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Data: 24/04/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
Il Salva-Roma passa ma è dimezzato Guerra Salvini-Di Maio. Aria di crisi, l'ira di Matteo Conte: non siamo passacarte

ROMA Il compromesso su Roma è arrivato in piena notte al termine di una giornata di scontri drammatici. Sul piano tecnico il Comune di Roma si terrà il debito e sarà più difficile ridurre l'Irpef comunale ma lo Stato continuerà a versare al Campidogli aiuti per 300 milioni l'anno.
Sul piano politico la Lega si ritiene soddisfatta d'aver fermato un aiutino all'amministrazione pentastellata della Capitale ma i 5Stelle fanno sapere che sarà «il Parlamento ad esaminare e migliorare le norme». Parole sibilline. Sembra di capire che i 5Stelle potrebbero accettare l'aiuto di altri partiti oggi all'opposizione, come il Pd, pur di alleggerire il peso dei debiti sui romani.
E' evidente: il compromesso raggiunto ieri fra Lega e 5Stelle è solo di facciata. Ed è arrivato dopo che Salvini nel tardo pomeriggio era uscito dal Consiglio dei ministri per annunciare il rinvio del decreto salva-Roma. Una mossa stoppata prima dal presidente del consiglio Giuseppe Conte e poi dal vicepremier pentastellato, Luigi Di maio.
Ordini. Contrordini. Si. No. Liti. Parolone di Matteo Salvini: «I nostri ministri ci sono tutti e si decide con chi c'è». Replica (riferita) del premier Giuseppe Conte: «Ma come ti permetti di fare annunci senza passaggi formali. Non siamo passacarte». Poi un grande litigio sul caso Siri con espressioni fortissime di Matteo Salvini: «Cari 5Stelle non potete attaccarmi tutti i giorni, siamo alla violenza fisica contro di noi».
Riunione del consiglio dei ministri prevista di un'ora che ne dura tre e non si capisce bene neanche quando finisce perché a un ceto punto i ministri che contano si trasferiscono nella stanza del premier Conte. «Quella di Salvini è una ripicca contro i romani, o si approva tutto o niente», è stata la linea di resistenza dei 5Stelle che sono arrivati a minacciare una durata del Cdm «fino all'alba».
Questa, in sintesi, la cronaca di uno dei consigli dei ministri più sfilacciati che la storia patria ricordi. Una riunione che avrebbe dovuto occuparsi del decreto-crescita cioè dei provvedimenti per evitare una sciagura come la recessione ma che è ruotato intorno ai due casi del momento: il salva Roma e il caso Siri, ovvero il sottosegretario leghista indagato per corruzione che i 5Stelle vorrebbero far dimettere e la Lega difende a spada tratta.
RAPPORTI INESISTENTI
Comunque la si voglia giudicare, la giornata di ieri segnala che i rapporti fra i due partner di governo sono oltre il livello di guardia. Ieri la na guerra dialettica si è combattuta a suon di blitz in piazza davanti a Palazzo Chigi e di presenze/assenze al Consiglio dei ministri. È una battaglia che, a poco più di un mese dalle Europee, vede il dialogo tra i due vicepremier pressoché azzerato e lo spazio di mediazione del premier Giuseppe Conte ridotto al lumicino.
La cronaca dell'ennesima giornata sull'ottovolante M5S-Lega parte con gli attacchi di Di Maio al comparto sicurezza-rimpatri di competenza del leader della Lega, si sviluppa sulla requisitoria del M5S contro il sottosegretario Armando Siri e sfocia in una polemia tra i due vice sul 25 aprile. Polemiche che arriva fin sopra al Colle dove è alta l'attenzione sull'uso strumentale di temi dirimenti come la Festa della Liberazione.
Ma è quando comincia (o dovrebbe cominciare) il Consiglio dei ministri che lo scontro deflagra. Il punto di partenza è il decreto crescita che, al suo interno, presenta la norma salva-Roma sulla quale anche Conte, oltre al M5S, avrebbe chiesto l'ok della Lega. Alle 19 circa a Palazzo Chigi arrivano Salvini e praticamente tutti i ministri leghisti. E nel M5S, invece, che si registrano diverse assenze, a partire da Di Maio, impegnato in una registrazione di un programma tv. Al tavolo di governo, oltre a Conte, sono presenti, tra i M5S, i ministri Alberto Bonisoli, Elisabetta Trenta e Barbara Lezzi. Ed è davanti a quest'immagine che Salvini apre le ostilità. Il leader della Lega comunica al premier la posizione della Lega, quindi abbandona la sala delle riunioni del Cdm e, poco dopo, esce in piazza davanti Palazzo Chigi dando la linea della Lega ai cronisti: lo stralcio del Salva Roma dal testo. Una linea «concordata» con chi c'era, spiega Salvini in diretta tv.
Lo stralcio «non è stato neanche discusso», protestano subito i Cinque Stelle e Il premier Conte si irrita («Non siamo passacarte», dirà). Alla fine il copmpromesso. Che annuncia nuove ostilità.

Aria di crisi, l'ira di Matteo Conte: non siamo passacarte

ROMA Il caos nel governo è totale. Il cerino della crisi si accorcia, i due presunti alleati continuano a passarselo a suon di fendenti e il decreto-crescita - compreso il salva-Roma modificato - esce dal consiglio dei ministri dopo una lunga notte durante la quale Di Maio e Salvini non se le sono mandate a dire. Alla fine è stata trovata un'intesa a metà rimandando al Parlamento il compito di completare le norme sulla Capitale.
LA FINE
Andando però per ordine, il primo a scatenare ieri la sua irritazione per la piega che ha ormai preso la maggioranza, è stato il presidente del Consiglio. Giuseppe Conte se la prende con il ministro dell'Interno prima dell'inizio del Consiglio. Salvini ieri pomeriggio si presenta puntuale a palazzo Chigi e, dopo aver constatato l'esiguo numero di ministri grillini presenti e parlottato qualche minuto con Giancarlo Giorgetti, scende nel piazzale antistante per annunciare a taccuini e telecamere che le norme su Roma sono state stralciate dal decreto crescita. Quando Salvini risale le scale di palazzo Chigi, trova Conte ad accoglierlo: «In questo modo manchi di rispetto per il lavoro di tutti. La riunione non è ancora cominciata, come ti viene in mente di parlare a nome del governo, dobbiamo ancora discutere e tu va giù a dichiarare a nome di tutti. Non siamo passacarte!». Poco dopo la versione dello stralcio del leader della Lega viene smentita, ma la rampogna del premier non impressiona Salvini e i ministri della Lega, ieri sera tutti presenti. Il Consiglio comincia poco dopo le otto di sera con pochissimi ministri M5S (Bonisoli, Trenta e Lezzi) mentre Di Maio è a registrare un'intervista in tv e arriva a palazzo Chigi dopo le nove. Il vicepremier pentastellato riesce solo in parte ad ascoltare il duro sfogo di Salvini che in consiglio prende la parola ma non per parlare delle norme per Roma o per i truffati delle banche, quanto dell'inchiesta che coinvolge il sottosegretario Armando Siri: «Stiamo subendo una violenza fisica. Quello che state facendo nei confronti di Siri è inaccettabile e non me lo sarei mai aspettato da parte di un alleato».
Nella sala cala il gelo. Tocca a Di Maio spiegare che «non c'è nessuna voglia persecutoria» e che al senatore Siri è stato solo chiesto «di farsi da parte in modo da poter dimostrare la sua innocenza» «senza macchiare il governo». Nel suo intervento Di Maio spiega come «il M5S non regge la presenza al governo con un sottosegretario indagato per corruzione in un'inchiesta dove si parla anche di legami con la mafia» e che «nessuno ha chiesto a Siri di dimettersi da senatore per un'indagine, ma soltanto di farsi da parte». Salvini però non ci sta. Teme che Siri sia solo il primo passo. Fatto sta che all'inizio della riunione del contenuto del decreto poco si è parlato anche se i pentastellati fanno girare una mail del viceministro leghista Massimo Garavaglia che il 4 aprile, giorno del varo salvo intese del decreto-crescita, aveva dato parere positivo anche alle norme su Roma che, come sostiene il ministro Giovanni Tria, «non costituiscono nuovi oneri per il bilancio dello Stato». Il problema è che dopo il 4 aprile è uscita fuori l'indagine a carico del sottosegretario leghista e a Salvini serviva un argomento pesante da contrapporre agli affondi pentastellati contro il sottosegretario. La riunione a palazzo Chigi va avanti a lungo spostandosi a notte dalla sala del consiglio nell'ufficio del premier Conte. La complicata intesa che evita la crisi si trova nella notte. Lo stralcio non è possibile e l'accordo si trova approvando un paio di commi e rimandando al Parlamento il compito di trovare i voti per approvare quelli cassati ieri notte. Un accordo super-rabberciato che di positivo ha solo il via libera al decreto che contiene anche le norme per le imprese e quelle a favore dei truffati delle banche.
IL NERVOSO
Con lo spread che torna ad impennarsi, il debito pubblico in risalita e la crescita ferma, alla maggioranza giallo-verde servono argomenti e polemiche per distrarre l'attenzione, ma l'esercizio di finta competition - complice le inchieste della magistratura - è ormai scappato di mano a Di Maio e Salvini e si sono notevolmente assottigliati anche i margini di mediazione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte che ieri avrebbe preferito arrivare alla riunione del Consiglio attraverso un vertice con i due vicepremier. Con le sue intemerate di ieri in consiglio dei ministri, Salvini mostra di soffrire molto l'iniziativa della magistratura e la speculazione che ne fanno i Cinquestelle. Far saltare il governo sulla giustizia significa però per Salvini tornare sulla sponda garantista del centrodestra berlusconiano. A Di Maio lo scontro con Salvini sul tema della legalità serve per bilanciare le troppe concessioni all'alleato, Diciotti in testa.

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