ROMA La partita ormai è tutta nelle mani del premier Giuseppe Conte e del ministro dell'Economia Giovanni Tria. I piani di Palazzo Chigi e Tesoro per disinnescare la mina della procedura di infrazione europea viaggiano su binari paralleli. A breve è attesa la lettera che Conte ha intenzione di indirizzare alle istituzioni europee prima del Consiglio di giovedì e venerdì prossimi. L'intenzione del presidente del Consiglio è quella di garantire che l'Italia farà di tutto per evitare la procedura d'infrazione, ma ai capi di governo che si riuniranno a Bruxelles per discutere anche della riforma dell'Unione monetaria, Conte vuol far arrivare anche un altro messaggio. Chiedere, cioè, parità di trattamento tra tutti i membri del club dell'euro, senza maggiori riguardi per chi, come la Germania, da anni non rispetta le regole sul surplus commerciale. Ma il compito più difficile, probabilmente, spetta a Tria. Numeri alla mano, il ministro dell'Economia dovrà convincere in breve tempo che l'Italia rispetterà sostanzialmente gli obiettivi di deficit del 2019 e che ha chiaro in mente un percorso di contenimento del disavanzo anche per il 2020.
L'ULTIMATUM
Bruxelles avrebbe dato pochi giorni di tempo a Roma per rispondere, anche se a via XX settembre guardano come scadenza a quella dell'Ecofin del 9 luglio. Tempi comunque stretti. Senza contare che, oltre a disinnescare le clausole di salvaguardia da 23 miliardi, il ministro deve trovare il modo di tener fede agli impegni del contratto di governo che prevede l'introduzione della flat tax. Ieri il vice premier Matteo Salvini ha ribadito come il primo impegno da mantenere nella manovra economica del prossimo inverno «è tagliare le tasse a lavoratori e imprenditori italiani. Non c'è», ha detto Salvini, «braccio di ferro con l'Europa: ridurre le tasse è un nostro impegno e un nostro diritto, anzi un nostro dovere. Nessuno potrà impedirci», ha detto, «di ridurre le tasse agli italiani». Poi ha aggiunto ancora: «Non a tutti subito, ma a tanti si. Se a Bruxelles va bene sono contento, se a Bruxelles non va bene deve sapere che i soldi degli italiani li gestisce il governo degli italiani, non altri».
Insomma, tra questi paletti deve muoversi Tria. Che, tutto sommato, qualche fiche in mano pure ce l'avrebbe. Il deficit del 2019 può essere contenuto di 2-3 decimali, riavvicinandolo a quel 2,04% concordato con Bruxelles alla fine dello scorso anno, quando l'Italia già aveva sfiorato la procedura di infrazione. Il disegno di legge di assestamento del bilancio dello Stato, che sarà approvato prima della fine del mese, certificherà il miglioramento dell'andamento delle entrate tributarie. L'Iva va meglio del previsto, e anche il contrasto all'evasione fiscale ha fatto registrare un più 6% grazie soprattutto alla fatturazione elettronica.
IL MECCANISMO
Ci sono poi i risparmi di Reddito e Quota 100. Sono stati quantificati in 1,5 miliardi per ora, ma a fine anno potrebbero essere di più. Un modo per convincere l'Europa potrebbe essere quello di congelarli in una clausola di salvaguardia simile a quella garantita a Bruxelles nella prima trattativa, quella dello scorso inverno. Allora ad essere messe in freezer fino a luglio, furono 2 miliardi di euro di spese dei ministeri già individuate voce per voce. Poi ci sono le rassicurazioni da dare sul 2020. Anche in questo caso potrebbe essere replicato il meccanismo, sostituendo un pezzetto delle clausole Iva con una clausola sulle spese che potrebbe riguardare sempre i fondi di Reddito e Quota 100. Nella prima bozza di risposta a Bruxelles, del resto, qualcosa del genere era emerso, salvo poi la repentina marcia indietro per il polverone politico. Nella caccia alle coperture, poi, ci sono la spending review e il taglio delle agevolazioni fiscali. La prima potrebbe agire anche sulle spese sanitarie, ipotesi che ha già messo in allarme i presidenti delle Regioni. Dalla seconda i tecnici del governo pensano di poter arrivare a recuperare fino a 6 miliardi di euro. Il nodo, al momento, è il meccanismo per formalizzare questi impegni.
Il ritorno di Tria: assediato su due fronti ora vede in salita la strada del negoziato
ROMA La strada per evitare la procedura d'infrazione europea, avrebbe confidato ai suoi collaboratori più fidati Giovanni Tria, non è in discesa. Ma nel suo mazzo, il ministro dell'Economia, ha più di una carta che potrebbe giocare sul tavolo europeo per evitare il rischio di far finire l'Italia nella gabbia della procedura. Già una volta, Tria, è riuscito nell'impresa, che anche allora sembrava proibitiva, convincendo i due vice premier ad abbassare il deficit per il 2019 dal 2,4% al 2,04%, nonostante Luigi Di Maio insieme a tutti i ministri Cinque Stelle avesse persino festeggiato sul balcone di Palazzo Chigi la fine della povertà. Rispetto ad allora, però, c'è una differenza sostanziale. Tria poteva contare su una solida sponda da parte della Commissione europea che di aprire una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia alla vigilia del voto continentale aveva poca voglia. Questa volta i ministri europei, salvo qualche eccezione, sembrano più determinati. Due giorni fa il vice presidente Valdis Dombrovskis ha detto senza mezzi termini che la Commissione si aspetta dall'Italia «una correzione significativa» dei conti. Bruxelles, insomma, è un fronte caldo. Ma quello davvero bollente rischia di essere il fronte interno, quello di Roma. Le picconate al ministro, ormai, non si contano. Claudio Borghi, il responsabile economico della Lega e presidente della Commissione bilancio della Camera, intervistato da Repubblica, ha definito il ministro dell'Economia un semplice «tecnico». E non è un mistero quello che i leghisti pensino dei tecnici al governo. L'altro esponente eurocritico del Carroccio, Alberto Bagnai, presidente della Commissione finanze del Senato, si è detto pronto, se chiamato, a prendere le redini del ministero che tiene i rapporti con l'Europa. Messaggi che in Europa possono essere letti come un indebolimento di Tria. Basta rivedere quello che è successo con i mini-Bot, i titoli di Stato di piccolo taglio fatti inserire nel programma di governo dallo stesso Borghi e che il presidente della Bce Mario Draghi ha definito come una «moneta illegale».
LO STOP
In Europa nessuno vuole permettere che uno Stato che fa parte dell'Eurozona si doti di una possibile moneta alternativa. Per i ministri finanziari con cui Tria si confronta, la questione è dirimente. Il Tesoro ha così espresso la sua contrarietà ufficiale ai mini-Bot di Borghi. Ma Tria è rimasto isolato. Salvini ha difeso il progetto, così come hanno fatto due membri leghisti del governo in genere particolarmente prudenti come il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti e il vice ministro dell'Economia Massimo Garavaglia. L'unica sponda, il ministro, l'ha trovata nel premier Giuseppe Conte. In questo contesto l'Europa vuole proposte formali che non impegnano soltanto il ministero dell'Economia, ma che abbiano il sigillo di tutto il governo e del Parlamento.
Come, dire, la promessa o la dimostrazione nei documenti interni scambiati con Bruxelles che il deficit del 2019 non andrà oltre il 2,1%, non basta. Un primo strumento per far emergere le maggiori entrate fiscali registrate nei primi sei mesi dell'anno, è il bilancio di assestamento dello Stato, che comunque è un disegno di legge. Il problema più rilevante è destinare alla causa del deficit il miliardo e mezzo di risparmi di Reddito di cittadinanza e Quota 100, per i quali servirebbe una norma di definanziamento del fondo che politicamente è complessa. Ma Tria ha almeno un argomento convincente da sottoporre a Matteo Salvini e Luigi Di Maio per convincerli. Se l'Italia finisse nella gabbia della procedura d'infrazione, non ci sarebbe più nessun margine per la flat tax o per disinnescare l'Iva. Un accordo con l'Ue, invece, permetterebbe di guardare a settembre con più serenità. Sempre che l'intenzione sia di mandare avanti il governo.