La scelta di pagare prima i dipendenti e poi le imposte è costata un'altra condanna all'imprenditore Alfonso Toto: il giudice monocratico del tribunale di Chieti Sofia Nanni, accogliendo in pieno la richiesta dell'accusa, lo ha condannato a un anno di reclusione e al pagamento delle spese processuali. Alfonso, figlio di Carlo Toto, uno dei big a livello italiano nel campo delle opere pubbliche e fondatore della compagnia area Airone, nella veste di legale rappresentante della Toto costruzioni generali spa, entro il termine per il pagamento dell'acconto, non avrebbe versato l'Iva relativa al 2014 per 27 milioni e 485 mila euro. La difesa dell'imprenditore, affidata agli avvocati Giuliano Milia e Augusto La Morgia, anche in questo processo si è richiamata alle difficoltà che incontrano le imprese nei momenti di crisi di liquidità, imprese che peraltro rateizzano il pagamento dell'Iva con l'Agenzia delle entrate.
IL PRECEDENTE
L'assunto, è che la Toto, un colosso nel campo della realizzazione di opere pubbliche, una volta portati a termine i cantieri, finisce con il vantare centinaia di milioni di euro nei confronti delle pubbliche amministrazione da cui riceve le commesse, perché le pubbliche amministrazioni (come noto), accumulano ritardi a volte di anni prima di giungere alla liquidazione delle somme e allora all'impresa non resta altra strada che l'opzione fra pagare il fisco o pagare i lavoratori. E così Toto, anche questa volta, secondo al linea difensiva, ha scelto di pagare lo stipendio e i contributi agli ottocento dipendenti, garantendo così la regolarità del Documento unico di regolarità contributiva, essenziale per poter partecipare alle gare d' appalto, e di rateizzare il versamento dell'Iva. Ma evidentemente la rateizzazione e dunque il pagamento non viene ritenuta dalla giurisprudenza, in maniera univoca, una causa di estinzione del reato. Esattamente due anni fa Toto, nella veste di amministratore delegato della Toto spa, fu processato e condannato sempre a Chieti (dinanzi ad un altro giudicante) a 4 mesi di reclusione, perché accusato di aver omesso di versare Iva per 20 milioni di euro nell'anno 2013, un debito che, comprese le sanzioni, è arrivato a circa 23 milioni di euro per il quale aveva ottenuto dall'Agenzia delle Entrate la dilazione in venti rate trimestrali. Ma in appello Toto è stato assolto perché il fatto non costituisce reato, e in appello la difesa, che annuncia ricorso, è pronta a ribaltare anche l'ultimo verdetto.