ROMA Gianluca Savoini, il leghista sospettato di aver chiesto alla Russia fondi per il suo partito, sta diventando sempre più scomodo e ingombrante. Giuseppe Conte e Matteo Salvini si sono affrettati a chiarire di non essere stati loro a invitarlo alla cena di giovedì scorso con Vladimir Putin a Villa Madama. Né nelle trasferte moscovite del leader leghista.
Ecco Salvini: «Savoini non è stato invitato dal ministero dell'Interno, né alla cena» del 4 luglio a Villa Madama, né nella missione dell'ottobre scorso a Mosca. E ai 5Stelle che chiedono ufficiosamente, «non sarà che Savoini stava sull'aereo di Stato?», il vicepremier replica: «Posso produrre i documenti di tutti i passeggeri che hanno viaggiato con me. Che cosa ci faceva al tavolo? Chiedetelo a lui, faccio il ministro dell'Interno e preferiscono occuparmi di cose serie. Questa inchiesta è ridicola».
Eppure Savoini, come denuncia il deputato dem Filippo Sensi, compare nelle foto della conferenza stampa alla Tass a Mosca il 16 luglio 2018 e dell'incontro con la Confindustria russa il 17 ottobre scorso. Salvini ribatte: «Io vado in giro con centinaia di persone. Cosa facciano e cosa chiedano a nome loro e di altri non è dato saperlo». E poi twitta: «Tutto ridicolo. Non abbiamo mai chiesto un rublo, un dollaro, un gin tonic, un pupazzetto a nessuno. Rispetto il lavoro di tutti. Ho la coscienza a posto. Querelerò chi accosterà soldi della Lega alla Russia. Bilanci Lega trasparenti».
Il leader leghista dispensa una dose di ironia anche con la magistratura che ha aperto un'inchiesta per corruzione internazionale: «Ho totale fiducia nella magistratura italiana, che è la più solerte, libera ed efficace del mondo. Se c'è un rublo fuori posto sarò il primo ad arrabbiarmi. Auguro buona caccia al tesoro che non c'è ai magistrati che lo stanno cercando in Russia, in Lussemburgo o al Polo Nord». Ancora, in diretta Fb mostrando due biglietti: «Mi autodenuncio. Nel mio ministero gira merce compromettente. Non so se c'è qualche magistrato che sta guardando questa diretta: mi hanno dato due per la lotteria di beneficenza di San Pietro apostolo. Due biglietti sottobanco. Il primo premio è un tv 49 pollici, sicuramente arriva dalla Russia...».
Non la butta in caciara il premier Conte, ritratto in migliaia di foto con Savoini sulla sfondo mentre brinda con Putin a Villa Madama il 4 luglio: «Non conosco Savoini e non l'ho mai incontrato personalmente. Ho fatto le verifiche: quella cena è stata offerta dalla presidenza del Consiglio, quindi dal sottoscritto, in occasione del Forum Italia-Russia. A quella cena sono stati invitati tutti i rappresentanti del Forum, che si era appena concluso e si era svolto qualche ora prima nei locali della Farnesina. Quel forum è stato gestito dal forum Italia-Russia e dall'Ispi: tutti i partecipanti sono stati automaticamente invitati alla cena allargata a Villa Madama». Come dire: con il leghista indagato non c'entro nulla, anche se l'ho ospitato.
NESSUNO LO CONOSCE
Savoini è disconosciuto anche da Claudio Borghi, il presidente leghista della commissione Bilancio della Camera: «Non è una persona della Lega, non è un parlamentare, non ha alcun ruolo ufficiale nel partito». Giancarlo Giorgetti, invece, parla di «inchiesta surreale che fa sorridere».
E mentre i 5Stelle propongono una commissione parlamentare d'inchiesta sui finanziamenti ai partiti per bloccare quella proposta dal Pd esclusivamente sulla Lega, ma non hanno ancora deciso se e quando presentare il disegno di legge, i senatori dem Simona Malpezzi e Dario Parrini denunciano: «La trattativa tra la Lega ed emissari di Putin acquisisce nuovi elementi dubbi. È agli atti il vigoroso interessamento dei parlamentari della Lega per facilitare donazioni dall'estero verso le fondazioni. Alla fine di aprile è entrato in vigore il decreto crescita, che stranamente contiene un passaggio che autorizza fondazioni ed associazioni italiane ad incassare finanziamenti da persone fisiche residenti all'estero. Si tratta di un marchingegno che stava molto a cuore ai gruppi della Lega, perché di fatto superava i precedenti divieti previsti nel decreto Spazzacorrotti».
MILANO Nella hall dell'hotel Metropol, il 18 ottobre 2018, il vertice tra italiani e russi per un presunto accordo sulla compravendita di gasolio è ormai ben avviato quando, a uno dei funzionari moscoviti, sorge un dubbio: «È perseguibile legalmente o penalmente?». Il collega, nell'audio registrato in possesso dei magistrati, rassicura: «È standard. La cosa di cui sta parlando è una società che firma un contratto con un'altra società, riceve un compenso e non fa alcunché». Un piano semplice, sulla carta. Ma il denaro lascia sempre tracce e seguendole la procura di Milano ha scoperto che una parte dei soldi è rimasta in Russia. Fondi che rappresenterebbero la presunta corruzione internazionale nell'ambito dell'acquisto di una grossa partita di petrolio, da cui sarebbero stati stornati 65 milioni di dollari destinati a rimpinguare le casse della Lega in crisi di liquidità per la campagna elettorale. Uno dei tre russi presenti nomina Vladimir Pligin, membro del partito di Putin, Russia Unita, avvocato e membro della Duma dal 2003 al 2016 ora vicepresidente della Commissione per gli affari internazionali.
FONDI NERI
Il pool di magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale segue il filo rosso del soldi e sta valutando l'avvio di una rogatoria in Russia per far luce sui flussi finanziari e per accertare se quindi sia davvero avvenuto un trasferimento di fondi neri al Carroccio in seguito alla vendita con sconto di gasolio da Rosneft all'Eni, che ribadisce la sua totale estraneità alla vicenda. Ciò confermerebbe l'ipotesi investigativa secondo cui l'affare si sarebbe concluso almeno in parte, benché la sola promessa di denaro sia comunque sufficiente per far scattare l'ipotesi di corruzione internazionale. La registrazione al tavolo del Metropol rivelerebbe una vera e propria spartizione. «È molto semplice - spiega uno dei due italiani - L'idea come concepita dai nostri ragazzi politici è che con uno sconto del 4% possono mandare avanti una campagna. Quindi se mi chiedi ora se facciamo il 6% la mia prima risposta sarebbe: di qualunque cifra superiore al 4%, non ne abbiamo bisogno. Finora non è una questione professionale, è solo una questione politica. Quindi noi non contiamo... lui non conta di farci dei soldi. Contiamo di sostenere una campagna politica, che è di beneficio, direi di reciproco vantaggio per i due Paesi». In sostanza: parte del prezzo della compravendita di petrolio tra l'Eni che avrebbe dovuto comprare e Rosneft nel ruolo di venditore sarebbe dovuta arrivare alla Lega. Ovvero 65 milioni di dollari, il 4%, mentre la parte restante (il 6%) sarebbe andata ai russi come super mazzetta. L'incontro al Metropol doveva servire a formalizzare questo schema, di cui gli interlocutori avevano già discusso in precedenza. Secondo gli investigatori infatti non era il primo colloqui e la cornice dell'accordo sarebbe stata definita in precedenza. «I nostri documenti tecnici sono già stati fatti e sono pronti per essere consegnati al vice primo ministro», afferma un russo. «Sì, sì», annuisce Savoini. «Ma dobbiamo discutere delle ultime decisioni, forse», incalza l'interlocutore. «Prego, prego», concede spazio il leghista. «Quindi, dalla nostra parte, tutto è pronto, ma abbiamo dobbiamo discutere i dettagli finali. Stiamo parlando della quantità. Per esempio, 3 milioni di tonnellate. Se facciamo partire ora questo affare da 3 milioni, allora l'accordo è chiuso, non abbiamo grandi rischi», conclude il russo.
INTERROGATORI
L'inchiesta sta anche facendo luce suoi protagonisti del presunto accordo e sul loro ruolo. A cominciare da quello di Savoini, che è indagato per corruzione internazionale: il leghista presidente dell'associazione Lombardia-Russia avrebbe agito per conto di qualcuno o si tratterebbe di un'operazione di sua iniziativa? Identificate anche le altre due persone che erano con lui: Luca, un avvocato, e Francesco detto il «nonno». Già da lunedì sono previsti nuovi interrogatori e l'acquisizione di ulteriore documentazione. Intanto Claudia Eccher, legale del vicepremier e della Lega, afferma che «Matteo Salvini e il movimento che rappresenta verranno tutelati in tutte le sedi». Il che non escluderebbe una eventuale costituzione di parte civile oppure a una richiesta di danni in sede civile.