ROMA E niente. Anche la Festa della Repubblica del 2019 è stata sommersa dal chiacchiericcio delle polemiche politiche come un qualsiasi talk show televisivo.
E' successo che mentre i reparti coinvolti nella parata ancora marciavano per via dei Fori Imperiali, il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, ha fatto partire un tweet congtro il presidente della Camera, Roberto Fico, che era sul palco a pochi passi da lui.
«Io - ha scritto il titolare del Viminale - dedico la Festa della Repubblica all'Italia e agli Italiani». Fico, prima dell'inizio della cerimonia, aveva dedicato la Festa anche «ai migranti che si trovano nel nostro territorio, ai rom e ai sinti».
E così la sfilata del 2 giugno - già funestata dalle polemiche assenze di ex generali ed ex ministri della Difesa - è diventato il palcoscenico di un nuovo capitolo dello scontro tra i due alleati di governo.
Tutto era cominciato pochi minuti prima dell'inizi della parata. Fico si era fermato a parlare con i giornalisti e aveva detto: «Questa Festa va dedicata a tutti gli italiani, ai migranti che si trovano nel nostro territorio, ai più deboli, ai rom, ai sinti. Questa è la forza della nostra Repubblica: non fare differenze di sesso, razza o religione, perché sotto questo angolo di cielo che si chiama Italia sventola per tutti la stessa bandiera».
L'ABBANDONO
Un'uscita che ha scatenato Salvini, unico senza cravatta sul palco autorità, che dopo il tweet è sceso fra i cronisti per rincarare la dose: «Questa è - ha ricordato - la Festa degli italiani, non dei rom e degli immigrati. Nei campi rom di legalità ce n'è poca, quindi preferisco festeggiare i nostri militari. Qua c'è gente che rischia la vita per difendere l'Italia e sentire un presidente della Camera che dice che è la festa dei migranti e dei rom fa girare le scatole ed è un torto anche per chi ha sfilato».
La sortita di Fico ha provocato anche una presa di distanza del leader M5S, Luigi Di Maio. «Oggi - ha osservato - è la festa di tutti gli italiani, soprattutto di quelli che hanno perso la pazienza, che aspettano risposte, che non ne possono più di parole ma che si aspettano fatti concreti! Una festa che ci deve unire tutti. Invece anche il 2 giugno si è trovato il modo di fare polemica, per di più davanti ai nostri soldati. Io e Roberto - puntualizza - su queste questioni siamo molto diversi, non è una novità. Io non avrei mai alimentato questa polemica di distrazione di massa sui migranti il 2 giugno. È una sua opinione, lui è il presidente della Camera, io il capo politico del M5S».
Lo scontro sale e oscura la parata dell' «inclusione», il contestato tema scelto in questo 73/o anniversario dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta, seduta il tribuna accanto a Mattarella. Il capo dello Stato, da parte sua, ha benedetto la scelta: «Il tema della inclusività - ha spiegato - bene rappresenta i valori scolpiti nella nostra Carta, che sancisce che nessun cittadino può sentirsi abbandonato, bensì deve essere garantito nell'effettivo esercizio dei suoi diritti».
E in questa fase di forte fibrillazione post-europee, i Fori sono stati il teatro di conversazioni sulle sorti del governo. Salvini, il ministro Giovanni Tria, Giancarlo Giorgetti, hanno confabulato a lungo prima della cerimonia. Anche l'ordinario militare, monsignor Santo Marcianò, si è intrattenuto col ministro dell'Interno. Su tutti, alla fine, il consueto e affascinante passaggio delle Frecce Tricolori.
La stoccata del leader grillino: Roberto si è venduto al Pd?
ROMA Luigi Di Maio, di primo acchito, non sa cosa pensare. Legge le parole di Roberto Fico, le derubrica «a posizioni personali», poi inizia a rispondere ai messaggi dei parlamentari in rivolta. Fiumi di veleno, il capo dei Cinque Stelle si infuria, anche a lui, come all'altro vicepremier, «girano le scatole». Tanto che consegna ai suoi una battuta: «Ma Roberto si è venduto al Pd?». L'uscita del presidente della Camera su «rom, sinti e migranti da includere» nella dedica del 2 Giugno è un rigore a porta vuota per Matteo Salvini. Lo capiscono tutti. Anche Alessandro Di Battista, che con il leader della Lega non va certo d'amore e d'accordo, è molto perplesso. Dibba chiama Di Maio. Per un confronto. Per capire. «Perché Roberto si fa strumentalizzare in questo modo? Mi dispiace davvero tanto, non so cosa pensare». Gli attivisti storici si sfogano e dallo staff di Di Maio partono stilettate di questo tipo: «Forse era Fico a doversi fare confermare su Rousseau, non Luigi. Ma come si fa, dai».
I SOSPETTI
La faglia è profonda perché arriva in un momento delicatissimo per un M5S che sta cercando di riprendersi dalla «scoppola elettorale» delle Europee e che si trova in una posizione di debolezza nei confronti dell'alleato del Carroccio. «Questa non è la linea del M5S, che si sappia», prova a mettere le mani avanti il leader, alle prese con quello che chiama «fuoco amico incomprensibile».
Il pensiero del presidente della Camera è diverso e più articolato. E a chi lo chiama spiega: «Ho detto una cosa che pensavo, la campagna elettorale è finita e, secondo me, il riferimento all'Olocausto è tristemente d'attualità. Io mi muovo sempre nel solco della Costituzione». L'Opera nomadi si schiera con Fico: «Lui è sensibile, Salvini è totalmente disinformato». Il segretario della Lega ha capito alla perfezione che questa è la polemica di giornata e così, in tour per la campagna elettorale, da a Tivoli scherza: «Alla fine andiamo tutti al bar, offre Fico visto che oggi è la festa dei migranti, dei rom e dei borseggiatori». Intanto, Fratelli d'Italia e Forza Italia attaccano la terza carica dello Stato, il Pd la difende. Si ripete lo schema già visto quando Virginia Raggi prese le difese, in piena campagna elettorale, di una famiglia rom a cui si impediva di entrare in una casa popolare del Comune di cui era legittima destinataria. Anche in quell'occasione - seppur in una dinamica differente perché l'estrema destra soffiava sulle polemiche - Di Maio fece trapelare una certa irritazione nei confronti della sindaca. Questa volta per il caso Fico è diverso. I commenti su Facebook al post del vicepremier pentastellato contro chi si scambia «attacchi e provocazioni» sono spietati: «Luigi, tutte le volte che parla ci fa perdere voti: cacciatelo».
LA TELEFONATA
In serata Fico e Di Maio si sentono al telefono. Il presidente della Camera gli ribadisce che «non ci sono letture politiche» dietro le sue parole. I deputati più vicini al Capo grillino per tutta la giornata disegnano congetture: «Roberto vuole rompere e puntare sulla Cosa rossa con De Magistris, candidandosi a governatore della Campania». In molti pesano le parole di «Roberto» perfettamente in linea con quelle pronunciate durante l'ultima, rovente assemblea dei gruppi di mercoledì scorso pronunciate contro la linea politica di «Luigi» («Non sappiamo più chi siamo») e all'indirizzo della comunicazione del Movimento. Critiche che hanno portato all'astensione dal voto su Rousseau da parte del presidente di Montecitorio («Non partecipo, no al focus sul singolo»). La linea interna in queste ore di navigazione difficile e di cercare di circoscrivere il più possibile la polemica. La presidente della commissione Giustizia della Camera, Francesca Businarolo, si schiera: «Questa è la festa di tutti coloro che vivono qui è strano distinguere etnie». La senatrice Elena Botto replica: «Un bel tacere non fu mai scritto».