Parla il segretario generale della Cgil: "Nella gestione dell'innovazione, il minore esercizio del diritto di proprietà dell’impresa è una condizione necessaria per il confronto nella fase in cui sono assunte le decisioni organizzative fondamentali"
L'articolo che segue è tratto da Idea Diffusa, l'inserto sul lavoro 4.0 realizzato da Rassegna Sindacale insieme all'Ufficio lavoro 4.0 della Cgil. Nel nuovo numero (aprile-maggio 2019), aperto da un'intervista al segretario generale Maurizio Landini, parliamo del manuale “Contrattare l’innovazione digitale”. Si può scaricare gratuitamente qui.
Qual è il ruolo del sindacato oggi, nelle trasformazioni tecnologiche che stiamo vivendo?
Dobbiamo continuare a rappresentare un lavoro che vive cambiamenti velocissimi, stipulando accordi e rinnovando contratti, ma svolgendo anche un ruolo politico per affermare un nuovo modello sociale in grado di accompagnare le trasformazioni. Un processo di questa natura ha dunque bisogno di analisi e di studiare ciò che accade, coinvolgendo persone e nuove competenze, senza dimenticare che la nostra funzione non è solo la contrattazione di resistenza, ma anche quella di proporre come e dove governare i processi del cambiamento.
Cosa si può fare in concreto?
Sono temi affrontati anche nel nostro congresso con concetti che possiamo sintetizzare così: contrattazione dell’algoritmo e contrattazione inclusiva. In pratica dobbiamo pensare a forme di partecipazione nelle fasi di progettazione.
È una novità interessante. Quale potrebbe essere il ruolo dei lavoratori?
Non mi riferisco all’elezione di un rappresentante nei consigli di amministrazione. Di per sé, non basterebbe a esercitare un ruolo di contrattazione informata, d’anticipo. Dobbiamo essere legittimati a fare contrattazione e ci vuole la certificazione della rappresentanza. In questo senso va anche la nostra Carta dei diritti e la necessaria applicazione dell’articolo 46 della Costituzione. E va sicuramente aggiunto un ragionamento attento sulla modifica dei perimetri contrattuali e sulla strutturazione delle filiere. Insomma, servono informazioni e agibilità che permettano ai lavoratori di essere soggetti attivi. La Cgil, nel dotarsi di un ufficio di progetto sul lavoro 4.0, ha fatto una scelta finalizzata ad avere un punto di osservazione e di analisi che leggesse il cambiamento in atto, che è insieme produttivo e sociale. Ma non basta: occorre dotarsi della capacità di rappresentare tutte le professionalità in ogni luogo di lavoro, ricostruendo un’azione e una rappresentanza unitaria: perciò è fondamentale coinvolgere anche i tecnici e le alte professionalità. Però, aggiungo, anche le imprese devono fare la loro parte.
In che modo?
Un punto fondamentale è cercare un nuovo equilibrio tra due pesi: da un lato c’è il diritto di proprietà dell’impresa; dall’altro, la necessità di maggiore libertà e il riconoscimento di pari dignità tra lavoro e azienda. È una nuova mediazione che si ricompone a un livello più alto, perché le scelte sono più complesse. A mio parere, il minore esercizio del diritto di proprietà dell’impresa è una condizione necessaria per un confronto che deve svolgersi nella fase in cui sono assunte le decisioni organizzative fondamentali. Un tavolo che ovviamente non prevede obblighi di accordo. A tutto questo c’è una premessa da fare: se serve maggiore responsabilità del lavoratore nella vita dell’impresa, allora non può che diminuire la precarietà e la flessibilità del mercato del lavoro. Investimenti e qualità devono andare di pari passo, anche perché chi ha scelto una competizione sui solo diritti e sui costi non è cresciuto e ha subìto crisi spesso devastanti. Lo dimostrano i fatti.
Quale deve essere in questo quadro il ruolo pubblico?
È fondamentale. Le trasformazioni di cui stiamo parlando non possono essere lasciate in mano ai soli privati, ma purtroppo dal 2008 al 2018 gli investimenti pubblici sono diminuiti del 30 per cento. Senza tutto questo, e senza la costruzione di un quadro di regole comuni europee e una crescita dimensionale delle nostre imprese, non si supera il ritardo che ha il Paese.
Uno dei temi che vengono spesso richiamati è quello della formazione. Cosa ne pensi?
Il tema delle competenze e della formazione è straordinario. Non è più neanche sufficiente il percorso di studio tradizionale, serve una formazione strutturale lungo tutta la vita. Il tema dei tempi e dell’orario deve essere trattato pensando anche a cosa compone il tempo di lavoro: la formazione dev’essere un elemento strutturale nel tempo di lavoro e l’attività dell’impresa deve essere organizzata per includerla.
(Chiara Mancini è coordinatrice della piattaforma Idea Diffusa)