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Data: 16/07/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
Manovra al Viminale e Russia Il premier: «Salvini scorretto». Il tavolo con le parti sociali fa infuriare Conte: la decisione sui tempi spetta a me. Il leader: non vado in Parlamento.E avverte: pazienza noninfinita. Al suo fianco torna Siri. «Ora l’agenda la detto io» Matteo sfida palazzo Chigi

ROMA Giuseppe Conte e Matteo Salvini ai ferri corti su tutti i fronti: dalle modalità con cui il vicepremier sta discutendo la manovra, alla vicenda dei fondi russi. A far scoppiare le polveri, la decisione del leader leghista di convocare le parti sociali al Viminale per un primo scambio di vedute sulla futura manovra. Riunione accolta malissimo dal presidente del Consiglio: «Se oggi qualcuno pensa che non solo si raccolgono istanze da parte delle parti sociali ma si anticipano pure i dettagli di quella che ritiene che debba essere la manovra economica, si entra sul terreno della scorrettezza istituzionale», tuona davanti alle telecamere fuori da Palazzo Chigi.
Ma Conte va oltre, togliendosi più di un sassolino dalle scarpe: «La manovra economica viene fatta qui, dal ministro dell'Economia e tutti i ministri interessati, non si fa altrove, non si fa oggi. I tempi, e tengo a precisarlo, li decide il Presidente del Consiglio, sentiti gli altri ministri, a partire da quello dell'Economia». Molto critico, anzi quasi indispettito, dalla presenza a quel tavolo di Armando Siri, l'ex sottosegretario indagato costretto alle dimissioni qualche mese fa. «Se si tratta di un incontro di partito, la presenza di Siri ci sta bene. Se è un incontro governativo, no». Conte durissimo anche sul fronte ancora aperto della vicenda Savoini. Ai cronisti che gli chiedono se ritenga opportuno che Salvini riferisca alle Camere, Conte imperturbabile risponde con un perfido: «Perchè no? Noi crediamo nella trasparenza nei confronti dei cittadini in ogni sede, in tutte le occasioni, in primis in Parlamento».
«La pazienza non è infinita, se chi ti attacca è chi sta al governo con te», avverte a sera Salvini. Nel pomeriggio, in una conferenza stampa al Viminale, invece aveva evitato di replicare a muso duro con Conte, annunciando però una nuova riunione con le parti sociali per i primi di agosto: «E' chiaro che i tempi della manovra li detta il presidente del Consiglio, verso il quale abbiamo piena fiducia, ma prima si fa e meglio è». Quanto alla riunione, Salvini osserva che è servita per presentare alle parti sociali le proposte della Lega: «Questi incontri - sottolinea - non vanno ad offendere nessuno ma vanno ad aiutare l'azione di governo. Non mi interessa portare via il lavoro ad altri - assicura - non voglio togliere lavoro a Tria, Conte o Di Maio ma voglio dare il nostro contributo all'azione di governo». Quanto a presentarsi in Parlamento per «chiarire» sui soldi russi: «Non intendo più parlare di soldi che non ho visto, né ho chiesto. Se ci fosse qualcosa da chiarire sarei il primo a farlo, ma non commento le non-notizie». Tuttavia, malgrado i toni accesissimi all'interno della maggioranza, l'impressione è che alla fine nessuno intenda sul serio staccare la spina.
MANOVRE DIVERSIVE
Ma le acque restano comunque agitate. Anche l'altro vicepremier, il ministro per lo Sviluppo Luigi Di Maio, interviene sulla riunione, ma attacca i sindacati per aver accettato il confronto alla presenza di Siri: «Se vogliono trattare con un indagato per corruzione messo fuori dal governo, invece che con il governo stesso, lo prendiamo come una scelta di campo». Secca la replica dei sindacati: «parole del tutto inaccettabili ed offensive». Anche Salvini rintuzza alle critiche di Di Maio: «Penso di vivere in un paese dove si è innocenti fino a prova contraria e dunque chi non è condannato al terzo grado di giudizio - sintetizza - per me è innocente». Severe le opposizioni: secondo il segretario dem, Nicola Zingaretti, «Salvini ha convocato i sindacati con Siri solo per far dimenticare l'affare Russia. Ma noi non ci caschiamo. Continuiamo a chiedere verità e chiarezza in Parlamento».

«Ora l’agenda la detto io» Matteo sfida palazzo Chigi

ROMA Torna profondo il solco tra Matteo Salvini e Giuseppe Conte. E non soltanto perché il vicepremier ruba il lavoro al premier, scrivendo insieme alle parti sociali «entro agosto» la bozza della legge di bilancio. «Quella in cui ci dovrà essere la flat tax come diciamo noi». La sconfessione compiuta da Conte della versione di Salvini sulla cena con Vladimir Putin a Villa Madama, l'invito a riferire in Parlamento, la pretesa di «massima trasparenza», spingono il leader leghista a parlare con i suoi di «clima da ghigliottina». «E visto che usano questa vicenda russa per danneggiarmi, forse è la volta buona che do ragione ai miei che da mesi mi chiedono di mandare al diavolo questi 5stelle. La mia pazienza ha un limite». Salvini insomma pone una condizione, propone uno scambio: «Se non viene siglata una tregua sui rubli il governo cade. I 5Stelle e Conte abbassino i toni sulla vicenda Savoini o sarà crisi».
In realtà Salvini, anche in queste ore, sta resistendo a chi come Giancarlo Giorgetti, i ministri, i sottosegretari, i governatori del Carroccio, lo implorano di «andare sparati alle elezioni». Il leader leghista, a condizione che finisca il fuoco amico su Mosca, resta convinto che gli sia più utile tenere in piedi il governo giallo-verde: «Faccio ciò che voglio, decido cosa si fa e cosa no e guadagno voti. Anche il sondaggio di queste ore, dopo l'esplosione del caso-Savoini, ci vede in crescita...». Tanto più, che «nessuno ci dà la certezza che Mattarella ci mandi a votare e non spunti in Parlamento qualche governo tecnico o politico maleodorante». Segue chiosa velenosa: «Quest'ultimo sondaggio dovrebbe consigliare ai grillini un po' di prudenza. Oppure hanno dimenticato come è finita alle elezioni europee?». Quando Luigi Di Maio condusse l'intera campagna elettorale cavalcando la questione morale sul caso di Armando Siri, per poi ritrovarsi la notte del voto con il 17%: poco più della metà esatta dei voti presi un anno prima.
«NON VADO IN PARLAMENTO»
Così Salvini, nel giorno in cui Gianluca Savoini non risponde ai pm di Milano, replica picche a chi - come Conte e il capo 5Stelle - gli chiede di andare a riferire in Parlamento sul Russiagate: «Mi occupo di vita reale, non di spionaggio. E non intendo parlare di soldi che non ho mai visto, né chiesto. Chi puntava su questo per metterci in difficoltà è smentito dai sondaggi». Appunto.
Ciò detto, Salvini considera ormai Conte «completamente di parte»: «Ormai parla e si muove come un grillino». E al premier che tuona, indispettito dal vertice al Viminale con le parti sociali, e intima che spetta a lui «decidere tempi e merito della legge di bilancio», risponde: «Nessuno vuole sostituirsi al governo, non rubo il lavoro a nessuno». «Che è poi un modo per dire al premier», spiegano nell'entourage del capo leghista, «di darsi una calmata e di smettere di agitarsi». Insomma, Conte si rassegni. Tanto l'azionista di maggioranza, il dominus indiscusso, è Salvini.
Il ministro dell'Interno l'ha dimostrato plasticamente con il vertice al Viminale. E altrettanto plasticamente ben 43 associazioni di categoria sono corse a parlare della nuova legge di bilancio con Salvini. Non con Conte o Di Maio. «Perché noi siamo quelli dei sì. E noi, al contrario di altri, vogliamo sbloccare l'Italia, far ripartire i cantieri, mentre in molti denunciando lungaggini e ritardi da parte di ministeri di non nostra competenza...».
SFIDUCIA A DI MAIO E TONINELLI
Un atto di sfiducia manifesta da parte del capo della Lega al ministro del Lavoro e dello Sviluppo: «Nessuna delle 43 associazioni vuole il salario minimo, dicono che sarebbe un danno per l'economia», rivela Salvini. Poi, per dimostrare la paralisi del dicastero dello Sviluppo guidato da Di Maio, il vicepremier leghista parla di «180 tavoli di crisi ancora aperti». Mentre a Danilo Toninelli, responsabile delle Infrastrutture, sbatte in faccia la Tav, l'alta velocità al Sud, la dorsale adriatica: «Tutte cose che realizzeremo in barba a chi è contrario». Non manca una stoccata anche al Guardasigilli, Alfonso Bonafede e all'intero Movimento sul fronte della riforma della giustizia: «Va fatta presto e deve essere coraggiosa. Non è possibile che in Italia sia tutto bloccato perché i funzionari pubblici hanno paura a firmare qualsiasi autorizzazione a causa del reato di abuso d'ufficio».
Insomma, Salvini va oltre alla flat tax «che si farà, non c'è dubbio e si farà come diciamo noi»: la proposta del taglio fiscale arriverà a palazzo Chigi nella formula prendere o lasciare. E detta per intero l'agenda dei prossimi mesi. Inoltre, per dimostrare la sua avversione al giustizialismo grillino, fa sedere accanto a lui Siri e il viceministro Massimo Garavaglia, che domani sarà processato per turbativa d'asta. «Ho letto le carte del processo ed è fondato su aria fritta, con olio scarsissimo», dice il capo leghista riguardo a Garavaglia. Ma l'orientamento del leader, com'è accaduto per Edoardo Rixi, è che se condannato il viceministro dovrà dimettersi.

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