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Pescara, 23/11/2024
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24/04/2019
Il Messaggero
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«Siri si dimetta e spieghi». L’attacco dei grillini. Ma il Carroccio lo blinda. Sul blog, 4 domande al sottosegretario inquisito che dice: «Io pronto a chiarire». Oggi Conte potrebbe incontrarlo. M5S: non è un caso qualsiasi, c’entra la mafia |
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ROMA Oggi il premier Giuseppe Conte si accinge a incontrare il sottosegretario Armando Siri. Il presidente del Consiglio chiederà spiegazioni, ribadirà che le accuse che gli sono state rivolte sono gravissime, che «c'è di mezzo la mafia». Farà proprie, insomma, le richieste del Movimento 5Stelle. Solo che al contrario di Luigi Di Maio il premier non pensa che il governo possa o debba cadere su questo caso. Il vicepremier M5S avrebbe voluto un altro atteggiamento da parte del capo dell'esecutivo. In quanto garante della linea di governo aveva chiesto una mossa decisa da parte di palazzo Chigi. E invece la strategia di Conte è stata quella di prendere tempo. Niente dimissioni per ora. Da qui la distanza tra i due. «Noi andremo fino in fondo», la promessa di Di Maio. Il sottosegretario alle Infrastrutture si dice pronto a chiarire tutto. «Lo farà nelle rispettive sedi istituzionalmente competenti», fa sapere il suo avvocato Fabio Pinelli. Nei prossimi giorni potrebbe recarsi negli uffici di piazzale Clodio e rispondere alle domande del procuratore aggiunto Paolo Ielo e del sostituto Mario Palazzi ma intanto al momento ha incassato la blindatura da parte di Matteo Salvini. «Resta dov'è, non si muove», il muro eretto dal segretario del partito di via Bellerio. Ma lo scontro Lega-M5S è solo rinviato. Il braccio di ferro andrà avanti fino alle Europee. Il responsabile del Viminale ha sentito i fedelissimi e ragionato sul da farsi. Il timore è legato a quella che per i leghisti è una vera e propria richiesta di dialogo avanzata da un'ala pentastellata al Pd. «Zingaretti e Di Maio sono sulla stessa linea giustizialista. Qui nel giro di pochi mesi ci ritroviamo con l'approvazione dello ius soli», la lettura che fornisce un big' del Carroccio, «dobbiamo stare attenti». «Io non passo il tempo a litigare ma per governare bisogna essere in due», continua a dire Salvini. Ma ormai anche il ministro dell'Interno non nasconde con i suoi l'intenzione di andare ad una resa dei conti dopo il 26 maggio. Diverse le opzioni sul tavolo, con la preoccupazione massima che la prospettiva del voto anticipato sia quella più irrealizzabile. «Non si arriverà per forza ad una crisi di governo ma a quel punto sarà chiaro chi avrà più forza per decidere. Saranno i cittadini ad indicare la rotta, noi non vogliamo condizionamenti», osserva un altro dirigente della Lega. Fino alle prossime elezioni l'ordine impartito è quello di non rispondere alle provocazioni. Neanche alle quattro domande che i Cinque stelle hanno posto ieri alla Lega sul blog: «Quali sono i reali rapporti tra Siri, la Lega e Paolo Arata? Perché il sottosegretario Siri ha presentato più volte delle proposte, sempre bloccate e rispedite al mittente da M5S, per incentivare l'eolico? Perchè Siri si è contraddetto, cambiando versione più volte? Giorgetti sapeva che era figlio di Arata e dei rapporti del padre con Nicastri?». Per i pentastellati si tratta di una «questione morale», di un momento «non più rimandabile». E dunque «occorre un chiarimento», perché - per dirla con le parole del ministro delle Infastrutture Toninelli - Siri «non può stare più al governo». «La politica questo il ragionamento - deve dare il buon esempio. Nessuno può nascondersi dietro la presunzione di innocenza di fronte all'ipotesi di un reato di corruzione. Non può farlo, a maggior ragione, quando nella stessa inchiesta emergono legami con la mafia». L'INCONTRO CON ARATA Eppure per M5S «la Lega finora si è tirata indietro. Ha minimizzato, e non ha dato risposte ai cittadini. O, peggio ha cercato di spostare l'attenzione. Ha fatto spallucce, queste cose le facevano Renzi e Berlusconi, non noi». Insomma la linea non cambia: «Siri mentre si difende deve stare lontano dalle istituzioni della Repubblica. Salvini lo faccia dimettere così continuiamo a lavorare», taglia corto Di Maio. A mettere il suo sottosegretario in panchina Salvini non ci pensa affatto: «Abbiamo fiducia nell'efficienza e nella velocità della magistratura italiana. In uno stato di diritto si è colpevoli se si viene condannati, non se si finisce sui giornali». La rissa continua, senza esclusioni di colpi. Il vicepremier leghista non nega di aver conosciuto il professor Paolo Arata: «E' venuto una volta ad un convegno, ma noi della Lega non abbiamo mai visto una lira, sia chiaro». In serata l'incontro con Di Maio e il nulla di fatto. Per ora le differenze sono incolmabili.
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