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Data: 03/05/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Siri deve dimettersi» Conte scuote il governo Ira Lega: decidano loro. Salvini: i conti dopo le Europee Ma del premier non si fida più

ROMA Giuseppe Conte, pressato da Luigi Di Maio, dismette la grisaglia da avvocato e indossa la toga del giudice (anche se si premura di dire di non esserlo): «All'ordine del giorno del prossimo consiglio dei ministri porrò la mia proposta di revoca dell'incarico di sottosegretario ad Armando Siri», sentenzia il premier alle sette di sera in una conferenza stampa convocata d'urgenza. «Il governo del cambiamento tutela i cittadini, non interessi di parte».
Il presidente del Consiglio legge un discorso dopo aver atteso un gesto dell'esponente leghista nelle ultime ore, decide di forzare. Nessuna dilazione ulteriore, quindi, viene ammessa dal premier, consapevole del fatto che la sua decisione rischia di aprire un'ulteriore crepa in un governo che già naviga nello scontro permanente. Ad una manciata di minuti dalla convocazione della conferenza stampa, Siri dirama una nota in cui ribadisce la sua innocenza e promette di dimettersi non ora, ma nel giro di poche settimane. «Confido che una volta sentito dai magistrati la mia posizione possa essere archiviata in tempi brevi. Qualora ciò non dovesse accadere, entro 15 giorni, farò un passo indietro», spiega il sottosegretario ai Trasporti. La nota viene diramata alle 18,26: quattro minuti prima dell'inizio previsto della conferenza di Conte.
FULMINE
E le parole dell'esponente leghista arrivano come un fulmine nella stanza del premier. L'ira del capo del governo è palpabile. Il premier scende in sala stampa con una trentina di minuti di ritardo, con volto teso, e legge le sue «motivazioni», rifiutandosi di rispondere alle domande dei giornalisti. «È normale ricevere suggerimenti per nuove norme ma come governo abbiamo la responsabilità di valutare se le proposte hanno il carattere della generalità e astrattezza» e la norma al centro dell'inchiesta «era una sanatoria per un singolo imprenditore», spiega Conte ribadendo quanto aveva anticipato nelle due ore di colloquio con Siri: «Non mi voglio ergere a giudice del caso ma la vicenda politica ha un corso diverso da quella giudiziaria». Ed è su questo punto che Conte fa valere il suo ruolo. «Le dimissioni si danno o non si danno. Le dimissioni future non hanno senso», scandisce il premier «smontando» la tesi di Siri anche come avvocato. «Eventuali dichiarazioni spontanee dell'interessato non potranno segnare una svolta dell'inchiesta», osserva, prima di ammonire i due alleati: «La Lega non si lasci guidare da una reazione corporativo e il M5S non ne approfitti per cantare vittoria». La parola ora al prossimo Cdm, appunto, previsto l'8 o 9 maggio. «E speriamo che non sia necessario mettere la decisione ai voti», osserva Luigi Di Maio, chiosando però: «Comunque M5S ha la maggioranza assoluta...». La mossa del premier arriva mentre Matteo Salvini è in Ungheria. E il vicepremier trattiene a stento la rabbia. «Lascio a Conte e Siri le loro scelte. A me va bene qualunque cosa, se me la spiegano», sottolinea il leader della Lega parlando del caso come di una «vicenda locale che non ferma il governo».
PRIMA I PM
Ma ribadendo la tesi secondo cui Siri dovrebbe parlare con i pm prima di dimettersi. «In un Paese civile funziona così», sottolinea. Di Maio, in tv, cerca di nascondere la soddisfazione per una vicenda che, elettoralmente, potrebbe incidere sui consensi per il M5S. «Non esulto e non credo sia una vittoria», sottolinea Di Maio bollando la nota di Siri come «una strada un po' furba» e cercando di attenuare lo scontro con Salvini: «Chiuso il caso Siri: vediamoci, parliamoci, e lavoriamo», è l'appello di Di Maio. Anche perché, al di là del caso Siri, lo scontro è totale. «Le province sono un inutile amarcord, chi le vuole si trovi un altro alleato», attacca Di Maio in mattinata. E dalle Province alle Autonomie la tensione tra M5S e Lega è costantemente alta e si propaga su ogni argomento incluso quella Flat tax sulla quale Salvini non ammetterà sconti. Attacca il sottosegretario Giancarlo Giorgetti: «Quando vado giù mi spiegheranno. Certo che se non si sono spiegati tra di loro è difficile: Sono giustamente preoccupato - aggiunge - ma soprattutto se il governo non fa le cose che deve fare per dare risposte ai cittadini. Poi queste questioni magari alla gente interessano anche relativamente, ma come governo poi abbiamo anche da prendere provvedimenti, dare risposte sull'economia, sulla sanità, su tutto il resto».

Salvini: i conti dopo le Europee Ma del premier non si fida più

ROMA L'ordine di Matteo Salvini è perentorio: «Non cadiamo nella provocazione. La crisi non si apre adesso su Siri». Non a caso, lasciando Budapest dove ha incontrato l'amico Viktor Orban, il vicepremier leghista chiede ai suoi «massimo silenzio».
La Lega è infatti in subbuglio. E' una pentola pronta a esplodere. Ministri e colonnelli, a colpi di messaggi e di telefonate, dopo che Giuseppe Conte ha annunciato che alla prossima riunione del governo dimissionerà il sottosegretario Armando Siri, invocano l'apertura immediata della crisi. Chiedono di «mandare al diavolo quei pazzi giustizialisti»: «Non si comportano come alleati, ma come un pubblico ministero. Non se ne può più», ringhia un esponente di peso del Carroccio.
Salvini però frena la rivolta. Ai suoi spiega: «Oggi Di Maio, per mera propaganda elettorale e con la speranza di rastrellare qualche voto, ha compiuto uno strappo gravissimo. Ma noi stiamo calmi, i conti si faranno alla fine». Anche con il premier: «Oggi Conte ha dimostrato plasticamente di non essere più super partes e di rispondere solo e soltanto a Di Maio...».
Salvini però rimanda a dopo il voto europeo del 26 maggio la resa dei conti. Certo in Consiglio dei ministri la prossima settimana, se Siri non dovesse dimettersi prima come fa balenare qualche fonte accreditata, la Lega voterà contro le dimissioni del sottosegretario. Ma «non è il momento di far cadere il governo». Soprattutto non su una questione delicata come un'inchiesta per corruzione: «Certo, il loro approccio giustizialista è devastante, calpestano il principio inviolabile della presunzione d'innocenza. Ma ora è meglio essere cauti». E così Salvini preferisce chiedere il varo immediato della flat tax, «tutto il resto è noia».
Nel più classico gioco del cerino, Di Maio invece spera che spingere Siri sulla ghigliottina e quel collegare la Lega alla mafia, possa far saltare i nervi a Salvini: «Magari aprisse la crisi sulla questione morale, sarebbe fantastico», confidano a sera i grillini, «in campagna elettorale poi gli faremmo male: la Lega dovrebbe tornare a braccetto di Berlusconi e difendere nei comizi un indagato per corruzione».
Parole che rivelano una strategia ben precisa che ribalta la narrazione del Movimento legato mani e piedi al governo giallo-verde. Se davvero Salvini aprisse la crisi, i 5Stelle potrebbero presentarsi alle elezioni europee del 26 maggio non più a braccetto della Lega, ma come i suoi veri rivali sul campo. Con due obiettivi. Il primo: scongiurare una nuova batosta elettorale con il temuto sorpasso del Pd, per poi proporsi nel dopo elezioni anticipate per un governo a sinistra, visto «che con il proporzionale non vince nessuno, ma guida le danze chi ha più voti». Il secondo: evitare la possibile implosione Movimento innescata dalla nuova sconfitta alle europee, con prevedibile crisi del governo giallo-verde.
IL GIRO DI TELEFONATE
Di certo, c'è che Conte ha avvertito per tempo Salvini della sua decisione. Lunedì, incontrando il sottosegretario leghista, il premier ha lanciato un ultimatum: «Dimettiti entro giovedì è il modo migliore per uscirne con onore. Oppure, sarò io a dimissionarti». Concetto ribadito il giorno successivo al leader della Lega durante il volo Roma-Tunisi. E ieri mattina in una telefonata con il solito Salvini. «Poi, siccome quelli prendevano tempo, facevano i soliti giochini», raccontano a palazzo Chigi, «Conte ha deciso di procedere», annunciando per le 18.30 una conferenza stampa.
Appena appare sulle agenzie l'annuncio, Siri corre a dettare un comunicato: «Sono innocente, confido di essere ascoltato a brevissimo dai magistrati. Qualora ciò non dovesse accadere, entro 15 giorni, sarò io il primo a voler fare un passo indietro». Troppo, per Conte, che legge in questa dichiarazione «un tentativo di rinviare la questione a dopo le elezioni. E non può essere mio sottosegretario chi si comporta così. Ne va della credibilità del governo». A palazzo Chigi assicurano che Conte «ha preso la decisione senza sentire Di Maio».

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