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Data: 24/04/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
Tornano al Campidoglio tutti i vecchi debiti. Più difficile il taglio Irpef. Lo Stato verserà al Comune una rata di 300 milioni annui. Per tutti i sindaci il congelamento fino a 2 anni dei pagamenti sui mutui

ROMA L'accordo è arrivato in extremis. Tutto il vecchio debito di Roma, 12 miliardi di euro di passivo antecedente al 2008, sarà trasferito al Campidoglio. La gestione commissariale che oggi si occupa di gestire il pesante fardello sarà chiusa. Il Comune si occuperà direttamente di pagare le rate dei mutui. Per farlo potrà contare sui 200 milioni annui che arrivano dall'addizionale Irpef del 4 per mille sui redditi dei romani, e sul versamento da parte dello stato di un contributo annuo di 300 milioni di euro. Esattamente quello che già oggi il Tesoro versa al commissario straordinario. Un compromesso che permette a Matteo Salvini di dire che lo Stato non si è accollato i debiti di Roma, ma che rende anche più difficile il progetto di ridurre l'addizionale Irpef a carico dei romani.
Fino a tarda sera le norme prevedevano altro. Il ministero dell'Economia si doveva accollare il cosiddetto Colosseum bond, il buono comunale da 1,4 miliardi di euro emesso a partire dal 2003 dal Comune di Roma. Si tratta di un prestito a tasso fisso che paga una cedola annuale a tasso fisso molto alta, il 5,345%, circa 75 milioni di euro ogni dodici mesi. Il capitale invece, doveva essere restituito in un'unica soluzione nel 2048. Lo Stato, sempre tramite il Tesoro, si sarebbe accollato anche un altro debito, quello accesso con la Cassa Depositi Prestiti e con alcuni istituti bancari all'inizio della gestione commissariale. Si tratta di 4,5 miliardi circa per i quali oggi il commissario paga una rata di circa 180 milioni di euro l'anno. Il Tesoro, insomma, avrebbe dovuto far fronte a 250 milioni di euro annui di rate del vecchio debito di Roma e il saldo finale del Colosseum Bond, ma in cambio non avrebbe dovuto più versare allo stesso commissario straordinario i 300 milioni di euro di contributo annuale.
IL MECCANISMO
Ma si riuscirà, come vorrebbero i Cinque Stelle, a tagliare l'Irpef ai romani? Il passaggio non è automatico. Per risparmiare qualcosa sulla rata andrebbe chiesta una rinegoziazione alla Cassa depositi e prestiti, che è titolare di oltre 1.400 su 1.600 mutui, che compongono il vecchio debito. I mutui a tasso fisso, che sono la maggioranza, scontano un tasso del 5%, considerato alto in tempi di tassi zero. In realtà la Cdp potrebbe essere disposta, come ha fatto anche per altri Comuni, ad allungare le scadenze dei prestiti abbassando le rate piuttosto che rivedere gli interessi. Un'operazione che di certo aumenterebbe il montante degli interessi, ma che libererebbe comunque risorse per il Campidoglio.
Se sul vecchio debito di Roma la norma è pronta, sull'estensione del salva-Roma anche agli altri Comuni la strada è più accidentata. In Italia ci sono oltre 400 Municipi che rischiano il dissesto, oltre ai problemi di debito che registrano altre grandi città. Nessuna però, si trova nella condizione di Roma, con una gestione commissariale. La proposta elaborata dal vice-ministro dell'Economia Laura Castelli, prevede la possibilità di rinegoziare per le città capoluogo i mutui con la Cassa Depositi e Prestiti e di sospenderne il pagamento per due anni. Oltre a rinegoziare anche le anticipazioni ottenute dalla Cassa per il pagamento dei debiti commerciali della pubblica amministrazione.
IL PASSAGGIO
Un'ipotesi che però, contiene alcuni passaggi tecnici che devono essere ponderati attentamente. Obbligare per legge la Cassa a rinegoziare i mutui, rischierebbe di privarla della qualificazione di «market unit», motivo per il quale il risparmio postale oggi non viene considerato come debito pubblico. Le operazioni obbligatorie, insomma, potrebbero finire nel conteggio del debito pubblico, rendendo ancora più complessi gli obiettivi di riduzione promessi dal governo nella legge di stabilità e nel Def (18 miliardi di euro) e sui quali a breve si pronunceranno anche le agenzie di rating. L'altro elemento finito sotto la lente dei tecnici, riguarda l'impiego che i Comuni farebbero delle risorse liberate. L'intenzione dei sindaci sarebbe quella di destinarle a spesa corrente, magari per finanziare le assunzioni di personale approfittando dello sblocco del turn over. Ma per fare questo sarebbe necessaria un'autorizzazione esplicita attraverso una norma di legge.
Un punto sul quale, però, si è più volte pronunciata in maniera critica la Corte dei Conti, preoccupata dalla possibilità di scaricare i costi di operazioni di breve termine sulle generazioni future.

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