MILANO Matteo Salvini bacia un piccolo crocefisso che stringe nella mano. La Lega, nelle proiezioni, ha infranto la barriera del 33% ed è il primo partito nazionale. «Ringrazio chi c'è lassù, che aiuta l'Italia a trovare radici, lavoro, speranza. Al cuore immacolato di Maria ho affidato non un partito, ma il futuro di un Paese e di un continente». È da poco passata l'una di notte, il segretario del Carroccio scende dagli uffici di via Bellerio dove impazzano brindisi e cori di vittoria. Alla finestra compare il tapiro, un uovo di Pasqua del Milan, una polpetta infilzata su una forchetta e la bandiera dei quattro mori, elaborata simbologia dei festeggiamenti. Ma Salvini va dritto al punto: ora che ha conquistato la leadership indiscussa, assicura, nessuna rappresaglia nei confronti dei Cinquestelle, nessuna richiesta di poltrone, ma subito al lavoro per sbloccare i cantieri dell'alta velocità. Un'ora dopo in collegamento con Porta a Porta va oltre: «La prima cosa che faremo è uno choc sulle tasse, come Trump. Dobbiamo abbassarle e lo diremo anche all'Unione europea dalla quale nei prossimi giorni arriverà la letterina».
ACCELERAZIONE DEI PROGRAMMI
Promette Salvini nel primo commento a via Bellerio quando le proiezioni ormai hanno certificato l'exploit: «Ha vinto la fiducia e la useremo al meglio non per regolamenti di conti interni, perché questa è una politica provinciale e superata, non per qualche poltrona in più. Chiedo solo un'accelerazione dei programmi di governo».
Il vicepremier sa benissimo che questo voto è un referendum sul suo lavoro al Viminale, sul suo ruolo di capo della coalizione, sulla supremazia della Lega nei confronti dei Cinquestelle. Alle scorse europee il Carroccio si è fermato al 6,2%, alle politiche 2018 ha superato il 17%, ora il minimo sindacale è raddoppiato. L'investimento è stato importante: con mesi di campagna elettorale permanente, il gran finale in piazza Duomo a Milano con gli alleati sovranisti e Salvini capolista in tutte e cinque le circoscrizioni, non era permesso sbagliare. «Ogni singolo consenso è la conferma che abbiamo governato bene», afferma il ministro dell'Interno. E adesso che succede? «A livello nazionale resta tutto così, il mio avversario non l'avevo in casa ma nel Pd che ha mal governato. Penso e spero che la somma dei partiti al governo superi ancora il 50%. Di tutte le altri analisi, i ministri, i rimpasti, di cosa succede al governo no... In Italia non cambia nulla, cambia tutto in Europa, contro le regole di chi ha affossato il sogno comunitario trasformandolo in un incubo». I numeri sono dalla parte di Salvini. La Lega, per numero di seggi, è il secondo partito in Europa e prima forza politica del futuro gruppo Alleanza europea dei popoli e delle nazioni, come emerge dai risultati sulle elezioni Ue. Ha vinto il Carroccio in Italia, Marine Le Pen in Francia e Nigel Farage in Gran Bretagna, per Salvini è il sigillo sovranista di un successo personale. «Da domani sarò nel mio ufficio al Viminale. Guarderemo i dati delle comunali, dove da sempre governava la sinistra ora c'è la possibilità di un cambiamento. Se la Lega andrà al governo in Piemonte, sarà un voto alla prosecuzione delle grandi opere, è chiaro. Questi milioni di voti mi ripagano da mesi di oltraggi, minacce insulti e processi. Da una battaglia complicata ad armi impari, contro quasi tutto e tutti». Naturale quindi che l'atmosfera in via Bellerio, storica sede del partito, sia euforica.
CONDIZIONI
Arrivano i ministri Fontana e Bussetti, il consigliere economico Borghi, il sottosegretario Giorgetti e il senatore Calderoli. Che detta le condizioni: «Chi si è fatto venire il mal di pancia, se lo faccia passare. Le indicazioni del voto sono chiare, siamo il primo partito, ciò che sta nel contratto di governo si deve realizzare». Per il momento, però, nessun ribaltone, garantisce: «E' una carta che ci giochiamo, ma non rimette in discussione né il premier né il governo». E Zaia, governatore del Veneto, fa sapere «Il voto è importante perché conferma la nostra forza per andare avanti con quei temi che sono i pilastri centrali della nostra azione. A sostegno dell'autonomia e delle infrastrutture degne di un Paese moderno. In Veneto sull'autonomia vogliamo andare fino in fondo»
«Adesso diamo noi le carte» Ma Matteo teme il collasso M5S
ROMA Nella notte Matteo Salvini festeggia. Il leader è «ultracontento» di avere «stracciato» i 5Stelle, ma soprattutto di aver portato la Lega a essere «il primo partito della Nazione». «Un'impresa titanica per chi, per come noi, quattro anni fa era al 6%». E questo «dopo una campagna elettorale in cui non ci hanno risparmiato nulla». In più quota 30% «è sfondata alla grande» e dunque il Capitano può parlare di «massima soddisfazione». Con un solo cruccio, quello di capire cosa ne sarà dell'odiato alleato di governo: «Il sorpasso del Pd sui grillini potrebbe rendere la situazione drammatica. Il Movimento sotto al 20% potrebbe implodere e allora addio governo...», dice preoccupato un ministro leghista.
Il tracollo pentastellato da una parte fa ghignare la Lega, dall'altra l'allarma. D'improvviso lo schema preparato alla vigilia, con Salvini che forte della vittoria mostra i muscoli, detta l'agenda di governo senza se e senza ma, forse andrà parzialmente rimodulato. «Va a finire che dovremo fare le crocerossine di Di Maio...», sospira un alto esponente del Carroccio. Ma non la pensa così Salvini: «Vado avanti, d'ora in poi decido io cosa si fa e cosa non si fa. Il problema è tutto dei 5Stelle. Se tengono i nervi saldi, se dicono sì e la smettono di insultare bene, altrimenti al diavolo...».
Da domani, insomma, Salvini darà le carte. «Chi vince guida», aveva avvertito Giancarlo Giorgetti. Così sarà. Tant'è, che il leader è pronto a dettare l'agenda, pur sostenendo che «i grillini non saranno mai avversari». Lo farà sulla Tav, l'autonomia differenziata, la flat tax, il decreto sicurezza, i porti chiusi. E lo farà anche chiedendo una riforma della giustizia «garantista e non giustizialista come vorrebbero i grillini», dicono nell'entourage del capo. E aggiungono: «Ci sarà anche la riforma del reato di abuso d'ufficio: non è possibile che gli amministratori pubblici abbiano paura a firmare gli atti, così si ferma il Paese».
I suoi, nella notte, dicono che Salvini «non ammetterà più i distinguo di Di Maio e soci: il tempo degli insulti, delle mediazioni e dei no è definitivamente concluso». E afferma un altro ministro, rivelando quanto profondo sia il solco che si è creato con i 5Stelle dopo una campagna elettorale «fatta soltanto di insulti»: «La gente ci ha votato perché cominciassimo a prendere a sberle Giggino. Nei comizi mille volte ci hanno chiesto di rispedirlo a fare il bibitaro allo stadio. Dopo la cacciata di Siri, il modo vergognoso come è stato trattato, si è rotto il rapporto di alleanza e di fiducia».
NESSUNA INDULGENZA
Per questo c'è chi scommette che Salvini manterrà l'asticella alta, anche se lui esclude «regolamenti dei conti». E che non sarà molto indulgente di fronte alle difficoltà di Di Maio. Primo, perché «il rapporto con lui si è definitamente logorato». Secondo, perché «tra i grillini non comanda Giggino, ma Casaleggio e quello crede di poter giocare anche un'altra partita». «Quindi non è detto che il Movimento si piegherà» ai diktat leghisti. «In questo caso, però si va sparati alle elezioni in settembre! Anche da soli».
Ma c'è di più. C'è che a dispetto dell'impegno solenne, rosario in pugno, di Salvini («non chiederò neppure mezza poltrona, quella è vecchia politica») nella Lega cresce la voglia di rimpasto. «Per rilanciare il governo serve un tagliando vero», dice un altissimo esponente lumbard, «perché non si può continuare a lavorare con gente incapace come Toninelli, Grillo, Trenta». Pausa, sospiro: «Certo, andrebbe ancora meglio se si cambiasse anche Conte. Salvini l'ha detto chiaro che non è più super partes. Chissà, dopo la batosta subita i grillini potrebbero darci anche il premier, pur di evitare le elezioni anticipate...». Di sicuro il Carroccio metterà le mani sul commissario europeo e sul ministero alle politiche europee. Oltre a decidere le nomine in Eni, Enel e Leonardo quando arriverà l'ora, «sempre che prima non l'implodano i 5Stelle e non si debba andare a votare».
L'IPOTESI ELEZIONI
Ecco, l'altra opzione. Con la Lega ben sopra il 30%, in molti scommettevano che Salvini avrebbe monetizzato, andando al voto in settembre. Ma vista la debolezza dei 5Stelle, il loro rovinoso precipitare sotto al 20% offre al leader leghista margini ampissimi: «Non ci sarà alcun regolamento dei conti anche perché quelli correranno a inginocchiarsi», dicono in via Bellerio.
C'è un altro dato che non passa inosservato a Salvini: la tenuta di Forza Italia. Silvio Berlusconi è duro da far evaporare ed è di conseguenza ancora difficile ipotizzare un unico partito di centrodestra a guida leghista. Una ragione in più per evitare la crisi di governo e scongiurare il rischio che nasca in Parlamento un esecutivo di responsabili. Dove ci sarebbe mezzo Movimento, la Lega, Fratelli d'Italia, ma anche il Cavaliere. Prospettiva del tutto sgradita a Salvini che, a parte il problema della compagnia, non vuole andare a palazzo Chigi senza la benedizione elettorale: «Avete visto cosa è successo a Renzi... Porta male».