ROMA Nel 2020 1,3 miliardi in più, l'anno successivo 2,3 destinati poi a diventare 3,2 nel 2022. Sono i soldi che lo Stato dovrebbe mettere in bilancio per i rinnovi contrattuali dei dipendenti pubblici, e che per ora il Mef nel Documento di economia e finanza si è limitato a calcolare, sulla base di «ipotesi meramente tecniche». La partita si riaprirà concretamente in autunno con la legge di Bilancio: i precedenti contratti sono scaduti lo scorso dicembre e l'impegno finanziario per il triennio 2019-2021 è un altro dei problemi che il governo dovrà affrontare, in una manovra che si preannuncia già complicatissima tra aumenti dell'Iva e flat tax da finanziare. Giulia Bongiorno, ministro della Pubblica amministrazione, ha preannunciato di voler trovare stanziamenti aggiuntivi dopo quelli messi nero su bianco alla fine dello scorso anno ed è difficile che la trattativa con i sindacati parta davvero prima che ciò avvenga.
L'INDENNITÀ
Con la legge di Bilancio per quest'anno, erano stati resi disponibili 1,1 miliardi nel 2019 che salgono rispettivamente a 1,4 e 1,8 nei due anni successivi. Non tutti soldi freschi però: una parte delle risorse serve a finanziare l'indennità di vacanza contrattuale, che è arrivata proprio in questo mese nelle buste paga dei lavoratori, e sarà poi riassorbita una volta stabiliti gli aumenti definitivi. Secondo i calcoli della Ragioneria generale dello Stato, i fondi stanziati equivalgono ad incrementi retributivi dell'1,3 per cento il primo anno, dell'1,65 nel secondo e dell'1,95 nel 2021: a regime, la maggiorazione media sfiorerebbe i 50 euro lordi mensili. Una somma ritenuta insufficiente dai sindacati. Questo lo stato dell'arte. Il Documento di economia e finanza non è una legge e non può quindi disporre nuovi stanziamenti; può però indicare la volontà politica di prevederli e quindi tenerne conto nei quadri programmatici. Il Def appena inviato in Parlamento in realtà non fa nemmeno questo; ma le regole europee recepite nella contabilità nazionale richiedono di inserire nel testo accanto alle tabelle a legislazione vigente anche le cosiddette politiche invariate, ovvero quelle scelte che sebbene non previste da uno specifico provvedimento vengono normalmente attuate anno dopo anno. Nel Documento di economia e finanza figurano così le maggiori spese per il personale connesse all'esigenza di rinnovare i contratti. Non ci sono novità sul 2019, che è l'esercizio in corso, mentre dal 2020 è calcolato un importo di 1,3 miliardi che poi cresce a 2,3 e a 3,2 nel 2022, quando sulla carta inizia un nuovo triennio contrattuale. In verità si tratta di importi lordi: ai fini del bilancio dello Stato infatti si tiene conto del fatto che gli incrementi retributivi ai dipendenti producono maggiori trattenute fiscali e previdenziali. Per arrivare al costo netto bisogna quindi sottrarre queste entrate, pari a 0,5 miliardi per il 2019, 0,9 per il 2020 e 1,3 per il 2021. L'aggravio effettivo per lo Stato, sommando gli importi dei singoli tre anni, sarebbe quindi poco superiori ai 4 miliardi.
L'INDICE
Il ministero dell'Economia specifica che i valori sono stati calcolati sulla base dell'inflazione misurata con l'Ipca, l'indice dei prezzi al consumo armonizzato, quello confrontabile in tutti i Paesi europei. Nel quadro macroeconomico del Def l'Ipca viene previsto in crescita dell'1 per cento nel 2019 e rispettivamente del 2,3 e del 2,9 nei due anni successivi: vuol dire nel triennio una dinamica superiore al 5 per cento. Occorre però tenere presente che questa stima deriva da uno scenario in cui sono confermati - sul piano tecnico anche se non su quello politico - gli aumenti Iva in calendario dal prossimo anno, che naturalmente almeno sulla carta hanno l'effetto di spingere l'inflazione. In autunno il governo dovrà prendere una decisione sia sul delicato dossier Iva sia sugli stanziamenti per i contratti pubblici, che a quel punto dovranno essere effettivi e non virtuali.