ROMA «Speriamo che vincano almeno un ballottaggio? Ah, no? Sono messi male anche nei comuni? Speriamo che vincano almeno il ballottaggio a Campobasso!». Salvini dice così, ai suoi, e nel tono della voce, nello sguardo, nella delusione che prova per il tracollo dei grillini si misura tutta la sua paura di restare da solo. Ovvero con un partner troppo debole - «Dobbiamo aiutare Di Maio» - per consentirgli di governare. E per restare fermo nella sua posizione sempre più fragile e sempre meno condivisa dai suoi, alla luce del trionfo verde e della débacle gialla, che resta questa: «Il vecchio centrodestra è il passato. Guardiamo avanti».
Ma il richiamo della foresta del centrodestra, anche se il leader per ora non lo vuole sentire - mentre i suoi colonnelli gli ripetono: «Matteo, abbiamo i numeri sufficienti per andare a votare e stravincere con la Meloni e Berlusconi è così contento di essere andato in Europa che la smetterà di intromettersi» - sembra restare l'unica via percorribile. Perché nessuno, e sotto sotto neppure Salvini, si fa l'illusione che M5S ridotto com'è possa sottomettersi allo strapotere leghista, all'agenda salvinista e allo slancio del Carroccio, e perdere pure il poco che gli è rimasto. Dunque si torna al centrodestra? Il successo di Fratelli d'Italia è una spinta in questo senso. E il calcolo e facile: la Lega più il partito della Meloni fanno il 40 per cento. «Con l'8 per cento forzista, si vola»: lo dice pure Maroni. Lo ripete Zaia. E' il refrain-pressing-tormentone che nel partito si fa sempre più forte nei confronti di Salvini. «Basta che lui ci dia il via, e si parte. Il centrodestra è già pronto. Magari anche in questo Parlamento, se usciamo un po' di fantasia», dice un ministro lumbard.
I CONTI
E gli altri big, nella sede di via Bellerio a Milano, fanno i conti: «Con Berlusconi e la Meloni abbiamo vinto ogni elezione possibile e immaginabile. Questa delle Europee è la settima vittoria: dopo il Friuli, il Trentino, l'Abruzzo, il Molise, la Basilicata, la Sardegna. Come fa Matteo a non vedere questa serie storica?». Certo che la vede. E vede anche che, dalla Tav alla Flat tax, allo Sblocca cantieri e a tutto il resto (e le autonomie? Lì qualche problema c'è, perché Forza Italia e Fratelli d'Italia sul patriottismo non cedono), la coincidenza di posizioni con il resto dell'alleanza amministrativa ma non politica è solida. Insomma torna con prepotenza - e non è solo la prepotenza dei numeri - l'attualità dell'area di centrodestra, anzi ormai di destra-centro perché Berlusconi non è più trainante ma resta in pista come (parole sue) «componente centrale e indispensabile». E per ora Salvini tiene il punto («Leale all'alleanza con l'amico Di Maio») ma già il no alla dimissioni di Rixi se condannato, per non dire degli altri dossier altamente divisivi con i 5 stelle, dimostra che dalle parti giallo-verdi il cammino è agli sgoccioli e la forza di attrazione della coalizione naturale di centrodestra crescerà di mese in mese. E sarà sempre più complicato per il Capitano di negare questo sbocco.
SPROFONDO AZZURRO
«Io non sono sicuro affatto che lo sbocco ci sarà», dice Gianfranco Rotondi, che pure apprezza la professionalità, così lui la chiama, di Salvini. Ma dice: «Matteo s'inghiottirà tutto. Noi non gli serviamo e con Forza Italia non tornerà mai». Berlusconi crede l'opposto però. «Lo so - incalza Rotondi - ed è perché il Presidente è una brava persona. Pensa che Salvini sia un ragazzotto scapestrato che poi metterà la testa a posto. Invece è un lucido giocatore che vuole prendersi da solo tutto il piatto dicendo a noi e alla Meloni: se mi date qualche nome forte, lo metto in lista. Nulla più di questo».
Non sono dello stesso avviso gli uomini forti - Zaia, Fontana il governatore, Giorgetti, Fontana il ministro - dell'asse del lombardo-veneto. Non vedono l'ora di staccare la spina all'esecutivo. Salvini continua a chiedergli tempo: «Io insisterò fino alla fine con M5S». Ma, appunto, quanto potrà resistere un M5S fragile e depresso in uno schema che lo ha spolpato e in una situazione da sindrome di Stoccolma? «Per me - è ripete Giorgetti in queste ore, rinvigorendo qualche che diceva prima del voto - la questione con i 5 stelle è già chiusa. Una coalizione bella e pronta l'abbiamo, perché non usarla?». Salvini prima placava i suoi dicendo: «Aspettiamo i risultati del voto e poi si decide». Ora temporeggia in altro modo: «Noi andiamo avanti per la nostra strada, e vediamo se loro sono capaci di stare al passo». Certo che no.