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Data: 01/08/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
L'italia in frenata. Crescita zero per l’economia ma cala la disoccupazione. Carica di over 50 e lavori di bassa qualità è il paradosso dell'impiego senza ripresa

ROMA Un Paese immobile. L'Italia non riesce a scrollarsi di dosso la stagnazione: nel secondo trimestre del 2019 l'Istat stima che il Pil è rimasto invariato, a quota 0, sia a livello congiunturale che tendenziale. Infatti, dopo il lievissimo calo registrato nella seconda metà del 2018 e l'altrettanto marginale recupero del primo trimestre, la crescita ha segnato nel secondo trimestre 2019 una variazione congiunturale nulla. Come a dire, appunto, che il reddito nazionale è in fase di stallo sia rispetto al primo periodo del 2019 che rispetto all'aprile-giugno del 2018. Elementi che portano ad una conclusione: se non ci fossero altre variazioni nei trimestri rimanenti in corso d'anno, quest'anno sarebbe archiviato alla voce crescita zero. Una prospettiva inevitabile, secondo Confindustria, che parla di 2019 ormai «compromesso». Ma contestata da Giovanni Tria.
IL QUADRO
«Sebbene il quadro internazionale rimanga complesso ha garantito il ministro dell'Economia la crescita dovrebbe gradualmente riprendere nella seconda metà dell'anno. Pertanto, la previsione di crescita media annuale del Def, lo 0,2% è ancora raggiungibile». «La stima preliminare ha osservato l'Istat entrando più nel dettaglio ha necessariamente natura provvisoria e si basa su una valutazione dal lato dell'offerta che indica cali dell'attività per l'agricoltura e per l'industria e un contenuto incremento per l'insieme del terziario». La variazione rispetto al gennaio-marzo scorso, ha aggiunto l'Istituto, «è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto sia nel comparto dell'agricoltura, silvicoltura e pesca, sia in quello dell'industria e di un aumento in quello dei servizi. Dal lato della domanda, vi è un contributo nullo sia della componente nazionale, sia della componente estera netta». «Un Paese abituato a non crescere» ha sintetizzato Lucio Poma, responsabile scientifico industria e innovazione di Nomisma. La palude nella quale è immersa l'economia italiana fa ancora più male se rapportato all'Europa. Rispetto allo stesso trimestre del 2018, il Pil è cresciuto di 1,1% nella zona euro e di 1,3% nella Ue 28. Mentre nel trimestre precedente il Pil era aumentato dell'1,2% nella zona Euro e dell'1,6% nella Ue 28.
I PREZZI
In questo quadro non sorprende l'ulteriore frenata dell'inflazione, che a luglio e torna al livello di aprile 2018: i prezzi al consumo registrano un aumento dello 0,1% su base mensile e dello 0,5% su base annua (in rallentamento da +0,7% di giugno). Ma il carrello della spesa cresce dello 0,8% e sui beni alimentari pesano gli aumenti su frutta e verdure. Di contro, le notizie sul fronte del lavoro sono buone con la disoccupazione ai minimi dal 2012. Il tasso dei disoccupati a giugno scende al 9,7%, in calo di 0,1 punti percentuali su maggio. Cala anche la disoccupazione giovanile (-1,5%) con un tasso al 28,1%: il valore più basso da aprile 2011. Dopo la crescita registrata nei primi mesi dell'anno, a giugno la stima degli occupati risulta sostanzialmente stabile rispetto al mese precedente: il tasso di occupazione sale al 59,2% (+0,1 punti percentuali). Su base annua l'occupazione risulta in crescita (+0,5%, pari a +115 mila unità). Al top dal 1977, invece, il tasso di occupazione per i 15-64enni che nel mese di giugno sale al 59,2% (+0,1 punti percentuali). Tornando ai dati sul Pil, la fase di stagnazione dell'economia del Paese preoccupa le associazioni dei commercianti. Confesercenti chiede che la manovra punti sulla crescita e Confcommercio parla di una «Italia bloccata». Sul fronte politico, critiche dall'opposizione. Il segretario Pd, Nicola Zingaretti, sottolinea che questo governo sta uccidendo la speranza degli italiani. Il governo, invece, osserva con soddisfazione i dati positivi sull'occupazione. Il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, evidenzia che «grazie a Quota 100 sono stati liberati nuovi posti di lavoro».

Carica di over 50 e lavori di bassa qualità è il paradosso dell'impiego senza ripresa

ROMA Crescita economica ferma, occupazione che comunque aumenta tra i dipendenti di pari passo con una riduzione del tasso di disoccupazione. Un apparente paradosso, che a livello politico può essere salutato come una parziale buona notizia, ma con le categorie degli economisti equivale ad una caduta della produttività. Per valutare correttamente i dati dell'Istat, bisogna comunque tenere conto di alcuni fattori. Il primo riguarda la natura degli indicatori relativi al mercato del lavoro, che sono generalmente considerati ritardati rispetto al ciclo economico. Vuol dire che quando si avvia una ripresa, l'impatto (positivo) sul mercato del lavoro tende a manifestarsi almeno 6-9 mesi dopo e lo stesso vale (in senso opposto) quando il barometro produttivo volge al brutto. In realtà visto che il primo segno meno si è manifestato nel terzo trimestre 2018, qualche conseguenza si dovrebbe già vedere, ma è possibile che effetti più significativi si manifestino nella seconda parte dell'anno.
RITMI NON TRIONFALI
In ogni caso, la tendenza in atto è per molti versi una prosecuzione di qualcosa che era già in corso negli anni passati, quando il prodotto cresceva pur se a ritmi a non trionfali. I 23,4 milioni di occupati attuali sono circa 1,2 milioni in più rispetto all'inizio del 2014: un balzo in avanti che si spiega in larghissima parte con la permanenza al lavoro degli ultracinquantenni, indotta dalle riforme previdenziali (il cui impatto non è stato finora intaccato da Quota 100) oltre che dall'ampliamento demografico di questo bacino d'età. La stessa cosa è successa nell'ultimo anno, quando gli occupati totali sono cresciuti di 115 mila unità e gli over 50 di ben 292 mila: anche considerando i dati depurati dalla componente demografica, la classe d'età più matura è quella che evidenzia la crescita occupazionale di gran lunga più incisiva.
Negli ultimi mesi può aver inciso positivamente anche il passaggio da forme di lavoro atipico a contratti a tempo indeterminato, anche in concomitanza con i provvedimenti del governo; tuttavia, se si guarda oltre che agli aspetti puramente quantitativi a quelli qualitativi (qualche indizio si può ricavare anche dai dati su orario di lavoro e retribuzioni) non è difficile cogliere un'altra tendenza generale degli ultimi anni: lo spostamento di una quota importante di occupazione verso posizioni a basso valore aggiunto nel settore dei servizi, mentre simmetricamente l'industria ha assorbito, ma in misura molto minore, professionalità più qualificate e meglio retribuite. Non è solo un problema di precarietà, nonostante l'avanzata dei contratti a tempo paradossalmente seguita alla riforma del Jobs Act: anche quando il posto è a tempo indeterminato può avere caratteristiche di questo tipo. Ecco quindi che torna il discorso della produttività suggerito a livello complessivo dal mancato allineamento dei dati sul lavoro con quelli sull'andamento del Pil.

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