ROMA Nei 5Stelle il processo a Luigi Di Maio è iniziato a 24 ore da un'assemblea congiunta dei gruppi parlamentari che ha il sapore di uno scontro senza esclusioni di colpi. Questa volta l'agitazione è ben più estesa di quella che fino a qualche settimana fa coinvolgeva il gruppo dei soliti contestatopri appartenenti all'ala ortodossa e più di sinistra vicina a Roberto Fico.
Il malumore è esteso, variegato, include praticamente gli interi gruppi parlamentari trovando il suo apice nelle parole che Gianluigi Paragone - tra i presenti ad una riunione ristretta svoltasi presso il ministero dello Sviluppo - affida ai media nel pomeriggio. «La generosità di Di Maio di mettere insieme 3-4 incarichi in qualche modo, deve essere rivista», scandisce il senatore. Difficile che, oggi, sia subito accontentato. Probabile, invece, che il vicepremier annunci l'istituzione di una sorta di segreteria politica, di 5-10 membri e composta da persone non al governo. Organismo nel quale potrebbe rientrare proprio Alessandro Di Battista.
Intanto, il Movimento sembra avvolto in una nuvola di confusione mista a sgomento. Di Maio per tutta la giornata ha evitato microfoni e corridoi parlamentari ed è rimasto al lavoro con il suo staff. Si era diffuse voci di un suo incontro con il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ma poi si è scoperto che la presenza del ministro al Quirinale era dovuta ad una riunione sui Cavalieri del lavoro. Nel pomeriggio ha visto alcuni esponenti di spicco del M5S, come i due capigruppo D'Uva e Patuanelli e, probabilmente, i ministri Fraccaro e Bonafede.
Ma rispetto al vertice dell'altro ieri i contatti sono ben più discreti. La riunione convocata al Mise, infatti, non ha fatto che far impennare il malumore tra i parlamentari. «Noi chiediamo più partecipazione e loro si vedono tra gli amici», protesta un deputato.
BOTTA E RISPOSTA
E il malcontento, soprattutto tra i «dimaiani», monta ulteriormente quando Paragone scandisce la necessità di una «leadership 24h». «Sai come le chiamo io queste persone? Traditori. E un traditore è sempre un traditore», è sbottato un deputato in Transatlantico. Davide Tripiedi è un altro che non le manda a dire e allarga il bersaglio: «Gallo, Ruocco, Paragone? Si dimettessero loro prima di chiedere quelle di Di Maio!». In effetti, se domani tutti in assemblea chiederanno più partecipazione e una «rivoluzione» nella gestione del Movimento e delle sue scelte solo una parte, minoritaria, potrebbe chiedere le dimissioni di Di Maio da capo politico.
Magari allegando alla richiesta un documento scritto, con tanto di firme. Il testo per ora, sembrerebbe non ancora nero su bianco ma non è un caso, in mattinata, la presenza a Montecitorio della senatrice Paola Nugnes, dissidente di lungo corso. E nel regno del dissenso si inseriscono anche Carla Ruocco e Roberta Lombardi. «Paghiamo l'uomo solo al comando», sottolinea la presidenza della commissione Finanze.
«La responsabilità in capo ad un solo uomo è deleteria per il Movimento, ed è un concetto da prima repubblica», incalza Lombardi. In silenzio, per ora, resta Roberto Fico. Ma il suo silenzio comincia ad essere assordante.
Di Maio potrebbe parare le critiche annunciando una profonda riorganizzazione del M5S e una segreteria con il ritorno in grande stile di Di Battista. Domani, probabilmente, ne parlerà con Davide Casaleggio, atteso a Roma. Poi affronterà i parlamentari. Con un gradito incitamento che giunge in serata. «Fu la necessità a far sì che Aristide tornasse per sconfiggere i persiani», ha scritto la compagna Virginia Saba su Instagram.
Luigi “offre” le dimissioni. Casaleggio: votiamo sul web. L’idea di farsi confermare la fiducia dalla base. Spunta l’ipotesi dell’addio alla Lega
ROMA L'annuncio questa sera in assemblea per sedare la rivolta dei parlamentari e poi un voto su Rousseau. Per aprire una «cabina di regia» o «di gestione», ma soprattutto per farsi rinnovare la fiducia dagli iscritti che lo scelsero nel settembre 2017. Solo così Luigi Di Maio potrà andare avanti. Un leader ancora in piedi, ma puntellato. Che però, d'ora in poi, dovrà «tornare alle origini». Mettendo in conto che il banco del governo potrebbe saltare. Spunta anche l'ipotesi dell'addio alla Lega. Per il vicepremier si apre una partita complicatissima: da una parte deve guardarsi dal pressing di Matteo Salvini sul governo, dall'altra deve tenere unito il Movimento a rischio implosione.
GLI SCHIERAMENTI
Il Capo politico in questo momento può contare sul sostegno «senza se e senza ma» dei ministri e dei sottosegretari, così come su quello dei peones al primo mandato.
Allo stesso tempo, Di Maio è entrato nel mirino dei vecchi saggi del M5S: Nicola Morra, Carla Ruocco, Roberta Lombardi, svariati presidenti di commissione (tra loro Luigi Gallo, area Roberto Fico). Tutti coloro, insomma, che sono arrivati al secondo mandato. Ma soprattutto in queste ore si registra l'attivismo di Davide Casaleggio convinto che la crisi debba passare - o essere lavata - su Rousseau.
Il figlio del fondatore, subito dopo la sconfitta delle Europee, ha iniziato a mandare una serie di messaggi ai parlamentari fidati per chiedere loro, testuale: Ditemi tre principi da cui ripartire. Un sondaggio, spiega chi conosce i modi di fare di Davide, che presto potrebbe approdare sulla piattaforma pentastellata. In modo che gli iscritti dettino l'agenda a Di Maio e a chi lo affiancherà (nella rosa c'è anche Alessandro Di Battista).
Uscirà dalla rete, dunque, la strategia da tenere nei confronti di Salvini: basta rinunce e timidezze come nei primi sette mesi di governo, meglio continuare ad andare all'attacco. Costi che quel costi. Nella peggiore delle ipotesi, ragionano in molti, meglio ritornare al voto come forza strutturata di opposizione che andare avanti con il governo ma in posizione sempre più ininfluente (come hanno raccontato benissimo le ultime elezioni).
I VERTICI
Anche ieri sera Di Maio ha passato ore a ragionare su come poter gestire l'assemblea di questa sera: un problema non da poco. Al suo fianco i ministri Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, ma anche i capigruppo, Stefano Patuanelli e Francesco D'Uva.
Il primo pericolo da sminare è che oggi qualcuno si alzi e presenti un documento per mettere su Rousseau la sfiducia a Di Maio come capo politico del M5S. Una voce girata in Transatlantico per tutta la giornata, ma che paga la disorganizzazione delle tante anime critiche. Un arcipelago di dissensi difficili da unire. Dunque gli uomini del Capo stanno pensando - in accordo con Casaleggio - di fare il giro opposto: chiedere agli iscritti di riconfermare i galloni di leader al vicepremier inserendo allo stesso tempo il tema dell'allargamento della segreteria politica.
Di Maio però si sente assediato dai suoi. E l'uscita di Nicola Morra, che arriva dopo l'intervista di Carla Ruocco a Il Messaggero, non fa che confermare l'aria che tira: «Ora servono cinque cavalieri per la cabina di regia». Uomini e donne scelte dagli iscritti su Rousseau. Una soluzione mediana rispetto alla richiesta di dimissioni avanzata su queste colonne dalla presidente della Commissione Finanze nonché ex membro del direttorio.
Non ci sono solo critiche nei confronti di «Luigi». In molti in queste ore contestano l'ingratitudine di chi si scaglia contro di lui, dimenticandosi il «capolavoro» di un anno fa alle politiche. Ecco perché mai come in questo momento Milano diventa centrale per cercare di superare una crisi al buio dal destino ancora incerto. L'attivismo di Casaleggio fa il paio con l'amarezza di Beppe Grillo che però non sembra essere intenzionato a rientrare in gioco come parte attiva. In molti, anzi, ricordano che quest'anno, per la prima volta, il comico non solo non ha presenziato alla chiusura della campagna elettorale, ma non ha nemmeno consegnato alla piazza un videomesaggio. Per Di Maio è una corsa contro il tempo: deve superare il prima possibile la bufera per poi tornare a mettersi seduto con Matteo Salvini, animato dalle migliori intenzioni per mandare avanti un governo a guida Lega.