ROMA Un miglioramento del deficit strutturale di fatto equivalente, se non migliore, rispetto a quello promesso per il 2018 dal precedente esecutivo e poi non conseguito. La strategia del ministero dell'Economia per evitare l'apertura di una procedura europea sul debito del nostro Paese passa per un'analisi minuziosa delle stesse regole del Patto di stabilità e crescita. E continua ad escludere per il momento il ricorso ad una tradizionale manovra correttiva, che al di là di altre considerazioni sarebbe difficilmente gestibile sul piano politico.
ASSESTAMENTO DI BILANCIO
I progressi, rispetto alla situazione fotografata dalla commissione lo scorso 7 maggio nelle previsioni di primavera e poi recepita nel recente Rapporto sul debito, verrebbero tutti dalle entrate tributarie ed extra-tributarie maggiori rispetto alle previsioni e dai risparmi su reddito di cittadinanza e Quota 100. Queste risorse aggiuntive, anche tenendo conto dell'esigenza di nuove spese che si manifesterebbe con il prossimo assestamento di bilancio, farebbero calare il deficit fino al 2,1 per cento, rispetto ad una stima fatta dallo stesso governo in aprile che parla di 2,4 e di una previsione della commissione al 2,5. È probabile che Tria e i suoi collaboratori siano stati persino prudenti: il minor utilizzo delle due misure-simbolo di Lega e M5S viene stimato in circa 1,3 miliardi ma potrebbe essere più consistente, fino a 3 miliardi: in quel caso il disavanzo potrebbe anche assestarsi intorno al 2 per cento.
In ogni caso quel che conta ai fini europei non sono tanto le grandezze nominali ma quelle strutturali ossia calcolate tenendo conto dell'impatto del quadro economico sui conti (output gap). Le regole chiederebbero all'Italia di migliorare il proprio saldo strutturale dello 0,6 per cento: l'anno scorso invece c'è stato un leggero peggioramento. La commissione prevede per il 2019 un disavanzo nominale del 2,5 per cento, che corrisponderebbe ad un ulteriore deterioramento del saldo strutturale pari allo 0,2%. E qui si inserisce la linea di Tria che punta a capitalizzare i margini di riduzione del deficit: con il 2,1, usando le stesse stime della Ue, il saldo strutturale avrebbe - invece che un peggioramento - un miglioramento dello 0,2 per cento, a cui si aggiungerebbe un altro 0,2 legato al riconoscimento da parte della Ue della flessibilità extra legata alla ricostruzione del Ponte Morandi e agli interventi contro il rischio idrogeologico. Insomma, riassumendo: l'esecutivo punta ad un risultato più o meno equivalente a quello che era atteso per il 2018 ma non era stato ottenuto. Risultato che per inciso è anche migliore, sempre nei termini dei saldi strutturali, a quello implicito nell'accordo raggiunto a dicembre con la commissione. Il rispetto sostanziale del percorso di riduzione del deficit dovrebbe poi consentire di mettere in secondo piano la violazione sul debito, riconosciuta anche dall'Italia.
IL RINVIO
Resta da capire quale sarà l'atteggiamento di Bruxelles e soprattutto dei governi dell'Eurozona. Oggi è in programma la riunione del Comitato economico e finanziario, sostanzialmente gli sherpa dei ministri finanziari. I quali ministri si dovrebbero esprimere sul caso italiano non nella riunione in programma dopodomani, ma in quella del 9 luglio. Se ci sarà un'apertura di credito nei confronti del nostro Paese, allora potrebbe prendere quota la soluzione del rinvio, con il via libera alla richiesta italiana di attendere la fine di luglio per avere dati più aggiornati sull'andamento delle entrate fiscali. A quel punto salterebbe la scadenza dei quattro mesi dal momento in cui teoricamente si è manifestato il maggior debito, ossia il primo aprile: si arriverebbe a dopo l'estate e tutta la partita si mescolerebbe con quella, complicatissima, della legge di Bilancio per il 2020, per la quale sulla carta il governo dovrà mettere insieme almeno una trentina di miliardi.