutto negli anni di alta inflazione, da tutti contestato ma che nessuno ha mai provveduto ad attenuare. Quindi sicuramente interverremo, il come lo vedremo in autunno».
Come pensa di risolvere il problema delle coperture? L'ipotesi di aumentare alcune aliquote Iva, oggi fermamente respinta dal nostro governo, è raccomandata dall'Ocse e dall'Europa. Qual è la sua opinione?
«Su questo argomento mi limito a dire che nel 2006 ho ricevuto un premio giornalistico per un articolo nel quale spiegavo le virtù di un'imposta più spostata sui consumi che sulle persone. E qui mi fermo, perché si tratta di una posizione scientifica non di una decisione politica. In ogni caso nel Def vi sono indicazioni sui tagli di spesa che, insieme a un Pil che ci aspettiamo in crescita, potranno aiutare senza aggiungere squilibrio ulteriore al debito».
A proposito di debito, dopo le elezioni europee è probabile che Bruxelles ci chieda nuovamente conto di una esposizione che continua a crescere e che ormai è in prossimità di quota 2.360 miliardi. Come si sta preparando il governo alla nuova verifica?
«Ho buoni motivi per credere che, grazie agli ultimi provvedimenti, alle proiezioni contenute nel Def e all'aggiustamento del deficit strutturale, l'esame sarà superato anche questa volta».